L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

1
Tracce di Lavoro comune . 2021
arteideologia raccolta supplementi
made n.20 Giugno 2023
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
3
pagina
Elementi e complementi . (appunti IIi.1)

Non è dall’oggi al domani che il proletariato ha fatto del marxismo il suo metodo, e attualmente è ben lungi dal servirsene integralmente. Questo metodo serve ora principalmente e quasi esclusivamente a scopi politici. Il largo impiego come metodo di conoscenza e lo sviluppo metodologico del marxismo dialettico appartengono ancora all’avvenire. Soltanto nella società socialista il marxismo cesserà di essere lo strumento unilaterale della lotta politica, per divenire il metodo della creazione scientifica, l’elemento e lo strumento essenziale della cultura spirituale.(Trotsky) [1]

...Siamo qui, come attorno ad un bivacco notturno. Alla luce di un fuoco che a sprazzi illumina la radura qualcuno ci intrattiene parlando più o meno di arte. Ma più sul meno riesce a dire, lasciando oltretutto cadere i fili continui del suo discorso. E così, chi paziente l’ascolta si sforza di ravvisare, oltre l’ombra che avvolge il gruppo, la completezza degli argomenti che lui vorrebbe illuminare senza però mai raggiurgerli…
RICOGNIZIONI SUL FORMALISMO 1

Iconologie e morfologie del tempo [2]

In un disegno pubblicitario della banca Bowery Saving di New York degli anni trenta dello scorso secolo, la raffigurazione del Padre Tempo [3] non presenta i vari elementi iconografici distintivi che in passato servivano a rendere riconoscibile la personificazione del Tempo, ma soltanto quelli della tarda età e la falce. E’ un tipico esempio di “pseudomorfosi” dell’immagine, cioè di re-interpretazione di un personaggio antico che è riuscito a resistere alla totale eliminazione dei soggetti umanistici dall’arte moderna e gode tuttora di una tale popolarità che persino ai giorni nostri lo porta a comparire nelle cartoline di auguri per l’Anno Nuovo, nonché in cartoni animati e nella pubblicità.
E’ all’incirca con queste parole che lo storico dell’arte Erwin Panofsky introduce il suo studio iconologico sul tema umanistico del Padre Tempo [4] svolto attraverso descrizioni, analisi iconografiche e interpretazioni iconologiche di svariate raffigurazioni dell’idea del Tempo espresse in letterature e mostrate in opere d’arte classiche, tardoantiche, medievali, rinascimentali o barocche [5].
Veniamo contestualmente informati dallo stesso studioso che i “bagagli necessari all’interpretazione” di questo specifico studio delle immagini storicamente prodotte nell’ambito delle arti figurative, sono: 1) l’esperienza pratica, ossia la familiarità con oggetti ed eventi ; 2) la conoscenza delle fonti letterarie, ossia la familiarità con specifici temi e concetti; 3) l’intuizione sintetica (ossia la familiarità con le tendenze essenziali dello spirito umano), condizionata dalla psicologia e dalla “Weltanschaung personale” – ovviamente dell’interprete, ovvero dalla sua personale concezione del mondo e della posizione in esso occupata dall'uomo.
Abbiamo inoltre, per ognuno di questi bagagli, un corrispondente “principio regolatore per l’interpretazione” dei significati più profondi delle immagini:
1) la storia dello stile, ovvero una comprensione profonda del modo in cui, in condizioni storiche variabili, oggetti ed eventi sono stati espressi mediante forme; 2) la storia dei tipi, ovvero una comprensione profonda del modo in cui, in condizioni storiche variabili, temi e concetti specifici sono stati espressi mediante oggetti ed eventi; 3) la storia dei sintomi culturali o “simbolici” in generale, ovvero dalla comprensione profonda del modo in cui, in condizioni storiche variabili, le tendenze essenziali dello spirito umano sono state espresse da temi e concetti specifici.
Tali e tante sono le comprensioni profonde e le immersioni spirituali richieste per leggere un’immagine, che non sorprende se poi qualcuno vuole riemergere alla superficie per prendere una boccata d’aria e schiarirsi le idee dopo l’apnea.

La parziale definizione di arte come linguaggio simbolico data da Cassirer ha dominato gli studi artistici del nostro secolo. Si è sviluppata così una nuova storia della cultura ancorata al concetto di opera d’arte come espressione simbolica: in questo modo è stato possibile ricollegare l’arte al resto della storia. Il prezzo però è stato alto, giacché mentre la nostra attenzione si rivolgeva tutta allo studio dei significati, si trascurava un’altra definizione di arte intesa come sistema di relazioni formali. Questa seconda definizione importa più del significato, allo stesso modo che la parola importa più della scrittura, poiché l’una precede l’altra e la scrittura non è che un’applicazione particolare della parola. L’altra definizione di “arte” intesa come forma resta inattuale, anche se ogni persona assennata sarà disposta ad accettare come un truismo che nessun significato può essere trasmesso se non gli si dà una forma. Ogni significato ha bisogno di un sostegno, di un veicolo o di un vaso. Questi sono i vettori del significato e senza di essi niente potrebbe essere comunicato da me a un altro o da un altro a me, né da qualsiasi sfera della natura a un’altra sfera.[6]

Non è difficile per noi collegare queste ultime osservazioni di Kubler ad un richiamo di Engels per il quale è una “vecchia storia” quella che in principio trascura sempre la forma a favore del contenuto [7]. E se qualcuno ha avuto la pazienza di seguire fin nelle digressioni i nostri “racconti”, non crediamo possa avere particolari difficoltà a riconoscere, in queste considerazioni di Engels e di Kubler,  la stessa preoccupazione che abbiamo avuto nell’incontro precedente nel richiamare la vostra attenzione sulla medesima questione [8] che, più felicemente e ordinatamente di noi, lo storico dell’arte statunitense svolgerà nel seguito della premessa, appena letta, al suo saggio su La forma del tempo – che completiamo qui di seguito, emendata dalle note biografiche e dai ringraziamenti dell’autore.         

Le forme di comunicazione possono essere facilmente distinte dal contenuto significativo di ogni trasmissione. Nella lingua le forme del discorso sono i suoni (fonemi) e le unità grammaticali (morfemi). In musica abbiamo note e intervalli; in architettura e scultura, forme solide e vuote; in pittura, toni e aree. Le forme strutturali possono essere percepite indipendentemente dal significato. La filologia in particolare ci insegna che gli elementi strutturali di una lingua subiscono col tempo mutamenti più o meno regolari che non hanno alcuna relazione col significato, e questo è il caso di certi scambi fonetici nella storia di lingue apparentate che possono essere spiegati solamente con l’ipotesi di un mutamento regolare. Così un fonema “a”, presente nello stadio primitivo di una lingua, diventa fonema “b” in un’epoca più tarda, indipendentemente dal significato e solamente per effetto delle regole che governano la struttura fonetica del linguaggio. Tale è la regolarità di questi cambiamenti fonetici che essi possono essere persino utilizzati per misurare gli spazi di tempo tra due forme di linguaggio di cui si ha documentazione ma non si conosce la data. Simili regolarità probabilmente governano l’infrastruttura formale di ogni arte. Dovunque però appaiono gruppi simbolici, vediamo interferenze che possono interrompere la regolare evoluzione del sistema formale. Interferenze da immagini visuali sono presenti in quasi ogni arte. Persino l’architettura, comunemente considerata priva di intenzioni figurative, è guidata da un’espressione all’altra dalle immagini di monumenti famosi del passato sia lontano che recente. Scopo di queste pagine è di attirare l’attenzione su alcuni problemi morfologici di durata in serie e sequenza. Si tratta di problemi rimasti in disparte da più di quarant’anni, da quando cioè gli studiosi distolsero la loro attenzione dal “puro formalismo” per rivolgerla alla ricostruzione storica di complessi simbolici.[9]

Delle diverse osservazioni di Kubler, a noi ora interessa l’idea di quei “mutamenti più o meno regolari” che subiscono le forme strutturali di una lingua “per effetto di regole che governano l’infrastruttura formale di ogni arte… senza nessuna relazione con il significato” [10] … Allora… piuttosto con il tempo ?

Noi viviamo in un ecosistema mantenuto lontano dall’equilibrio dalla radiazione solare e sono proprio processi di non equilibrio … e la conseguente inclusione del tempo in equazioni non lineari, la base della nuova fisica evolutiva e probabilistica. Andare nella direzione di una visione evolutiva della fisica significa andare anche nella direzione di unificare le due culture, la scientifica e l’umanistica. La scienza ha dato troppo spazio allo spazio, ignorando il tempo! Nella storia, nelle cose umane, in ecologia il ruolo del tempo invece è fondamentale: le memorie sono sicuramente più importanti dei chilometri.[11]

La natura ha dato fin troppo spazio allo spazio, dategli il tempo e, lontano dall’equilibrio entropico, anche l’atomo di carbonio impara a memoria il modo di mettersi al mondo.
Che il Tempo potrebbe avere, oltre che una misura anche una forma [12] – come suggerisce il titolo del saggio di Kubler – non è stata una formulazione troppo tardiva nell’arte (rispetto a quella iconologica-iconografica che la storiografia dell’arte ha trovata già pronta e sviluppata nella tradizione letteraria dell’interpretazione ermeneutica e drammaturgica dei significati del testo scritto), ma certamente ha forse dovuto attendere che fossero prima sufficientemente digerite alcune nuove teorie unificatrici del tardo ottocento e dei primi del novecento, dell’evoluzionismo o del relativismo ma anche del socialismo, e in generale dell’affermarsi di una diffusa attitudine scientifica nell’affrontare problemi che ricadevano abitualmente negli ambiti specifici degli studi storici, umanistici o filosofici – dove troppi temi venivano trattati tutti con le medesime procedure tradizionali utilizzate per la letteratura, la poesia o il pensiero, solitamente regolate da categorie estetiche tuttora vaghe, come il gusto, il bello o l’eleganza, nella definizione delle quali si erano consumate generazioni di filosofi e commentatori dei piaceri artistici.
In un appunto di Marx del 1841 – in cui egli sembra volgere le esortazioni di Leibniz ai “giovani hegeliani” che all’epoca bazzicava – potremmo trovare le parole da rivolgersi anche agli studiosi della storia dell’arte o dell’estetica. 

Leibniz consiglia ai cartesiani… “di disfarsi dello spirito di setta, sempre contrario all’avanzamento delle scienze … di attaccarsi alle esperienze e alle dimostrazioni, invece che a quei ragionamenti generali [che non] servono che a mantenere la pigrizia e coprire l’ignoranza; di cercare di fare qualche passo avanti e di non accontentarsi di essere dei semplici parafrasti dei loro maestri; di non trascurare e disprezzare l’anatomia, la storia, la lingua, la critica, disconoscendone l’importanza e il valore …”, mi sembra che coloro che s’attaccano a un solo maestro s’abbassano in tal maniera alla schiavitù, e non concepiscano pressoché nulla dopo di lui. [13]

Detto di passaggio, occorre qui smentire un luogo comune tuttora corrente, che vuole vedere, almeno per i suoi anni berlinesi, un Marx ancora filosofo e per di più hegeliano, nonostante una lettera del novembre 1837 in cui Marx confida al padre : «giunto a Berlino, ho rotto tutti i legami che avevo avuto fino allora, ho fatto di malavoglia rare visite e ho cercato di immergermi tutto intero nella scienza e nell’arte… - o anche - non ho potuto avere pace finché non avessi acquisito la modernità ed il punto di vista della odierna opinione scientifica»[14], e non sussiste alcun motivo ragionevole per non prenderlo in parola - anche alla luce dell’esortazione di Leibniz che lui si prende cura di annotare e commentare.
Che il pensiero e la prassi scientifica abbia ispirato l’intero lavoro di Marx fin dall’inizio non può essere equivocato [15]; e più avanti vedremo che per fare dei passi avanti anche in estetica e psicologia egli auspica uno studio sistematico e scientifico. Così come in seguito vedremo che questo auspicio era già realizzato, ad esempio, per lo sviluppo di moderne teorie in quegli studi della lingua o dell’arte che avevano preso a modello proprio il metodo scientifico dell’anatomia comparata di Cuvier (1769-1832). Quest’anatomia ricercava difatti le cause della forma degli animali per darne una interpretazione funzionale all’intero sistema dell’organismo particolare preso in esame. L’opera d’arte, intesa come un similare sistema autonomo di relazioni e problemi formali da risolvere assume però, fin dall’inizio di questi moderni studi scientifici sull’arte, l’aspetto di uno scontro su uno dei temi  tuttora fondamentali del pensiero scientifico.[16]

In realtà il concetto di storia dell’arte come storia della soluzione di problemi artistici risale addirittura al patriarca della storiografia germanica [dell’arte], Alois Riegl (1858-1905), ed aveva in lui principalmente una funzione polemica proprio contro il determinismo positivistico di Semper (1803-1879) (ciò che non gli ha impedito di essere, a sua volta, accusato di “determinismo estetico”).[17]

Sembra proprio che il “determinismo” si prenda spesso e volentieri la sua rivincita su quelli che vorrebbero metterlo alla porta facendo infine capitolare chi pur avendo simile pretesa conduce tuttavia studi, ricerche e sperimentazioni sulla base dei fatti, senza ideologie pret-a-porter. A una di tali idee sembra difatti imputabile la resistenza che una certa storiografia dell’arte contrappone al “formalismo” [18], visto come affetto di un deprecato determinismo;  ma, a guardar bene, alla radice di questo biasimo c’è il timore che esso possa in qualche modo limitare la libertà creativa dell’artista geniale, ridurne il ruolo di protagonista. E qui, per noi, valga come un altro grande tema dell’immaginazione artistica già trattato riguardo al “battilocchio” nella storia in generale, e quindi anche nella storia dell’Arte, quando intesa come successione cronologica di biografie provvidenziali; difatti due sono le costruzioni cui più supinamente si inchina il filisteo: lo Stato e l'Io [19].
Kubler sembra al riparo dall’influenza di certi vecchi feticci artistici in seguito e grazie ad una esperienza pratica di vita professionale che lo collega necessariamente all’intero arco storico del millenario tempo di lavoro dell’uomo: 

L’esperienza degli scavi archeologici (in cui ogni cosa è ugualmente utile) e quella dell’arte contemporanea (in cui tutto è, o può essere, “opera d’arte”) concorrono nell’opera di Kubler a mettere in ombra problemi tradizionali come quello della “qualità, della gerarchia tra opere ed artisti, del peso della personalità nella storia, portando in primo piano il rigore “scientifico” delle “sequenza” di opere d’arte (anzi, di “manufatti) come soluzioni collegate di un problema. Il radicale cambiamento di punto di vista, dal soggetto umano all’oggetto, dal creatore al manufatto, implica anche la messa in quarantena di tutti quei rapporti arte-società che, passando necessariamente attraverso la psicologia dell’artista, non si prestano alla constatazione oggettiva, alla rilevazione, alla misurazione. Non più quindi idee, sentimenti, letteratura, psicoanalisi, ma tecnica, morfologia, sociologia e statistica. Non del tutto a torto André Chastel ha voluto vedere nell’antropologo Kubler la “controparte” dell’iconologo umanista Erwin Panofsky.[20]

Più di uno ha avanzato la classica obiezione romantica che su questa via si trascura l’aspetto creativo ed espressivo dell’arte nel singolo artista; ma a volte qualcosa di ingombrante deve pur essere lasciata cadere se si vuole fare dei passi in avanti.[21]

“La storia delle cose”, o l’industria dell’uomo e la sua scienza

 Quello virgolettato è precisamente il titolo del primo capitolo del saggio dello storico dell’arte statunitense George Kubler La forma del tempo; e poiché ben presto sapremo che le “cose” cui dedica le sue considerazioni altro non sono che i prodotti del lavoro millenario del genere umano, ecco completarsi il titolo del nostro proprio paragrafo.     

Supponiamo che il nostro concetto dell’arte possa essere esteso a comprendere, oltre alle tante cose belle, poetiche e non utili di questo mondo, tutti in generale i manufatti umani, dagli arnesi di lavoro alle scritture. Accettare questa premessa significa semplicemente far coincidere l’universo delle cose fatte dall’uomo con la storia dell’arte, con la conseguente e immediata necessità di formulare una nuova linea di interpretazione nello studio di queste stesse cose.[22]

La premessa che ancora nel 1961 lo storico e antropologo americano chiedeva di accettare come ipotesi di studio, per noi era già stata formulata e accettata, fin da oltre un secolo e mezzo, come risposta ad una domanda per niente retorica: « Che cosa si deve pensare, insomma, di una scienza che astrae aristocratica da questa grande parte dell’umano lavoro e non avverte in sé la propria incompletezza, fino al punto che così larga ricchezza dell’umano operare non le dice niente altro che quello che si può dire in una parola: “bisogno”, “volgare bisogno”!?» – scrive difatti Marx nel suo terzo manoscritto del 1844 [23]. E noi, per non apparire soltanto impertinenti, continuiamo a leggere:

Le scienze naturali  hanno svolto un’enorme attività e si sono appropriate di un materiale ognora crescente. Ciò non di meno la filosofia è rimasta loro estranea tanto quanto esse sono rimaste estranee alla filosofia. La loro momentanea unione è stata soltanto una fantastica illusione. Il volere c’era, ma mancò il potere. La stessa storiografia fa attenzione alle scienze naturali solo incidentalmente: come momento del rischiaramento dei pregiudizi e dell’utilità di certe grandi scoperte. Ma quanto più praticamente la scienza della natura è penetrata, mediante l’industria, nella vita umana e l’ha riformata e ha preparato l’emancipazione umana dell’uomo, tanto più essa immediatamente ha dovuto completarne la disumanizzazione. L’industria è il reale rapporto storico della natura, e quindi della scienza naturale, con l’uomo. Se, quindi, essa è intesa come rivelazione essoterica delle forze essenziali  dell’uomo, anche la umanità della natura o la naturalità dell’uomo è intesa. E però le scienze naturali abbandonano il loro indirizzo astrattamente materiale, o piuttosto idealistico, e diventano la base della scienza umana, così come ora sono già divenute – sebbene in figura di alienazione – la base della vita umana effettiva; ed una base per la vita e un’altra per la scienza, questo è senz’altro una menzogna…

Ed è precisamente da questo punto, in chiusura e conclusione del paragrafo, che incontriamo la formulazione che con indubbia chiarezza mostra la pertinenza del nostro richiamo a Marx:

La natura che nasce nella storia umana – nell’atto del nascere della società umana – è la natura reale dell’uomo, dunque la natura come diventa attraverso l’industria – anche se in forma alienata – è la vera natura antropologica.[24]

Non troppo diversamente da Marx sembra essersi posto Kubler per le sue “considerazioni sulla storia delle cose”:  

Oggi archeologia ed etnologia si occupano in senso assai vasto delle manifestazioni materiali delle civiltà, mentre da parte sua la storia dell’arte studia i prodotti più espressivi e meno utilitari dell’industria umana. La famiglia delle cose comincia ad apparire molto più piccola di quanto non si fosse una volta pensato. Le più antiche reliquie dell’opera dell’uomo sono gli arnesi dell’età della pietra. Da questi arnesi alle cose di oggi [per quanto si presentino tutte nella particolare figura di alienazione della merce - aggiungiamo noi] non c’è soluzione di continuità: è un’unica e lunga serie di oggetti, che si è ramificata più volte ed è spesso finita in rami morti. Intere sequenze vennero naturalmente a mancare quando si estinsero le stirpi artigiane o quando si ebbe il crollo di una civiltà. Ma il flusso delle cose non conobbe mai un arresto totale: tutto ciò che esiste oggi è una replica o una variante di qualcosa che esisteva qualche tempo fa e così via, senza interruzione, fino ai primi albori della vita umana.[25]

L’aristocraticità della scienza bollata da Marx e la piccolezza della famiglia delle cose dell’arte di Kubler sono dei chiari riferimenti a studi storici dell’arte che appartengono al passato, segnati indelebilmente da una medesima impostazione che li limitava ad ergersi su basi biografiche e svilupparsi in genesi episodiche, sia pure concordemente ad un qualche “stile” periodizzato e localizzato. Forse anche per l’arte Marx direbbe la stessa cosa che dice per il proletariato, ossia che “non ha bisogno d’altro che di un chiarimento critico”.      

[…] … le sole reliquie di storia costantemente accessibili ai nostri sensi sono le cose desiderabili create dall’uomo… Tali cose segnano il passaggio del tempo con una precisione assai più grande di quanto non immaginiamo, popolandolo di forme di limitata varietà. Come i crostacei abbiamo anche noi bisogno per sopravvivere di una corazza esterna, una conchiglia di città storiche e di cose appartenenti a un’epoca ben definibile del nostro passato. Il nostro modo di descrivere questo passato visibile resta però estremamente rudimentale. Uno studio sistematico delle cose create dall’uomo è iniziato appena cinquecento anni fa, con la descrizione delle opere d’arte nelle biografie degli artisti del Rinascimento italiano: bisognerà attendere fino a dopo il 1750 perché tale metodo venga esteso allo studio di tutte le cose in genere.[26]

Crediamo che l’autore abbia riportato una data precisa ma la intendeva riferire all’intero secolo dei Lumi e all’Illuminismo in generale [27], ossia al pensiero ancora “rivoluzionario” e genuinamente materialista della borghesia; un pensiero che viene quasi subito irretito per essere convogliato nelle Accademie nazionali a sostegno ideologico della conservazione del nuovo ordine sociale.
Ed è ancora in questa fase di conservazione che si trova il pensiero borghese quando, poco prima della sua seconda rivoluzione (1848) Marx ne traccia il bilancio fallimentare che abbiamo già visto: la momentanea unione tra scienze naturali e filosofia è stata solo una fantastica illusione.
E così poi Kubler, con alle spalle due guerre imperialiste e i qui pro quo ideologici del bolscevismo statizzato, è costretto a riprendere – non importa se inconsapevole – il filo storico per un programma di uno studio sistematico, “scientifico” dell’arte, oltre un secolo dopo che Marx ne aveva indicato la base concreta su cui ergersi.                
Si vede come la storia dell’industria, l’esistenza divenuta oggettiva dell’industria, sia l’aperto libro delle forze essenziali umane, la psicologia umana sensibilmente presente, che finora non fu vista nella sua connessione con l’essenza dell’uomo, ma sempre solo come un esteriore rapporto di utilità perché – muovendocisi entro l’alienazione – si seppe vedere come realtà delle forze essenziali umane e atti dell’uomo come ente generico soltanto l’esistenza generale dell’uomo, la religione, o la storia nella sua essenza generale-astratta, come politica, arte, letterature etc. Nell’ordinaria industria materiale (che si può prendere tanto bene come una parte di quel generale movimento che come una parte speciale dell’industria, poiché ogni umana attività è stata finora lavoro, e dunque industria, attività alienata a se stessa) abbiamo davanti, sotto forma di oggetti sensibili, estranei, utili, sotto la forma dell’estraniazione, le forze essenziali oggettivate dell’uomo. Una psicologia cui sia chiuso questo libro, cioè precisamente la parte la più presente sensibilmente e la più accessibile alla storia, non può diventare una scienza reale e con effettiva pienezza di contenuto.[28]

Mi sta tanto a cuore la verità che preferisco essere un calzolaio

Giusto per condividere una stessa generale visione con altri studiosi della storia della scienza e della società, possiamo leggere in pagine più recenti la necessità di integrare proficuamente il campo delle osservazioni delle attuali discipline scientifiche ampliando la loro specifica storia interna con quella esterna.

Il risultato più appariscente del dibattito sulla scienza del XVII secolo è stata la cosiddetta tesi di Merton [29], in realtà due tesi sovrapposte di origine diversa. Entrambe vogliono in definitiva rendere conto della speciale produttività della scienza del XVII secolo ponendo in relazione i suoi nuovi valori ed obbiettivi – riassunti nel programma di Bacone e dei suoi seguaci – con altri aspetti della società del tempo.
La prima, che è debitrice di qualche cosa alla storiografia marxista, pone in evidenza in che grado i baconiani speravano di imparare dalle attività pratiche ed a loro volta rendere utile la scienza. Più volte essi [i baconiani] studiarono le tecniche degli artigiani contemporanei – vetrai, fonditori, marinai e così via – e molti dedicarono almeno una parte del loro interesse ai più urgenti problemi pratici del loro tempo, per esempio quelli della navigazione, della bonifica delle terre e del disboscamento.
I nuovi problemi, dati e metodi sviluppati da questi nuovi interessi sono, ipotizza Merton, una causa fondamentale della drastica trasformazione subita da un certo numero di scienze durante il XVII secolo. La seconda tesi pone in evidenza le medesime novità del periodo, ma guarda al puritanesimo come loro principale stimolatore. (Non vi è necessariamente conflitto. Max Weber, le cui pioneristiche proposte Merton stava investigando, aveva argomentato che il puritanesimo aiuta a legittimare l’interesse per la tecnologia e per i mestieri utili).
I valori delle comunità puritane stabilizzate – per esempio, l’enfasi sulla assoluzione attraverso il lavoro e sulla comunicazione diretta con Dio attraverso la natura – si dice abbiano stimolato sia l’interesse per la scienza che il tono utilitaristico, empiristico e strumentale che caratterizzarono la scienza stessa durante il XVII secolo. Entrambe queste tesi sono state da allora estese ed anche duramente contestate, ma nessun accordo ne è scaturito.[30]
[…] Trattare questi sviluppi [tecnici] come conseguenze emergenti della Rivoluzione Scientifica equivale a trascurare una delle trasformazioni storiche costitutive dello scenario contemporaneo. Molte discussioni attuali sulla politica della scienza sarebbero più fruttuose se la natura di tale mutamento fossero meglio comprese.
Tornerò su questa trasformazione, ma voglio prima schematizzare, per quanto semplicisticamente e dogmati-camente, alcuni concetti base di essa. Scienza e tecnologia erano state attività separate prima che Bacone ne annunciasse la fusione all’inizio del XVII secolo ed esse rimasero separate per almeno altri tre secoli. Fino alla fine del XIX secolo le innovazioni tecnologiche significative non provennero quasi mai dagli uomini, dalle istituzioni o dai gruppi sociali che contribuirono alla scienza.
Per quanto gli scienziati tentassero talvolta ed attraverso i loro portavoce proclamassero spesso dei successi, i reali miglioratori della tecnologia furono principalmente artigiani, capiofficina ed ingegnosi inventori, un gruppo questo spesso in acuto contrasto con i gruppi contemporanei che lavoravano nelle scienze. Disprezzo per gli inventori appare ripetutamente nella letteratura scientifica, ed ostilità verso i pretenziosi, astratti e svaniti scienziati è tema persistente nella letteratura tecnica. Vi è anche la dimostrazione che questa polarizzazione tra scienza e tecnologia abbia profonde radici sociologiche, poiché quasi nessuna delle società storiche ha operato con successo a promuoverle entrambe nello stesso tempo.[31] 

Al suo rammarico per la difficoltosa situazione della propria disciplina, l’eminente storico della scienza avrebbe potuto trovare causa e risoluzione nella eco lontana di un paradigma tuttora rivoluzionario, ossia ancora inconcepibile al pensiero borghese:

...non v’ha dubbio che la forma di produzione capitalistica, e la situazione economica dell’operaio che ad essa corrisponde, stanno agli antipodi con quei fermenti rivoluzionari e con la direzione nella quale essi vanno: la soppressione della vecchia divisione del lavoro. Ma lo sviluppo degli antagonismi di una forma storica di produzione è l’unica via storica possibile al suo dissolvimento e alla sua metamorfosi. (E’ qui, il segreto del movimento storico che i dottrinari, ottimisti o socialisti, non vogliono capire). Ne sutor ultra crepidam! … Il calzolaio non vada oltre la scarpa!, questo nec plus ultra della saggezza artigianale è divenuto follia e maledizione dal giorno in cui l’orologiaio Watt ha inventato la macchina a vapore, il barbiere Arkwrigth il telaio continuo, il garzone-orefice Fulton il battello a vapore.[32]

Quando Vincent van Gogh scrive al fratello Theo [33] che preferirebbe essere appunto un calzolaio con i colori, forse lui può anche aver preso atto della situazione mutata dall’epoca dei telai a mano e della pittura a mano. Si sentì per questo tanto separato da sé stesso d’andarsi a sparare in un campo di grano? (Poi magari arriva pure Niky de Saint Phalle, e invece di spararsi prende a fucilate l’opera e salva l’artista…)
Sono anche qui i segreti del movimento storico? Quegli enigmi che impediscono alla storia della scienza o a quella dell’arte di comprendere come fa l’uomo a conoscere e produrre la sua propria vita da quando le macchine…

…sono prodotti dell’industria umana: materiale naturale trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana; capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso; fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale.[34]

Basterebbe prendere atto della nozione a dell’azione del cervello sociale – che lo sviluppo della tecnologia ha contribuito a far emergere concretamente dall’offuscato fondale della vecchia divisione del lavoro – per risparmiare alla scienza, all’arte o ad altre separate discipline, tanti futili problemi di datazione o attribuzione di personali “creazioni” che non possono appartenere interamente a nessuno in particolare se non, segnatamente, quali momenti di un unico processo conoscitivo della natura da parte della specie… e così sbarazzare da tali secolari crucci anche il nostro stimabile storico della scienza, verso cui rimaniamo vecchi debitori [35].

 

La bellezza e la verità

La metafora del “libro” cui Marx ricorre più volte per fare della storia dell’industria un “aperto libro” delle forze essenziali umane, ci sembra richiamarsi al medesimo uso fondativo [36] che ne aveva fatto Galileo per la scienza e la conoscenza dell’universo:

La filosofia [naturale ] è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intendere umanamente parola; senza i quali è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.[37]      

Già Leonardo da Vinci all’inizio del suo Trattato della Pittura [1498?] affermava che « Nessuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni… Nessuna certezza è dove non si può applicare una delle scienze matematiche, over che non sono unite con esse matematiche… Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confusione, e mai porrà silenzio alle contraddizioni delle sofistiche scienze colle quali s’impara uno eterno gridore.».[38]
C’è in questi pensieri un’eco del “Non entri chi non sa di geometria” che la tradizione vuole campeggiasse sulla porta dell’Accademia platonica; e i platonici, come prima i pitagorici, avrebbero gradito molto sentir dire dal poeta romantico Keats che “bellezza è verità, verità è bellezza”[39].
E qui troviamo un punto di connessione problematica tra le qualità dell’essere (sensibile, psicologico, empatico, estetico) e del conoscere (oggettivo, indifferente, scientifico, logico formale, gnoseologico-epistemico), che ci riporta alla materia che stiamo trattando: l’Arte, o, per dirla in termini ottocenteschi il Bello e la Bellezza.
Molto più recentemente, anche l’ornitologia si è interessata a questo nostro principale argomento [40], imbattendosi inevitabilmente con la poetica affermazione che unisce in un’unica moneta (s’intende non falsa)  la verità e la bellezza:

Keats scriveva questi versi decenni prima di Darwin e non sapeva nulla di evoluzione, eppure, stranamente, essi rappresentano in modo perfetto l’idea, profondamente radicata nella biologia evolutiva, secondo cui la bellezza è sinonimo di onestà. Quella di Keats potrebbe essere la sintesi suprema del paradigma del segnale onesto di Zahavi. E’ una conclusione stupenda per una poesia, ma una ben povera guida per la comprensione della bellezza in natura. L’aforisma di Keats è in effetti una banalità – una visione fasulla che vorrebbe sembrare profonda, ma semplifica eccessivamente la complessità del mondo reale. All’apparenza è una soluzione geniale, ma in realtà è pericolosamente fuorviante. Shakespeare, al contrario, pur essendo vissuto secoli, e non decenni, prima di Darwin, ha creato un personaggio con una visione molto più complessa della verità e della bellezza. Nella prima scena del terzo atto dell’Amleto, Amleto incontra l’amata Ofelia, che lo ha da poco allontanato senza spiegazioni. Ofelia, le cui azioni sono in realtà guidate dal padre, restituisce ad Amleto le sue lettere ed afferma di non apprezzare più le sue poesie perché “i doni più ricchi si fanno poveri quando i donatori i mostrano crudeli”. Comprensibilmente, Amleto è ferito da quel gesto e, sapendo di essere innocente si insospettisce. E’ chiaro che Ofelia sta mentendo, ma è bellissima come sempre, e Amleto comincia a riflettere sulla relazione tra verità e bellezza. […] …il sagace Amleto fa una descrizione ben più disincantata dell’alleanza tra bellezza e verità rispetto a quella romantica di Keats. La bellezza, dice Amleto, ha la capacità di trasformare la verità in una ruffiana, nella maîtresse di una casa di appuntamenti che vende ai clienti un amore falso e fugace. In effetti, e qui l’affermazione di Amleto è assolutamente fisheriana, è il potere della bellezza a minare l’onestà e a mutarla nel suo esatto contrario. Il paradosso di Amleto rappresenta la sfida che si presenta a tutti noi quando tentiamo di riconciliare la seduzione della bellezza con il profondo desiderio di credere che essa serva a un fine più elevato, che sia un bene assoluto, il riflesso di valori oggettivi e universali. Da una parte c’è Keats, i cui versi sono la rappresentazione perfetta nel nostro desiderio di vedere nella bellezza un indicatore “onesto” di qualità, di una superiorità di qualche tipo. Dall’altra c’è Amleto che ha imparato dall’esperienza che la bellezza non equivale a verità: la bellezza non è altro che bellezza e vale per se stessa, e anzi entra spesso in conflitto con la verità. Da un lato c’è l’insistenza sul “significato”, dall’altro l’accettazione realistica che il potere capriccioso della bellezza possa distruggere la verità stessa. Queste due visioni contrapposte sono alla base del dibattito contemporaneo al quale ho voluto contribuire con questo libro.[41] 

Detto ciò, il punto problematico della controversa congiunzione di bellezza e verità, allora verrebbe dato dal fatto che da parte sua la scienza ha sempre cercato di eliminare il soggettivo (sentire) dalla propria (oggettiva) descrizione del mondo [42]. Nondimeno vediamo spesso la scienza trarre conoscenza dalla bellezza, o dall’eleganza – che del Bello potrebbe essere una versione integrata con la ragione logica per una esposizione dimostrativa non stilizzata, resa semplice e svelta anche nel completare (simmetricamente, simultaneamente) “altre” teorie e ipotesi conoscitive.
Dal 1935 fino alla morte avvenuta nel 1984, le ricerche del fisico Paul Dirac, ad esempio, si caratterizzano per una forte spinta verso l’eleganza formale, che per lui era la chiave di volta della fisica. A suo parere, una teoria non bella non poteva essere vera. Nel 1956, secondo una vecchia tradizione, gli fu chiesto di scrivere su una lavagna dell’università di Mosca una frase da lasciare ai posteri, ed egli scrisse: «Una legge fisica deve essere dotata di bellezza matematica».

Secondo Paul Dirac la natura doveva essere scritta in lingua matematica, e anche in modo elegante. A parer suo, verità e bellezza erano due facce della stessa medaglia, e la bellezza di una teoria dal punto di vista matematico costituiva un forte indizio di verità. Arrivò persino a dire che avrebbe preferito un’idea bella rispetto a una vera, e che la bellezza era più importante della semplicità. […] Tutti  i suoi lavori migliori sono matematicamente eleganti e la bellezza per lui ha sempre costituito un test che gli consentiva di capire se si stava muovendo nella giusta direzione. Tutto ciò sembra implicare che l’eleganza non sia la stessa cosa della verità fisica, ma che sia necessaria, non sufficiente, per la verità. Molte teorie esteticamente magnifiche si sono dimostrate dei vaniloqui, dopo essersi confrontati con gli esperimenti. […] Eppure ci sono tante prove del fatto che la natura, in fondo, è bella.[43]

In una lettera ad Einstein, Werner Heisemberg scriveva:

Potrebbe obiettare che con il tirare in ballo la semplicità e la bellezza io stia introducendo nel discorso criteri di verità estetici; ammetto francamente di essere molto attratto dalla concisa eleganza degli schemi matematici con cui il mondo si presenta all’uomo. Anche lei deve essersi sentito così, quando la natura ci sciorina davanti all’improvviso le sue relazioni, la cui semplicità e completezza mi fanno quasi paura.

Da parte sua Einstein ricordava bene come ai tempi della relatività speciale del 1905 i primi esperimenti sembravano favorire la teoria di Max Abraham. Ma non ne fu turbato, perché aveva piena fiducia nei principî su cui era basata la relatività, che la rendevano meno arbitraria, e quindi più elegante dell’altra; e nuove misure più accurate gli diedero ragione: le forze del vero e del bello finirono per convergere.
Einstein era inoltre ben consapevole del fatto che molte idee fondamentali ancora ci sfuggivano, come la natura del tempo, le cause prime del comportamento ordinato della materia, la forma dell’universo ecc., e che quindi avremmo fatto bene a ricordarci quanto eravamo ancora lontani da una teoria onnicomprensiva, qualunque essa fosse.
Dunque, fino a quando è utile, l’eleganza matematica può anche fornirci verità belle, seppur locali e temporanee, nondimeno è il miglior modo a nostra disposizione per andare avanti.

In cosa poi consista precisamente la bellezza, l’eleganza o la semplicità nella scienza o nell’arte, per il momento lo affidiamo all’intuizione di ognuno, accontentandoci soltanto di aver evocato queste suggestive qualità per farle agire liberamente nel nostro racconto – confortati in ciò da un’autorevole osservazione per la quale «nonostante che il solo filosofo possa essere un esperto di estetica, l’esperienza estetica è di ogni uomo»[44].    

pagina


[1] . Lev Trotsky, Cultura e arte proletaria, in Letteratura e rivoluzione, URSS 1923; it. da Letteratura arte libertà, ed. Schwarz, Torino 1958, pag. 73. Per il metodo di Marx, vedi il Poscritto alla seconda edizione del Capitale (sarà riportato nella seconda parte della presente Ricognizione, nel prossimo almanacco).

[2] . Sul “formalismo” vedi precedenti in nømade 15-2018 (Pdf pag. 67 seg.) e nømade 05-2011 (Pdf pag.117-19)

[3] . “Father Time” nei paesi non solo anglosassoni è l’immagine dell’anno vecchio: o, nel senso esteso, del tempo che sempre avanza di corsa verso l futuro però guardando indietro, verso il passato.

[4] . Erwin Panofsky, Studi di iconologia, 1939; it. Ed. Einaudi, Torino 1975-2009, pag. 89 seg..

[5] . Immagini e figure del Tempo (che vanno dal Kairos classico al Fanete, dal Saturno romano alla Morte medievale, alla rappre-sentazione del Tempo nel Quattrocento, eccetera) come sono tramandate nella pittura pompeiana, nei codici miniati medievali o da svariati artisti quali Jacopo Pisellino, Gregorio de Gregorii, Dürer, Bronzino, Bernini, Tiepolo, ecc., fino a Poussin.

[6] . George Kubler, Simbolo, forma a durata; premessa a La forma del tempo (1962), it. Einaudi, Torino 1972, pgg. 3,4. > Leggi qui in allegati la conclusione del testo.

[7] . Friedrich Engels, lettera a Franz Mehring del 14 luglio 1893, in Lettere di Engel sul materialismo, ed. Iskra, Firenze 1982, pag. 65 (il concetto viene ripreso più avanti - nel Pdf a pag. 48).

[8] . L’arte raccontata ai compagni, in almanacco nømade n.19, pag. 63: “Cos’è dunque ciò che l’opera (d’arte) mirabile fa dimenticare mettendola a tacere? L’intenzione dell’artista, la comunità e il suo scopo, il granello di dura sabbia, o tutte queste cose assieme?… C’è in questa descrizione [di Gombrich] un nocciolo duro come un granello di sabbia, che tuttavia va progressivamente svaporandosi in un compito dettato dal corpo sociale per finire in una intenzione del singolo…”. Ci riferivamo grosso modo appunto a ciò che per i significati Kubler indica come “sostegni” o “vettori del significato”, il cui studio metodico, dopo essere nato in un periodo storicamente rivoluzionario (anche per il pensiero borghese - come vedremo più avanti), viene rinnegato, abbandonato quando non deriso, non appena anche la sua fase rivoluzionaria è alle spalle: tanto vale per l’arte come per la scienza (cfr. A. Bordiga, Riunione di Bologna del 13 novembre 1960, ora nella rivista n+1, numero doppio 15-16, giugno-settembre 2004, particolarmente pag. 152).

[9] . George Kubler, Simbolo, forma a durata, cit.

[10] . Che tuttavia può interferire (con “gruppi simbolici”) e interrompere così “la regolare evoluzione del sistema formale” … - ma qui ci sembra porsi ed agire un netto dualismo tra forma e significato che impedisce di considerare tali interferenze del significato come partecipi anch’esse all’evoluzione del sistema formale e, a fortiori, della lingua stessa…

[11] . Enzo Tiezzi, Fermare il tempo, ed. Raffaello Cortina, Milano 1996, pag. 123 (corsivi nostri).

[12] . La forma dello gnomone, della clessidra o dell’orologio sono forme delle “macchine” di misurazione (quantitativa) del tempo non forme (qualitative) del tempo, e specificatamente – quando le vediamo rappresentate nelle opere d’arte – raffigurazioni simboliche del tempo dell’uomo e per l’uomo (…storico, solitamente occidentale e più o meno moderno). 

[13] . Karl Marx, Taccuino berlinese del 1841, estratti su Leibnitz, in MEGA 2 IV/1, Exzerpte und notizien bis 1842, Berlino, Dietz Verlag, 1976, pag. 20.

[14] . Da Karl Marx, F. Engels Werke, Ergänzungband, Erster Teil, Berlin 1968, pp 3-12. La Lettera fu pubblicata per la prima volta, con un’introduzione della figlia Eleanor (dirigente comunista, più tardi morta suicida) su Die Neue Zeit XVI 1897. Leggi in almanacco nømade n.16, ottobre 2018, pag. 21 seg.

[15] . Tralasciando le sue letture scientifiche alla British Library, che frequenta assiduamente dal 1846 al 1873, nella sua biblioteca privata di Marx si è trovata una consistente presenza di volumi d’argomento scientifico.

[16] . Riguardo al ruolo del tema nell’immaginazione scientifica possiamo leggere in Holton: “Cosa c’è dietro le scelte chiaramente quasi estetiche che fanno alcuni scienziati – per esempio, nel rifiutare come semplicemente ad hoc un’ipotesi che ad altri scienziati può sembrare una verità necessaria? Il terreno da cui scaturiscono queste scelte è confinato nell’ambito dell’immaginazione scientifica o si estende oltre di essa? Per trattare questioni di questo tipo io ho proposto una nona componente per l’analisi del lavoro scientifico, cioè l’analisi tematica (un termine familiare per l’uso in certa misura simile che se ne fa in antropologia, critica dell’arte, musicologia e altri campi). In molti (forse nella più parte) dei concetti, metodi proposizioni e ipotesi della scienza, passati e presenti, ci sono elementi che hanno la funzione di temi: costringono il singolo a certe scelte e le motivano e a volte guidano (normativamente) e polarizzano l’interesse di tutta la comunità scientifica.” – Gerald Holton, L’immaginazione scientifica (1973-79), ed. Giulio Einaudi, Torino 1983, pag. 7.

[17] . Giovanni Previtali nell’introduzione a La forma del tempo, cit., pag. XVI – Sull'architetto sassone Gottfried Semper vedi in almanacco nømade n.17 (N.d.R. 1), e qui in allegato i manoscritti della sua Prefazione a Theorie des Formell-Schönen.

[18] . Noi usiamo il termine “formalismo” in una accezione molto estesa (vedi qui), inclusiva di più poetiche e pratiche artistiche o correnti di pensiero, che si sono manifestate e sviluppate, particolarmente a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, per oltre un secolo.    

[19] . Vedi in nømade n.19, Superuomo ammosciati (1953), pag. 98.

[20] . Previtali, cit., pag. XI seg.

[21] . Una discussione attorno gli aspetti della personalità e “creatività” artistica è svolta in Previtali, cit., pp. XIII-XVIII - Anche Lionello Venturi (Storia della critica d’arte, ed. Einaudi, Torino 1964) dove a conclusione del capitolo sulla critica d’arte e la pura visibilità (pp.279-301), leggiamo: “I simboli della pura visibilità sono oggi adoperati comunemente dagli storici dell’arte e dai critici d’arte. Molti anzi li moltiplicano, ciò che è un vantaggio. Il loro compito è un approccio alla singola opera d’arte (sic!). L’idea paradossale sarebbe di trovare un simbolo per ogni opera d’arte (sic!). Il loro uso reca con sé alcune forme equivoche di storia dell’arte. Per esempio la storia dei simboli astratti intesi come storia genetica dell’arte, oppure la storia dell’arte ‘senza nomi’, perché storia limitata ai modi di vedere. Sarebbe un disconoscere la funzione della personalità nell’opera d’arte, quale il Fiedler stesso ha dichiaratamente indicata.”… Notoriamente, la lingua batte… – e nel dolore si parla di storia dell’arte ma si pensa al singolo artista, si pensa cioè la storia dell’arte come storia dei suoi protagonisti; si nomina una funzione della personalità nell’opera d’arte ma si spera di far credere che possa valere come funzione della volontà dei singoli sulla storia dell’arte – … mentre il dente duole! 

[22] . George Kubler, cit., pag. 7.

[23] . Karl Marx, Opere filosofiche giovanili  (Terzo manoscritto, 1844), Editori Riuniti, Roma 1969, pag. 232.

[24] . Ibidem, pag. 232 seg..

[25] . Kubler, cit., pag. 8.

[26] . Ibidem, pag. 7 seg..

[27] . Giusto per orientarci sul senso di questa data, riportiamo di seguito parte della voce Illuminismo redatta  da Paolo Casini per l’Enciclopedia delle scienze sociali della Treccani (1994):
«…Sotto la sfida del modello analitico lockiano-newtoniano, le tradizionali scienze del conoscere e dell'agire umano - gnoseologia, psicologia, etica, politica, economia - si trasformarono in progetti sperimentali. La rinascita della fisica corpuscolare contribuì a riformulare su nuove basi i tradizionali problemi della sensibilità, delle facoltà dell'anima e dei suoi rapporti con il corpo. Il Saggio sull'intelletto umano (1688) di Locke rigettava le idee innate e limitava l'orizzonte gnoseologico alla sfera dei sensi e della riflessione, svuotando le vecchie categorie metafisiche di sostanza e di causa. I suoi seguaci risolsero in senso agnostico, a volte esplicitamente materialistico, il dualismo tra mente e materia, e affrontarono lo studio delle funzioni mentali con i medesimi criteri usati con successo per i fenomeni fisiologici, fisici, astronomici. Vari progetti di una 'scienza della natura umana' e del contesto sociale si proposero di competere per rigore e sistematicità con le scienze naturali. […] …l'antropologia degli illuministi si richiamò a premesse lockiane. Nelle Lettere filosofiche (1734) Voltaire elogiò Locke per aver saputo sostituire all'antico 'romanzo dell'anima' la 'storia' delle sue operazioni e funzioni, e considerò come un'ardita ipotesi di lavoro la cauta congettura lockiana secondo la quale la materia "potrebbe essere capace di pensare". Su questo medesimo terreno si mossero i sensisti e i materialisti: nella sua prima opera, il Saggio sulle origini delle conoscenze umane (1746), Condillac ripercorse il tracciato dell'analisi lockiana tentando di ricostruire la successione delle operazioni della mente a partire da un solo principio, la sensibilità, alla quale ridusse i bisogni, le reazioni agli stimoli ambientali, il linguaggio e le più complesse funzioni intellettuali. > (continua) >

> (continua) > Nel Trattato sulle sensazioni (1754) si servì della metafora di una "statua organizzata internamente come noi", che acquista gradualmente l'uso dei cinque sensi, per definire le varie sfere dell'attività sensoriale e la rete delle loro interconnessioni (sinestesia), attribuendo al tatto un ruolo fondamentale nella rappresentazione del mondo esterno. Se questo approccio metodico si poneva già sul terreno della psicologia sperimentale, un deciso materialista come Julien Offroy de la Mettrie estese allo studio della mente umana il modello esplicativo della medicina iatromeccanica. Nella Storia naturale dell'anima (1745) e in L'uomo-macchina (1748) tutti gli aspetti della vita psichica sono ricondotti entro una prospettiva fisiologica e visti come epifenomeni 'meccanici' dell'organismo. Al di là delle dichiarazioni programmatiche - volutamente provocatorie nei confronti di ogni dottrina spiritualistica - La Mettrie usò ingegnosi criteri comparativi che mettevano a confronto non soltanto il corpo e la psiche, ma la psicologia e fisiologia umana e quella del regno animale. Louis Leclerc de Buffon, nella sezione L'uomo della sua Storia naturale (1749), intraprese una descrizione comparativa che, pur rendendo omaggio alla spiritualità dell'anima, considerava la 'scienza dell'uomo' come parte di una più vasta indagine fisiologica, biologica, zoologica. Queste proposte teoriche sollevarono vivaci controversie sia all'interno che all'esterno dell'Encyclopédie (1751 ss.). Pochi anni più tardi, Claude-Adrien Helvétius estese la discussione gnoseologica ai problemi delle interazioni tra natura e cultura, individuo e ambiente. I suoi trattati Sullo spirito (1758) e Sull'uomo (1770) collocano la 'scienza dell'uomo' sul terreno sociale ed educativo, abbozzando una spiegazione comportamentistica dei fatti psichici…»

[28] . Marx, Opere filosofiche giovanili , cit. 232.

[29] . Robert K. Merton, Scienza, tecnologia e società nell’Inghilterra del XVII secolo (1938), ed. it. Franco Angeli, Milano 1975. [Robert King Merton [Filadelfia, 5 luglio 1910 – New York, 23 febbraio 2003) è stato un sociologo statunitense della corrente funzionalista, figlio di immigrati dell'Europa dell'Est. È forse meglio conosciuto per aver coniato espressioni come "profezia che si autoavvera" e altre entrate nel linguaggio comune come "effetto San Matteo" o per l'uso scientifico del termine "serendipity".]

[30] . Thomas S. Kuhn, Le relazioni tra la storia e la filosofia della scienza (1968-76), in The Essential Tension (1977), it. La Tensione Essenziale. Cambiamenti e Continuità nella Scienza,  ed. Einaudi, Milano 1985, pag, 126 seg..

[31] . Ibidem, cit. pag. 156.

[32] . Karl Marx, Il Capitale, libro I, sez. IV, cap. XIII (1867), ed. UTET de Agostini, Novara 2013, pag. 637. 

[33] . Vincent a Theo, Saint-Rémy 12 febbraio 1890 (n. 854-626): “...Mi sta tanto a cuore la verità e il cercare di rendere il vero anche, che credo insomma, credo di preferire di essere un calzolaio piuttosto che un musicista, con i colori...”. In questa lettera per due volte Vincent si paragona ad un calzolaio. “In tutta sincerità lei fa una pittura da pazzo!”, avrebbe detto Cézanne a van Gogh (riportato da Bernard in una lettera a sua madre del 1908). Davanti al quadro delle scarpe di van Gogh al filosofo [Heidegger] si palesa la contadina e il suo mondo; davanti ai propri quadri a van Gogh si palesa il ciabattino! – Un tema molto trattato nella pittura del XVII secolo è stato affrontato anche da Poussin in una tela custodita al museo del Louvre: Il Tempo salva la Verità (Time Saving Truth), e risale allo stesso periodo della Danza, sostiene Anthony Blunt nel catalogo critico delle opere di Poussin (cfr. nota 49 nella pagina seguente).

[34] . Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-1858). Ed. La Nuova Italia, Firenze 1971, vol. iI. pag. 403.

[35] . Thomas Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), it. ed. Einaudi, Torino 1969.

[36] … della matematica.– In Marx l’esigenza della lingua “matematica” di Galileo intanto si estende alla conoscenza della psicologia (estetica, antropologica) [“Allo scopo di completare gli elementi trascurati [dall’estetica] dobbiamo procurarci una migliore psicologia su base matematica, come quella di Herbart” (vedi Marx, alla voce ”Estetica”, corsivi nostri)] – ma è ritenuta fondativa anche per la scienza dell’economia e la conoscenza in generale.

[37] . Galileo Galilei, Il saggiatore, 6  (1619.22); in Opere a cura di Ferdinando Flora, ed. Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli 1953, p. 121.
Questo concetto è comune a più pensatori del Rinascimento e a qualche contemporaneo di Galileo, come Campanella e Francesco Bacone.

[38] . Cfr. Francesco Flora, Antologia leonardesca, ed. Istituto Editoriale Cisalpino, Milano 1947, pp. 52-53.

[39] . John Keats 1819, Ode on a Grecian Urn (Ode su un’urna greca).  « Bellezza è verità, verità è bellezza, / questo solo Sulla Terra sapete, ed è quanto basta ».

[40] . Richard O. Prum, The Evolution of Beauty. How Darvin’s Forgotten Theory of Mate Chois Shapes the Animal Word – and Us (2017); it. L’Evoluzione della Bellezza. La teoria dimenticata di Darwin (2017), Ed. Adelphi, Milano 2020. «Un approccio interessante per comprendere il dibattito “Darwin contro Wallace” sulla scelta del partner è mettere a confronto il valore della bellezza con quello della moneta. Secondo il vecchio “sistema aureo”, il valore di un dollaro era tale perché ciascun dollaro poteva essere scambiato con un minuscolo frammento d’oro. Il valore del dollaro era estrinseco, il dollaro valeva come surrogato di un altro oggetto di valore: l’oro. Già dalla metà del ventesimo secolo, però gli economisti e i governi si resero conto che il valore del denaro era una semplice convenzione, un “espediente sociale” per citare Paul Samuelson. Oggi un dollaro ha un valore intrinseco: i dollari (come qualunque moneta) hanno un valore perché la gente generalmente concorda sul fatto che ce l’abbiano. L’oro non c’entra più nulla. La visione adattazionista della bellezza è analoga al sistema aureo. Secondo questa visione la bellezza non ha valore in sé; il suo valore esiste solo in quanto essa richiama altre cose, che hanno un valore intrinseco, oggettivo, come i geni di buona qualità o i vantaggi diretti. Al contrario, nella visione darwiniana/fisheriana la bellezza funziona come tutte le monete al giorno d’oggi. Ha un valore perché neò corso dell’evoluzione gli animali hanno concordato che ne ha. La bellezza ha un valore intrinseco, che può evolversi da sé. Come il denaro, la bellezza è un “espediente sociale”… I sostenitori di un ritorno al sistema aureo, detti goldbugs nel gergo di Wall Street, sono ancora convinti che lasciarlo sia stato immorale e sconsiderato. Gli scienziati neo-wallaciani, i goldbugs dell’evoluzione, sono convintissimi che dietro ogni ornamento sessuale ci sia una pentola d’oro, carica di geni di buona qualità o vantaggi diretti per la femmina, e continuano a sostenere questa visione come se fosse l’unica cosa ragionevole da fare. Proprio come i goldbugs, gli scienziati neo-wallaciani non esitano a definire “perverse” tutte le altre ipotesi». (cit. pag, 123 seg.).

[41] . Ibidem, pgg. 441-42-43. – Il nostro interesse per l’ipotesi dell’origine naturale e l’evoluzione autonoma del sentire estetico, sviluppata potentemente in questo lavoro di Prum, è di lunga data e potremmo farlo risalire a Plekanov, come è ricordato da un’anticipazione proposta durante la conferenza della riunione redazionale del giugno 2017 a Torino (vedi nømade n.14-2017) tramite un filmato realizzato sulla scorta di un primo trattamento pubblicato successivamente con il titolo La bellezza di Darwin nell'almanacco nømade n.17 del 2019 (nella versione a stampa, a pag. 93 seg.).

[42] . Anche quando l’oggetto della scienza ha le sue radici nell’uomo per sé (nelle sue stesse derivazioni sociali quali rapporti materiali e immateriali, strutturali e sovrastrutturali), essa deve comunque liberarsi del soggetto. E magari allora trova il genere per cogliere la vera antropologia nel tempo storico (per noi, ancora preistorico) della specie. Ecco perché, per facilitarsi il compito, essa inizia sempre dal selvaggio e dal primitivo; ma può far ciò proprio in quanto (l’uomo) non lo è più; ossia solo quando ha superato lo stato selvaggio e primitivo (…e può anche andare a vivere nella “colonia”, ma non vi appartiene, benché ne dipenda economicamente)…

[43] . Ian Stewart, L’eleganza della verità (2007), ed. Einaudi, Milano 2008, pag. 312 seg.

[44] . Thomas S. Kuhn, Le relazioni tra la storia e la filosofia della scienza (1968-76), in The Essential Tension (1977), it. La Tensione Essenziale. Cambiamenti e Continuità nella Scienza, ed. Einaudi, Milano 1985, pag. 16: «In discipline come la logica e, sempre di più come la filosofia della matematica, i problemi che interessano gli esperti sono in generale prodotti dalla disciplina stessa. Le difficoltà di conciliare l’implicazione materiale con la relazione “se… allora” del discorso normale può essere un motivo per cercare sistemi alternativi di logica, ma non riduce l’importanza od il fascino dei problemi creati dai sistemi assiomatici standard. In altre parti della filosofia, principalmente nell’etica e nell’estetica, i praticanti si dedicano ad esperienza che essi condividono con grandi parti dell’umanità, e che non sono in ogni caso riserve speciali di gruppi di esperti nettamente delimitati. Nonostante che il solo filosofo possa essere un esperto di estetica, l’esperienza estetica è di ogni uomo.» (Corsivi nostri)


pagina