L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

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Tracce di Lavoro Comune . 2017
arteideologia raccolta supplementi
made n.16 Ottobre 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Elementi e complementi . (appunti I.2)

Riprendiamo qui il filo della nostra ricognizione sull’arte riconoscendo che in questi appunti si trovano spesso inseriti avvisaglie di temi e argomenti poi non sufficientemente svolti o approfonditi. Cose simili possono essere dovute ad una esigenza di tenere d’occhio i binari “dottrinali” ben delimitati tra i quali vogliamo mantenere lo svolgere del nostro tema - che rischia continuamente di scivolare ben oltre la massicciata - senza rinunciare a mostrare o ad alludere alla complessità degli aspetti teorici e pratici dell’arte e del maneggio dell’arte nel nostro modo. Fidiamo pertanto sulla viva narrazione di integrare con spiegazioni opportune quanto manca nelle tracce scritte.   

Efficacia e/o Rendimento 

Durante i nostri incontri in diverse occasioni ci siamo detti che non è interessante tanto l’efficacia quanto il rendimento.
Ora, ad esempio, la scultura in bronzo di un pugilatore situata in uno stadio o in un museo è certamente efficace; l’energia impiegata per modellarla e fonderla, offre un certo bilancio attivo in termini di informazione e conoscenza, il cui rendimento potrebbe misurarsi, diciamo così, in un rendiconto dattiloscritto in una cartella.
Se ora immaginiamo di fare altrettanto con un orinatoio di porcellana prodotto da uno stampo industriale e collocato in un museo d’arte, forse saremmo costretti a constatare che la scarsa o inesistente energia impiegata per produrlo sarà inversamente proporzionale all’elevata efficacia dell’effetto che la sua inaspettata presenza provocherà nel visitatore; e il rendimento dovrà ricavarsi solo dopo aver percorso l’intero arco delle vicende che hanno fatto sì che in un’epoca particolare un pugilatore di bronzo del III secolo a.C. venisse affiancato [1] da un anonimo orinatorio di porcellana prodotto in serie industriali - e ce ne vogliono di pagine con molta informazione e parecchia conoscenza [2] per arrivare a spiegarsi tanto! 
Che poi tali pagine appartengano alla storia della borghesia nella sua ultima fase, non può procurarci che una ulteriore gioia; dopo di che gliele lasciamo volentieri - non prima però di aver constatato che per questa via l’Arte (almeno quella visuale) è stata del tutto conseguente nello sviluppo dell’autoreferenzialismo derivatogli dall’agire dei rapporti capitalistici fino a spingerla a criticare se stessa, anche facendosi beffe di sé e dell’intero suo specifico ambiente.
Dopo di che sarà la rivoluzione a trarre il bilancio definitivo e decidere cosa farne tanto della merda di Manzoni quanto dell’orinatorio in porcellana o di un cesso d’oro zecchino.[3]  
A noi comunque non interessa conoscere l’oggetto particolare ma cogliere le determinazioni sociali e storiche che hanno condotto l’arte a manifestarsi in certe determinate forme.
In qualunque modo si voglia valutare, apprezzare o disprezzare l’astrattismo “formalista”, era tuttavia con le sue determinate espressioni formali che la pittura si era andata affermando nel mondo dell’arte fin dai primi decenni del secolo scorso, ed era quindi “anche” con questa linea dell’arte moderna che occorreva misurarsi e riflettere, non ricorrere a  valutazioni moralistiche o a soluzioni da escogitare con l’ausilio di un’estetica pensata nella testa di qualcuno - e sia pure ritenuta desunta da Marx. E’ anche per queste vie artificiose che si alimenta una visione volontaristica che immagina di poter dirigere dei processi storici, ossia una visione controrivoluzionaria.



La società non può evitare di “rispecchiarsi”, più o meno estesamente, più o meno adeguatamente, nei suoi propri prodotti appunto sociali; ma lo fa immancabilmente trasparire nell’insieme quantitativo della loro massa, più difficilmente e raramente in singoli prodotti di singoli artefici, presi isolatamente; una visione unificatrice della produzione artistica dissolverebbe anche quel senso paralizzante di inadeguatezza del singolo nel futuro poter essere, ad esempio, la mattina spazzino, la sera scultore….
Accade ovviamente che l’esclusione o l’inserimento di certe singolarità all’interno del quadro generale riconosciuto dalla cultura dominante di un’epoca avvengono anch’esse tramite il setaccio dell’ideologia dominante in quell’epoca, e da questo passano preferibilmente quei prodotti (opere, autori) nei quali la classe dominante si ravvisa (o crede di ravvisarsi, con più o meno soddisfazione) decretandone il successo e l’influenza sul procedere e gli sviluppi dell’arte.[4]
Non è detto, però, che riesca immancabilmente a cogliere nell’opera d’arte le sue reali fattezze, così come non è detto che il singolo artista sia completamente a conoscenza di ciò che fa – spesso lo fa proprio con la naturalezza del baco da seta che tesse il suo bozzolo… non il foulard serico dell’uomo di mondo. Ma è in base alle stesse misurazioni che l’ideologia ha preso di queste opere che gli appartengono anima e corpo, che noi possiamo a nostra volta prendere le misure dell’intera società che le ha espresse in certe forme determinate e, proiettandoci nel futuro, lasciarle a questa società come suoi propri segnacoli per passare alla prossima senza diventar statue di sale.

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Partiticità e partitificazione 

L’arte e la letteratura, come ogni altra manifestazione ideologica, riflettono interessi particolari di determinate classi sociali, e di conseguenza riguardano direttamente il partito politico in quanto questo è emanazione e organizzazione dell’avanguardia cosciente della classe. Il cianciare borghese sulla libertà di creazione dell'artista costituisce una colossale menzogna impiegata a tutto danno del proletariato. Alla "reale" partiticità borghese dell'arte e della letteratura, più o meno velata da una tinta di "oggettivismo", coltivata nella serra calda dell'"Io" e del superuomo o misticamente appartata nel limbo dell'arte per l'arte, ecc., deve essere contrapposta frontalmente la partiticità proletaria; alla difesa e conservazione degli interessi della borghesia, l'aperta rivendicazione degli interessi generali e storici della classe operaia.[5]

In favore della “partiticità”, l’articolo di Programma citato riporta l’episodio del poeta Freiligrath che, dopo lo scioglimento della Lega dei Comunisti nel 1852, nel 1860 si allontana anche dal partito.
Voglio continuare dunque a volare con le mie proprie ali, non voglio appartenere che a me stesso, e voglio disporre interamente di me”, il scrive il poeta a Marx; che risponde con una critica sferzante alla “concezione” del poeta sulla libertà, concludendo che egli non va a cantare i suoi versi fuori dalla gabbia (il partito), ma al contrario non fa che legarsi al partito borghese delle persone rispettabili; difatti, ricorda Programma, dieci anni dopo, nel 1870, Freiligrath diventerà poeta della patria e cantore del nazionalismo prussiano.
Ebbene? Evidentemente il poeta (inteso come persona) non apparteneva alla rivoluzione, semmai vi era appartenuto; difatti, una volta chiuso il partito formale se ne usciva pure da quello storico. Non occorre il fiuto di Marx per sentire nella rivendicazione di “sue proprie ali” la zaffata vischiosa che richiama gli entusiasti al partito borghese della proprietà privata. Sì! la forma riflette il contenuto ed è dialetticamente legata ad esso. Tuttavia, Freiligrath non fece la viscida fine dell’intellettuale organico di tipo gramsciano, ma se ne andò “liberamente” nella propria naturale nicchia ideologica e sociale.
Chi mai? chi più, ritiene utile trattenere certi personaggi?
E’ anche per questa via che la rivoluzione fa chiarezza: si viaggia soli.

Ancora, riguardo la “partiticità”, noi possiamo aggiungere una considerazione per la quale questa può ritenersi una ovvietà rispetto all’oggetto (la produzione artistica), e una contraffazione rispetto al soggetto. Entrambi questi aspetti possiamo stanarli da una enunciazione dello stesso Lukács: 

Ma l’arte non rappresenta mai singolarità, bensì sempre totalità. Ossia non può contentarsi di riprodurre uomini con le loro aspirazioni, le loro propensioni e avversioni ecc.; essa deve andare oltre, nel senso di rappresentare il destino di queste prese di posizione nel loro ambiente storico-sociale. Questo ambiente esiste artisticamente anche quando nell’opera appare immediatamente legato all’uomo che esiste per sé solo, per esempio nel ritratto o nell’autoritratto lirico, pittorico e musicale. Infatti tutti i lineamenti dell’uomo, anche se è rappresentato isolatamente, portano in sé le tracce del suo destino, delle sue relazioni con gli uomini che lo circondano, dell’esito delle tendenze che muovono la sua vita interiore. Così ogni artista, prendendo a soggetto - direttamente o indirettamente - i destini degli uomini, deve anche prendere posizione di fronte ad essi.[6]     

Dunque, inevitabilmente e in ogni caso l’intero ambiente si rispecchierebbe nell’opera d’arte, come oggetto, completo quindi della sua partiticità e del destino di essa; in ciò è l’ovvietà … che però diventa necessario teorizzare se si vuol trasformarla in una prescrizione, ossia per far prendere posizione politica al soggetto (artefice) e iscriverlo all’anagrafe della via nazionale imboccata dal partito [7].
Allora: dal percetto al precetto, e in ciò è la falsificazione dell’enfasi.
Difatti, chi mai, oltre preti e sergenti maggiori, prenderebbero per buone le parole con le quali uno descrive sé stesso?
Noi dobbiamo desumere dai fatti non certo dagli artefatti.
In un articolo apparso sulla rivista Itinerari del 1955, intitolato Funzione e limiti di una sociologia dell’arte, anche Umberto Eco sembra eccepire in anticipo sulla concezione lukacciana, ritorcendo sul puro gioco formalistico le parole del Segretario generale dell'Unione scrittori russi di quegli anni, Aleksandr Aleksandrovič Fadeev, che esprimono gli stessi concetti del filosofo ungherese: 

… ed anche là dove l’autore non intese dire nulla di sé e del proprio mondo, anche là dove il giudizio su un’epoca o il racconto autobiografico lasciano il posto al semplice arabesco ed al puro divertimento, è pur sempre possibile la riconquista di quel mondo originario, poiché l’artista, manifestandosi quale modo di formare nelle sinuosità stesse del suo astratto gioco di eventi voci ed immagini, tradisce pur sempre la sua personalità e le costanti di un’epoca ed un ambiente: in questo senso “si può vedere come l’arte si nutra di tutta la civiltà del suo tempo, riflesso nell’irripetibile reazione personale dell’artista, e in essa siano attualmente presenti i modi di pensare vivere sentire di tutta un’età, l’interpretazione della realtà, l’atteggiamento di fronte alla vita, gli ideali e le tradizioni e le speranze e le lotte di un periodo storico”. [8]

Sembra proprio che il famigerato rispecchiamento o riflesso del mondo esterno nell’opera - all’epoca di Lukacs e fino a qualche anno fa intese solo come un modo di dire per indicare una modalità operativa ed elaborativa analoga al fenomeno fisico del meccanico riflettersi dell’immagine esterna su di una superficie lucida - debba oggi fare i conti anche con una delle ultime acquisizioni della neuroscienza; precisamente con la scoperta dei neuroni-specchio [9] e il complesso meccanismo corporale dell’immagine incarnata che essi sono capaci di attivare automaticamente.
Contando di affrontare più avanti questa faccenda - che in fondo con il rispecchiamento del filosofo ungherese condivide poco più della suggestione del nome - preferiamo tornare sul tema della partiticità per concluderlo con qualche ulteriore osservazione. 
Abbiamo visto che un argomento in sostegno dell’ingerenza del partito nell’arte pretendeva appoggiarsi addirittura sull’autorità di Lenin; ma noi sappiamo che “lo spaccio di brandelli delle proposizioni marxiste è l'espediente classico usato dall'opportunismo, che tanto più vi ricorre quanto più nella prassi se ne allontana”.
Non abbiamo sottomano i documenti e i fatti da cui si è dedotta direttamente questa convinzione, ma un testo ci viene in mente, dove invece Lenin stigmatizza e condanna questa possibilità di dirigere, tramite gli artisti, il corso dell’arte.
Nella risoluzione “Sulla cultura proletaria” approvata al I Congresso panrusso del movimento della cultura proletaria che si tenne a Mosca dal 5 al 12 ottobre 1920, Lenin svolge un’argomentazione per punti, due dei quali riteniamo unificati da una ineccepibile continuità e chiarezza:
 

4. Il marxismo ha acquisito il suo significato storico mondiale, in quanto ideologia del proletariato rivoluzionario, perché, invece di respingere le conquiste più preziose dell’epoca borghese, ha al contrario assimilato e rielaborato quanto vi era di più valido nello sviluppo più che bimillenario della cultura e del pensiero umani. Soltanto il lavoro svolto su questa base e in questa direzione, ispirato dall’esperienza della dittatura del proletariato, come ultima fase di lotta contro ogni sfruttamento, può essere riconosciuto come lo sviluppo di una cultura effettivamente proletaria.
5. Attenendosi inflessibilmente a questa posizione di principio, il Congresso panrusso del Proletkult respinge nella maniera più energica, come teoricamente sbagliati e praticamente dannosi, tutti i tentativi di inventare una propria cultura particolare, di rinchiudersi in proprie specifiche organizzazioni, di delimitare i campi di attività del Commissariato del popolo all’istruzione e del Proletkult o di instaurare l’autonomia del Proletkult in seno alle istituzioni del Commissariato del popolo all’istruzione, ecc…..

Del punto 4 ci si potrà chiedere chi stabilisce quali possono essere le conquiste più preziose e valide dell’epoca borghese sulla cui base sviluppare la “cultura” ecc.; ma poi, nel punto successivo, respingendo come sbagliati e dannosi i tentativi di inventare una propria particolare cultura, si nega energicamente ogni intromissione da parte di organi ufficiali allo svolgersi organico dello sviluppo dell’arte anche per la fase della dittatura proletaria.
Il problema della partiticità dell'Arte è chiaro: il partito, avendo capovolta la prassi, controlla che nella società a dittatura proletaria (chiamiamo le cose con il loro nome) non sorgano delle correnti interne, addirittura commissariate dal popolo, che ripropongono la concezione borghese della società. In una situazione rivoluzionaria tutto ricade sotto la responsabilità collettiva della società che è in movimento, che sta subendo un processo rivoluzionario nel quale il partito indirizza, influenza…, non che si “inventa” (come un coniglio da tirar fuori per le orecchie) un “realismo socialista” perché l'astrattismo non va bene, o perché qualcuno moralisticamente dice che è una espressione diversa da quella che era per esempio la statua di Fidia [10]. Non è questo il problema: ogni società ha la sua manifestazione, e anche quella di transizione avrà la sua: bisognerà però prima esserci praticamente per vederla realizzarsi.
Lenin, come Trotskij, era a conoscenza delle correnti astratte e delle avanguardie artistiche [11] significativamente nate alla fine del primo decennio del secolo, cresciute in un continente attraversato da decise correnti rivoluzionare, e da subito influenti nel mondo dell’arte occidentale – quindi qui Lenin sembra dire: invece di escogitare e costruire a tavolino un’arte per respingere quella che già c’è, lavorate piuttosto per la “nostra” rivoluzione e l’arte esistente si metterà in riga da sola.
Certo, i contenuti dell’articolo preso in esame sono condivisibili e meriterebbero un approfondimento, ma a noi interessava osservare che è fuorviante falsificare i dati “partitizzando” preventivamente le manifestazioni artistiche per fissarne il catalogo e i precetti.
A noi interessa osservare tutti i fenomeni sociali che questa società manifesta nei modi più spontanei; ciò non significa affatto aderire e condividerne le enunciazioni ma solo prelevare dall’ambiente reale i  campioni più significativi da sottoporre all’analisi critica.
La rivoluzione libera le forze produttive dalle loro catene; e agire per la rivoluzione – abbiamo sostenuto altre volte [12] –  significa liberare, assecondare, nel senso di lasciar fare, gli elementi che esistono, non certo di creare  o tentare di creare elementi che non esistono o che ancora sussistono dal passato e non agiscono più in concordanza con lo sviluppo attuale delle forze produttive.
Inoltre, tanto per chiudere la nostra chiamata in campo di Lukács, scorgiamo una questione ulteriore nel titolo stesso del testo citato: Prolegomi a un’estetica marxista, per chiederci se può darsi una estetica marxista invece di una più corretta critica dell’estetica [13].
Una “estetica marxista” favorisce la supposizione di una corrispettiva “arte marxista” con tutta la sequela di equivoci corollari pratici … che non possono far altro che proiettare nel futuro le forme pescate  nel presente o nel passato … utili magari all’intellettuale organico per occupare immediatamente (ossia  socialdemocraticamente o fascisticamente) tutte le posizioni del fronte, non certo al comunista conseguente, rivoluzionario e in movimento, che quelle forme lascia grandeggiare intoccate nel loro proprio tempo, e così viaggiare leggero con forme del tutto nuove, altrettanto leggere.  

Il comunismo, l’artista e l’astrattismo 

Come vedremo in seguito, alcune decisive rotture formali ed estetiche che nell’imminenza e nel corso dell’Ottobre si erano già ben chiarite, con la controrivoluzione vengono meno, fino a sparire praticamente dall’arte russa grazie ad una commistione di teorie e prese di posizione  che non hanno nulla a che vedere con la nostra dottrina.
Il nostro vuole essere un discorso scientifico; non ci poniamo delle domande circa l'essenza ultima dell'universo o dell’arte, o cose del genere che riguardano i filosofi o i monumenti; noi cerchiamo le spiegazioni dei processi in corso, quelli che stiamo vivendo e che portano noi stessi ad essere comunisti.
Non è assolutamente vero che l'arte moderna è un mero rispecchiamento della piccola borghesia avida, pasticciona e putrefatta. Sicuramente qualche artista, anzi forse la loro stragrande maggioranza, sono artisti di questo tipo, ma a noi non interessa chiederci il perché la società diventerà comunista,  vogliamo vedere come sta diventando comunista.
E in questo nostro guardare non esiste una qualcosa di disprezzabile nella evoluzione umana, lungo il processo di passaggio tra comunismo originario e comunismo sviluppato, semplicemente: la si studia.
Pertanto non importa cosa fa né cosa dice l'artista singolo, altrimenti il battilocchio negato alla Storia rispunta nell’Arte. Se c’è il Gran Pasticcione c’è anche il Sommo Genio… il sommo confuso e il sommo bugiardo… e saremo alle solite. L’uno come l’altro sono le due facce complementari della stessa medaglia; e risulta  chiaro che così come non c'è solo Napoleone il grande, non c'è neppure solo la piccola Carogna.
E’ possibile immaginare che una congiura ordita da un manipolo di individui che si sono messi in testa di passare per grandi pittori (musicisti, poeti, architetti, narratori) possa evocare dal nulla, praticamente escogitandolo dai propri neuroni, un paradigma artistico così vitale e persistente nella società da attraversare quasi indenne due guerre imperialiste?
La novità in sé stessa non è un desideratum nelle scienze come “non” lo è nell’arte, e neppure in altri campi creativi [14]. Ovvero: quando la novità per se stessa diventa il desideratum di scienza o arte queste cessano ipso facto di essere scienza o arte per essere letteratura, filosofia… artigianato, ornamento o altre effusioni del genere.
Ciò che importa comprendere è la ragione dell’esistenza di una determinata espressione artistica, astratta o formalista, elevata o infima che sia; a noi non interessa la sua efficacia locale ma il suo rendimento globale nella prospettiva della rivoluzione, ossia dell’avvicendarsi della forma di produzione successiva all’attuale.
Liberato dalle dantesche virtù morali e teologali, l’ulisse senza itache o falsi problemi procederà di approdo in approdo. Certo, occorre sempre un bussola di precisione, ma non per guidare ad una mèta o ad un fine ultimo, solo per capire da che parte guadagnare terreno e conoscenza… [15]
D’altra parte i paradigmi estetici che allora come ancora dominano nell’arte del mondo occidentale sono nati con la rivoluzione russa, cioè dalla messa in crisi della vecchia forma dell’irrompere nella storia -   ossia concretamente - della nuova forma sociale.[16]
Il cambiamento di fase sociale e lo scatto di livello che avviene nel 1900 inizia contemporaneamente sia nel paese con il comunismo più giovane che nel paese con il capitalismo più vecchio, cioè in Russia e in Italia. In arte questi due paesi si mettono sullo stesso binario e producono il Futurismo in Italia e l’Astrattismo in Russia (in questo ambito avremo modo di vedere che Suprematismo e Costruttivismo sono un prodotto ancora più diretto della rivoluzione russa). 
Questi due movimenti artistici del primo decennio del XX secolo sembrano convergenti ma sono paralleli; sono apparsi come un unico fenomeno che viene interrotto dalla Prima guerra mondiale, al termine della quale se ne andranno, uno alla deriva del fascismo, l’altro alla deriva dello stalinismo, per convergere formalmente in un generale ritorno all’ordine ispirato, direttamente o indirettamente, dalle politiche dei fronti unici.
Ma i quattro New Deal (cioè Fascismo, Nazismo, rooseveltismo e stalinismo) seppellirono solo provvisoriamente l'esplosione rivoluzionaria che si era andata sviluppando nel corso dei primi due decenni del secolo scorso, e che aveva trovato il suo culmine con i movimenti Dada e Surrealista, con i quali possiamo dire completarsi le linee strutturanti dell’arte moderna e contemporanea.
Difatti, superata la contingenza della seconda guerra mondiale, queste linee artistiche ripresero tuttavia a funzionare, variamente alimentando nuove correnti pittoriche e visuali durante gli anni 50, 60 e 70 del secolo scorso. Sembra confermarsi che l'evoluzione procede sempre a partire da traguardi e gradi più alti raggiunti e definitivamente acquisiti dalle forze produttive nella fase precedente [17].
Vale a dire che la ripresa della loro vitalità (in qualunque campo si svolgano specifiche rivoluzioni) avrebbe dovuto venir valutata quanto meno per la sua persistenza anche nel nuovo assetto sociale imperialista, non liquidata ideologicamente dal dibattito del 1964, a cui stiamo facendo riferimento – il comunismo non essendo una proposta (utopia) ma una previsione (scienza).

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[1] - Entrambi in ambiente diverso dai  rispettivi ambiti: strutture sportive e strutture igieniche – cosa questa che costringe a considerare questi oggetti con un paradigma comune e soprattutto diverso dai rispettivi paradigmi nei quali rappresentavano la normalità… Da tener presente che una tale anomalia di collocazione incongrua dei prodotti del lavoro è stata sempre possibile (in situazioni di spostamento logistico o stoccaggio, ecc.) ma è solo di recente che tale anomalia assume rilevanza artistica o estetica… 
[2] - Ricordiamo che una cosa semplice ed elementare, come il denaro, non è poi così semplice… ecc.  ed anche una merce (perché null’altro che questa è un orinatoio) neppure è una cosa così semplice da conoscere….
[3] - Maurizio Cattelan, America 2016, Guggenheim Museum, New York 2016. – Che gli argomenti scatologici abbiano sempre avuto una indubbia efficacia sul pubblico è cosa conosciuta e utilizzata da satirici e umoristi di tutti i tempi, siano essi “bassi” (capocomici del teatro dell’arte o costruttori di barzellette d’avanspettacolo) o “alti” (da Rabelais a Swift) – il riso al tabù…
 [4] - Alla voce “meme” di wikipedia (italia), c’è un  elenco di esempi di vari “memi”, tra cui canzoni, barzellette, poemifilm… Ecco. Certo l’elenco non voleva e non poteva includere tutti i “memi”, ma forse certi tipi di immagini divenute ubiquitarie (come lo sono certe opere dell’arte figurativa - ad es., la Gioconda…) avrebbero potuto mostrarsi tra questi esempi di meme.
[5] - Il recente dibattito sull'Arte e sulla Letteratura in Russia, cit. – L’argomentazione risente della formulazione di Walter Benjamin, per la quale all’estetizzarsi fascista della politica il comunismo risponderebbe con la politicizzazione dell’arte.
[6] - Gyorgy Lukacs, Prolegomeni per un’estetica marxista (1956), Editori Riuniti, Roma 1971, pag. 190.
[7] - Come se il “fatto liberamente” già non sia, e non abbia, posizionamento certo. L’insufficienza della lettura deve ricorrere dunque alla didascalia circa la certificazione partitica dell’artefice, un elemento che si accampa fuori dall’opera e dal suo ambiente – e riecco di nuovo il battilocchio esprimersi come un battibecco (cfr. realismo e didascalia - Engels).
[8] - Cit. di Eco dalla relazione di Fadeev  in V. Arte e letteratura nell’U.R.S.S., ed. Le Edizioni Sociali, Milano, 1950.
[9] - I neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attivano quando un individuo compie un'azione e quando l'individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Questa classe di neuroni è stata individuata nei primati, in alcuni uccelli e nell'uomo. Nell'uomo, oltre ad essere localizzati in aree motorie e premotorie, si trovano anche nell'area di Broca e nella corteccia parietale inferiore. Alcuni neuroscienziati considerano la scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti degli ultimi anni nell'ambito delle neuroscienze. E’ riconosciuta la loro importanza potenziale nello studio dell'imitazione e del linguaggio. (dalla voce “neurone specchio” di Wikipedia).  - Cfr, Gallese et al, Action recognition in the premotor cortex, Brain, 1996; Fogassi et al., Parietal Lobe: From Action Organization to Intention Understanding, Science, 2005.
[10] - Bordiga ha fatto notare che arte e scienza in certi momenti si incontrano, che arte e scienza sono due aspetti analoghi della conoscenza umana, e possiamo affermare con certezza che fanno parte entrambe del più generale processo di produzione e riproduzione della specie (Firenze 1960, cit.). Allora tanto vale accogliere per l’arte quanto è stato espresso per la scienza: “Una delle regole più vincolanti della vita scientifica anche se non scritta, è il divieto di fare appello a capi di stato o alla grande maggioranza del pubblico in questioni scientifiche” [Thomas S. Kuhn 1962, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, ed. Einaudi, Torino 1969, pag. 202] – Per quanto temerario, non sarebbe infruttuoso leggere l’arte moderna (ancor prima dell’intera storia dell’arte) alla luce, o anche alla luce, del testo di Kuhn - e non è detto che questi nostri appunti di ricognizione mancheranno di altri occasionali azzardi orientati in tal senso.
[11] - Durante la Prima Guerra Mondiale, dal febbraio 1916, Lenin visse per circa un anno con la moglie Nadeshda Krupskaja nella Spiegelgasse 14 di Zurigo, dove completò l’opera “L’imperialismo come fase suprema del capitalismo”. Nello stesso periodo, al numero 1 della Spiegelgasse, dov’era il Cabaret Voltaire, nasceva il movimento dadaista. Lenin abitava così vicino al Cabaret, che non avrebbe potuto ignorarlo passando l'angolo della strada.
L'autore tedesco Hugo Ball il 5 febbraio 1916 aveva fondato nella Spiegelgasse 1, a circa 100 metri dall'abitazione di Lenin, il Cabaret Voltaire che divenne la culla del Dadaismo; un movimento che rifiutava le forme d'arte convenzionali e reagiva con un tocco di follia alle atrocità della Prima Guerra Mondiale. Al movimento Dada hanno subito aderito il poeta rumeno Tristan Tzara, il pittore e scultore tedesco Hans Arp e sua moglie, la pittrice e scultrice Sophie Taeuber-Arp, il narratore, drammaturgo, medico e psicoanalista Richard Huelsenbeck, e infine, anche il rumeno Marcel Janco, architetto e teorico dell’arte. Anche se Hugo Ball non registra Lenin tra le persone che frequentavano il Cabaret, il più politicamente orientato Huelsenbeck ha affermato di averlo incontrato nel locale.
[12] - Cfr. Demoni pericolosi 1.2.3, Lettera ai compagni 1994. (L’individuo di massa e il suo rovescio...).
[13] . Dove “critica” non è intesa tanto come un’indagine sull’esistente quanto come analisi dello stato di crisi dell’esistente…
[14]. Controtesi a Thomas Kuhn? – “La novità per se stessa non è un desideratum delle scienze, come lo è in tanti altri campi creativi” [La struttura delle rivoluzioni scientifiche, op. cit., pag. 203].
[15]. Ecco un’altra delle occasioni annunciate per richiamarsi al lavoro di Kuhn: “se impareremo a sostituire l’evoluzione verso ciò che vogliamo conoscere con l’evoluzione a partire da ciò che conosciamo, nel corso di tale processo, un gran numero di problemi inquietanti può dissolversi”  [Kuhn, op. cit., pag. 205]. Ed anche: “Ma nei dibattiti sui paradigmi non si discutono realmente le relative capacità nel risolvere i problemi, sebbene, per buone ragioni, vengano adoperati di solito termini che vi si riferiscono. Il punto in discussione consiste invece nel decidere quale paradigma debba guidare la ricerca in futuro, su problemi molti dei quali nessuno dei due competitori può ancora pretendere di risolvere completamente. [Kuhn, op. cit., pag. 190]
[16] . Il carattere particolare e le problematiche dell’accavallarsi della doppia rivoluzione in Russia sono ampiamente analizzate in articoli della sinistra storica della metà dei primi anni cinquanta, raccolti e commentati in ampie note in Russia e rivoluzione nella teoria marxista, ediz. Il programma comunista, Milano 1990.
[17] . Tanto varrebbe per l’arte quanto più chiaramente appare per la produzione di merci. Se si dovesse impiantate una fabbrica tessile in un qualunque paese industrialmente arretrato il portato della concorrenza mondiale sul mercato costringerebbe a impiantare – tra quelle che pur rimangono disponibili - la tecnologia più avanzata, non certo quella che potrebbe ritenersi conforme al proprio generale grado di sviluppo storico … "Chi ritiene che ogni popolo esperimenti total­mente in se stesso ogni evoluzione storica, sarebbe altrettanto stolto di chi ritenesse che ogni popolo debba sperimentare totalmente lo sviluppo politico della Francia o quello filosofico della Germania. Ciò che le nazioni hanno fatto in quanto nazioni, lo hanno fatto per la società umana, tutto il loro valore sta unicamente nel fatto che ciascuna nazione ha sperimentato fino in fondo per le altre una tale fase determinata di sviluppo che l'umanità nel proprio divenire deve percorrere. Dunque, dal momento che sono state elaborate l'industria in Inghilterra, la politica in Francia, la teoria in Germania (e alcune forme di arte in Italia), esse sono state elaborate per il mondo intero, che le riprende per il proprio sviluppo così come per quello di queste nazioni, in una forma più alta, con il loro significato e portata storico-universale". (Marx, a proposito del libro di F. List, Il sistema nazionale dell'economia politica, 1844).
IMMAGINI
In alto - Attuale interno della Centrale Elettrica Montemartini a Roma.
Colonna 1, dall'alto;
- Pugilatore in riposo, bronzo greco del IV secolo a,C., Museo Nazionale romano - Sherrie Levine 1991, Fountain (Budda) - Maurizio Cattelan 2016, America, (una tazza di WC in oro massiccio installata e funzionante nella toilette del Museo Guggenheim di New York); accanto, S. Levine, cit.
Colonna 2, dall'alto:
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in senso orario: Zurigo 1916, Spiegelgasse 1, sede del Cabaret Voltaire; esposizione dadaista nel Cabaret Voltaire; Francis Picabia, 1915, Portrait d’une Jeune fille americaine dans l’éta de nudité
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Due pannelli dal murales America Today, commissionato nel 1931 a Thomas Hart Benton per la sala consiliare dell'edificio della New School for Social Research di New York.
Sopra:
- foto con George Cox, David Alfaro Siqueiros e Jackson Pollock a New York nel 1936
(Archives of American Art, Smithsonian Institution).
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