LETTERA DAL CARCERE . mattino e sera

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Lunedì, 12 marzo 2018 . sera
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arteideologia raccolta supplementi
made n.15 Maggio 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Poscritto - Nei primi giorni di questo stesso mese, sia tu che un mio amico (che non conosci) siete andati entrambi a Recanati: tu per Cintoli, lui per Leopardi. Al ritorno lui è passato qui da Soletudo per farmi visita e mi ha regalato una cartolina postale della biblioteca di Leopardi - della cui visione era ancora visibilmente emozionato. Così mi sono ricordato di un mio vecchio lavoro fatto a suo tempo in omaggio a Leopardi invece che a Proust: una lastra di piombo attraversata solo da una scritta con lettere in gesso alabastrino colato nel metallo. Come di molte mie cose perdute anche di questa scultura non deve essere rimasto nulla (e forse neppure l''ho mai realizzata), ma ho preparato qualcosa che può darti un'idea di come doveva essere, e te la mando accompagnata con alcuni brani tratti dallo Zibaldone - che ho voluto trascrivere per rinvigorire l'entusiasmo che ho provato leggendoli la prima volta, e magari trasmetterne un poco anche a te. Dunque:

*(7. Marzo. Mercordi di quattro tempora. 1827.)
Parrebbe che secondo ogni ragione, secondo l’andamento naturale dell’intelletto e del discorso, noi avessimo dovuto dire e tenere per indubitato, la materia può pensare, la materia pensa e sente. Se io non conoscessi alcun corpo elastico, forse io direi: la materia non può, in dispetto delta sua gravità, muoversi in tale o tal direzione ec. Cosi se io non conoscessi la elettricità, la proprietà dell’aria di essere instrumento del suono; io direi la materia non è capace di tali e tali azioni e fenomeni, l'aria non può fare i tali effetti. Ma perché io conosco dei corpi elastici, elettrici ec. io dico, e nessuno me lo contrasta; la materia può far questo e questo, è capace di tali e Tali fenomeni. Io veggo dei corpi che pensano e che sentono. Dico dei corpi; cioè uomini ed animali; che io non veggo, non sento, non so né posso sapere che sieno altro che corpi. Dunque dirò; la materia può pensare e sentire, pensa e sente.
- Signor no; anzi voi direte: la materia non può, in nessun modo mai, né pensare né sentire.
- Oh perche?
- Perché noi non intendiamo come lo faccia.
- Bellissima: intendiamo noi come attiri i corpi, come faccia quei mirabili effetti dell’elettricità, come l'aria faccia il suono? anzi intendiamo forse punto che cosa sia la forza di attrazione, di gravità, di elasticità; che cosa sia elettricità; che cosa sia forza della materia? E se non l’intendiamo, né potremo intenderlo mai, neghiamo noi per questo che la materia non sia capace di queste cose, quando noi vediamo che lo è?
- Provatemi che la materia possa pensare e sentire.
- Che ho io da provarlo? Il fatto lo prova. Noi veggiamo dei corpi che pensano e sentono; e voi, che siete un corpo, pensate e sentite. Non ho bisogno di altre prove.
- Quei corpi non sono essi che pensano.
- E che cos'e?
- E un'altra sostanza ch'è in loro.
- Chi ve lo dice?
- Nessuno: ma è necessario supporla, perché la materia non può pensare.
- Provatemi voi prima questo, che la materia non può pensare.
- Oh la cosa è evidente, non ha bisogno di prove, è un assioma, si dimostra dl se: la cosa si suppone, e si piglia per conceduta senza più.
In fatti noi non possiamo giustificare altrimenti le nostre tante chimeriche opinioni, sistemi, ragionamenti, fabbriche in aria, sopra lo spirito e l'anima, se non riducendoci a questo: che la impossibilità di pensare e sentire nella materia, sia un assioma, un principio innato di ragione, che non ha bisogno di prove.
Noi siamo effettivamente partiti dalla supposizione assoluta e gratuita di questa impossibilità per provare l'esistenza dello spirito. Sarebbe infinito il rilevare tutte le assurdità e i ragionamenti le contraddizioni al nostro medesimo usato metodo e andamento di discorrere che si sono dovuti fare per ragionare sopra questa supposta sostanza, e per arrivare alla conclusione della sua esistenza.
Qui davvero che il povero intelletto umano si è portato da fanciullo quanto mai in alcuna cosa.
E pur la verità gli era innanzi agli occhi. Il fatto gli diceva: la materia pensa e sente; perché tu vedi al mondo cose che pensano e sentono, e tu non conosci cose che non sieno materia; non conosci al mondo, anzi per qualunque sforzo non puoi concepire, altro che materia. Ma non conoscendo il come la materia pensasse e sentisse, ha negato alla materia questo potere, e ha spiegato poi chiarissimamente e compreso benissimo il fenomeno, attribuendolo allo spirito: il che è una parola, senza idea possibile; o vogliam dire un'idea meramenie negativa e privativa, e però non idea; come non è idea il niente, o un corpo che non sia largo né profondo né lungo, e simili immaginazioni della lingua piuttosto che del pensiero.
Che se noi abbiamo conchiuso non poter la materia pensare e sentire, perché le altre cose materiali, fuori dell'uomo e delle bestie, non pensano nè sentono (o almeno così crediamo noi); per simil ragione avremmo dovuto dire che gli effetti della elasticità non possono esser della materia, perché solo i corpi elastici sono atti a farli, e gli altri no: e così discorretela.

*(9. Marzo. 1827. 2° Venerdì di Marzo.)
Il bambino, quasi appena nato, farà dei moti, per li quali si potrebbe intender benissimo che egli conosce l'esistenza della forza di gravità dei corpi, in conseguenza della qual cognizione egli agisce.
Così di moltissime altre cognizioni fisiche che tutti gli uomini hanno, e che il bambino manifesta quasi subito. Forse che queste cognizioni e idee sono in lui innate?
Non già: ma egli sente in se ben tosto, e nelle cose che lo circondano, che i corpi son gravi.
Questa esperienza, in un batter d'occhio, gli da’ l'idea della gravità, e gliene forma in testa un principio: del quale di là a pochi momenti gli parrebbe assurdo il dubitare, e il quale ei non si ricorda poi punto come gli sia nato nella testa. Il simile accade appunto nei principii e morali e intellettuali. Ma le idee fisiche ognun concede e afferma non essere innate: le morali, signor sì, sono. Buona pasqua alle signorie vostre.
(9. Marzo. 1827. Recanati.)

*(Firenze. 17. Sett.. 1827.)
La materia pensante si considera come un paradosso. Si parte dalla persuasione della sua impossibilità, e per questo molti grandi spiriti, come Bayle, nella considerazione di questo problema, non hanno saputo determinar la loro mente a quello che  si chiama, e che per lo anzi era lor sempre paruto, un'assurdità enorme. Diversamente andrebbe la cosa, se il filosofo considerasse come un paradosso, che la materia non pensi; se partisse dal principio, che il negare alla materia la facoltà di pensare, è una sottigliezza della filosofia. Or cosi appunto dovrebbe esser disposto l'animo degli uomini verso questo problema.
Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto, perchè noi pensiamo; e noi non sappiamo, non conosciamo di essere, non possiamo conoscere, concepire, altro che materia. Un fatto perché noi veggiamo che le modificazioni del pensiero dipendono totalmente dalle sensazioni, dallo stato del nostro fisico; che l'animo nostro corrisponde in tutto alle varietà ed alle variazioni del nostro corpo. Un fatto, perché noi sentiamo corporalmente il pensiero: ciascun di noi sente che il pensiero non è nel suo braccio, nella sua gamba; sente che egli pensa con una parte materiale di sé, cioè col suo cervello, come egli sente di vedere co’ suoi occhi, di toccare colle sue mani.  Se la questione dunque si riguardasse, come si dovrebbe, da questo lato; cioè che chi nega il pensiero alla materia nega un fatto, contrasta all'evidenza, sostiene per lo meno uno stravagante paradosso; che chi crede la materia pensante, non solo non avanza nulla di strano, di ricercato, di recondito, ma avanza una cosa ovvia, avanza quello che è dettato dalla natura, la proposizione più naturale e più ovvia che possa esservi in questa materia; forse le conclusioni degli uomini su tal punto sarebbero diverse da quel che sono, e i profondi filosofi spiritualisti di questo e dei passati tempi, avrebbero ritrovato e ritroverebbero assai minor difficoltà ed assurdità nel materialismo.


Così Leopardi nello Zibaldone dei suoi pensieri - non certo rivolti ai tempi perduti.
Come vedi il fanciullino meraviglioso della cinematografia nostrana,  non rimaneva di stucco a contemplare un pensiero adulto avuto in occasione del conoscersi. Ne è convinto e ci torna su, standosene relegato a Recanati o prosciolto a Firenze.
Era il 1827. Ancora pochi anni e qualcuno della generazione immediatamente successiva alla sua avrebbe anche potuto  esprimersi più o meno così: - Se tu escludi che la materia possa pensare e sentire, inizia con l’includere te stesso in tale materia che non pensa e non sente. Non pensare e non sentire: taci. 
Carcere di Soletude, lunedì 12 marzo 2018
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