IL SIGNOR MONOD E LA DIALETTICA

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Programme Communiste . n.58 . 1973
arteideologia raccolta supplementi
made n.18 Dicembre 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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pagina
Come il signor Monod distruggerebbe la dialettica

Pagina 1 . Introduzione
1o . Filosofia soprannaturale di un biologo molecolare
1.1.  Cosa dice la biologia molecolare
1.2.  Creazione soprannaturale della cellula ideologica
1.3.  Creazione soprannaturale degli organismi ideologici
Pagina 2
1.4.  La metafisica dell’evoluzione
1.5.  Caso, Necessità, Probabilità
1.6.  Engels e il 2° principio della termodinamica
Pagina 3
1.7.  La Cittadella Scientifica Universale.
2o . I criteri distintivi umani e il ruolo avuto dal lavoro nel processo di
.......trasformazione della scimmia in uomo
2.1. La nozione di antropomorfismo è legata a quella di tecnicità
2.2. La corteccia media e la sua evoluzione
2.3. L’evoluzione tecnica degli Antropiani
Conclusione.

Introduzione 

Accade alle ideologie, come a tutte le produzioni umane, di percorrere nel loro ciclo la parabola: nascita, sviluppo, senescenza.
Vi fu un tempo in cui la coscienza teorica poté illudersi di essersi affrancata dai limiti ad essa imposti dalla Storia. La filosofia aveva perso il suo grigiore perché in tutte le sue manifestazioni la vita rifioriva: la borghesia rivoluzionaria, giacobina in politica e materialista nelle idee, poteva allora attribuire un significato universale e permanente alla sua ideologia di classe storicamente effimera. Felice epoca quella in cui una classe inebriata dai suoi successi teorici, politici e militari poteva fantasticare di essere sfuggita alle maglie di ferro del proprio tempo! La Ragione aveva fatto giustizia dei pregiudizi oscurantisti della scolastica medievale e delle favole del pretume di campagna; la rivoluzione democratica aveva spazzato via le illusioni religiose e i fantasmi della vecchia demonologia insieme alle barriere feudali, ai tributi e alle corporazioni, sgombrando il campo allo sviluppo della scienza, della manifattura e della grande industria, della libera concorrenza e della democrazia. Si apriva un’era di progresso generale, scolpita sui frontoni del nuovo ordine sociale, e simbolizzata dalla fiera insegna repubblicana sigillante la nuova arca dell’alleanza.
Ma, ahimè, il risveglio fu brusco e repentino! La Storia si incaricò di riportare alla ragione questa borghesia che, nel suo esuberante trionfalismo, aveva scambiato i propri pregiudizi di classe per principi atemporali; in realtà, la sua vittoria era offuscata dalla comparsa di un’altra classe, che proiettava su di essa la sua ombra, e che era destinata ad essere la sua antagonista e la sua affossatrice. Per scongiurare i nuovi pericoli che per i suoi limiti di classe si portava dietro fin dalla nascita, la borghesia si mise anch’essa a fantasticare e, per meglio esorcizzare le sue paure, si rifugiò nelle superstizioni del passato.
Nella sua fase rivoluzionaria, la sua filosofia della natura era fondata su basi materialiste e deterministe. Già dal XVII secolo, l’inglese Locke aveva mostrato che le idee nascono dai nostri contatti col mondo esterno, mentre Toland riprendeva la vecchia tesi di Democrito. In Francia, la Mettrie batteva la strada aperta dal materialista Gassendi e definiva l’uomo una macchina perfezionata, senza bisogno di tirare in ballo alcuna forza trascendente (anima, spirito o coscienza), dal momento che giudicava «il pensiero tanto poco incompatibile con la materia organizzata che sembrava esserne una proprietà». Questa corrente sfociò nei sistemi di Helvetius e di d’Holbach che, ripudiando i surrogati religiosi dell’innatismo, dimostrarono che la conoscenza è il risultato dei nostri rapporti col mondo esterno e non ne costituisce che il riflesso sotto forma di idee: alla nascita l’uomo non possiede che la facoltà di sentire, la quale sta alla base dello sviluppo successivo di tutte le sue facoltà intellettuali. Essi misero altresì in evidenza il ruolo giocato dall’educazione e dall’ambiente sulla formazione del carattere e della personalità.
Quanto alla filosofia sociale, la borghesia, al principio divino, garante dell’ordine feudale e della stabilità della divisione in tre stati, sostituì il Principio Democratico, fondato su di una antropologia che voleva leggi uguali per uomini uguali in diritto, e che ben esprimeva il proprio dominio di classe basato sulla libera concorrenza e sul rapporto di compravendita della forza lavoro. Questo principio in realtà mascherava i reali antagonismi che la nascente opposizione del quarto stato con la sua pretesa di formulare rivendicazioni proprie poneva sul tappeto. Nella sua fase rivoluzionaria, la borghesia aveva dunque un’ideologia dualista: materialista in quanto lo sviluppo delle forze produttive implicava il postulato di oggettività inerente alla conoscenza scientifica; idealista in quanto di fronte ad essa si ergeva già una nuova classe rivoluzionaria, il proletariato.
La fine del ciclo delle rivoluzioni democratiche borghesi nell’area europea si accompagna con la stabilizzazione dei rapporti capitalistici di produzione. E mentre nella sua fase antifeudale la borghesia aveva propugnato una concezione del mondo essenzialmente materialista, nel suo attuale periodo di imperialismo reazionario il rapporto si è rovesciato. Posta davanti alla necessità storica della propria sparizione, essa tenta di esorcizzarla negando il determinismo, non solo nelle dottrine sociali, ma fin nella sua concezione della materia e della vita. Resistere al proletariato, questo il suo solo programma, il principio fondamentale di tutta la sua ideologia; conservare il suo potere politico, questo è ormai per essa il problema essenziale. Ecco il segreto del suo formidabile rinculo teorico. Il ciclo dell’ideologia borghese è finalmente chiuso. Al termine della parabola essa si ricollega alle sue origini, al vecchio idealismo comune a tutti gli ordini sociali sempre alla ricerca di una stabilità impossibile e illusoria. Le sue categorie portano i nomi di contingenza, libertà, epistemologia critica, Umanità.... Poveri e derisori testimoni di una classe senza via di scampo, incapace di padroneggiare le forze produttive da essa stessa messe in moto e impotente a comprendere il senso della Storia che globalmente le sfugge di mano!
In questa ottica vanno intesi gli attacchi portati contro il materialismo dialettico da J. Monod, premio Nobel per la medicina, nel suo saggio "Il Caso e la Necessità".
Questo museo degli orrori dello scientismo borghese presenta un duplice interesse. Prima di tutto rivela crudamente la triste situazione in cui versano le scienze della natura (in special modo la biochimica) imbrigliate dalla metafisica che in esse si infiltra da tutti i pori, le decompone e le spinge verso catastrofi teoriche inaudite. La teoria dell’evoluzione può così diventare tranquillamente il regno dell’onnipotente «caso», proprio mentre da tutte le direzioni ci ossessionano con la trasmissione invariante di un preteso «codice»[1] genetico, perché si dimentica la verità elementare: è solo nelle condizioni sperimentali artificiali di laboratorio che le specie esistono in sé, come artefatti, come formule esaustive, come «mostri». Per contro, esse vanno studiate nel loro ambiente naturale, ove non costituiscono che uno dei poli della relazione che le collega al loro biotopo in un continuum dialettico in cui reagiscono reciprocamente, trasformandosi ed evolvendosi. È desolante dover ribadire cose tanto evidenti, che sono alla portata di un bambino di dieci anni, ma diventate misteriose per degli «scienziati» di categorie metafisiche e invischiati nelle insolubili contraddizioni dell’idealismo del loro ambiente sociale.
Il secondo motivo di interesse del saggio è dato dal fatto che esso ci permetterà di riscoprire un testo sempre nuovo, anche se vecchio di un secolo, e che in questa corte dei miracoli idealista sarà per noi un bagno di giovinezza teorica. Esso, affrontando i meccanismi dell’evoluzione umana, dimostra che il lavoro è il fattore materiale della trasformazione e del passaggio dalla «scimmia» all’uomo. Con questo, il patriarca del comunismo rivoluzionario, Federico Engels, si pone ben al di sopra delle «rozze» novità della «scienza» borghese.
Ma prima conviene fare la conoscenza del nostro Don Chisciotte della biologia molecolare e soffermarci sulla critica che egli muove al marxismo, critica che rivelando una grossolana incomprensione – non importa se reale o voluta – si riduce in sostanza a tre accuse. 
1 - Aver abbandonato il postulato di oggettività (!) con la pretesa di voler applicare la dialettica ai fenomeni della natura, e finendo così col «proiettare nella natura inanimata la coscienza che l’uomo ha del funzionamento intensamente teleonomico (ossia finalista, n.d.r.) del proprio sistema nervoso centrale». Come si vede, il nostro fanfarone non ha capito che Marx ha una volta per tutte rimesso sui piedi quell’Hegel di cui Monod deride «l’enorme e pesante monumento» con la sufficienza risibile dell’«uomo di scienza» borghese.
Per noi, ineleganti realisti, la conoscenza è dottrina della realtà, di tutti i fenomeni naturali e sociali senza alcuna «aggiunta estranea». Se il nostro metodo è dialettico, questo non deriva per nulla dal fatto che noi cercheremmo, come Monod rinfaccia ad Engels (!), di scoprire nella natura «un progetto ascendente, costruttivo, creatore (allo scopo) di renderla finalmente decifrabile (?) e moralmente significante (?!)», ma deriva dal fatto incontestabile che la legge della materia e della vita è il divenire, che il divenire è nelle cose come nel pensiero: dialettica.
Citiamo qui un testo di partito che non lascia a questo proposito alcun dubbio: «La dialettica per noi in tanto è valida in quanto l’applicazione delle sue regole non viene contraddetta dal controllo sperimentale. Il suo impiego è certamente necessario, poiché dobbiamo pure trattare i risultati di ogni scienza con lo strumento del nostro linguaggio e del nostro ragionamento (sussidiato dal calcolo matematico: anche le scienze matematiche però per noi non si basano su pure proprietà del pensiero, ma su proprietà reali delle cose). La dialettica, cioè, è uno strumento di esposizione e di elaborazione, nonché di polemica e di didattica, essa serve alla difesa contro gli errori ingenerati dai metodi tradizionalisti del ragionamento (corsivo nostro) e per raggiungere il risultato, assai difficile, di non introdurre incoscientemente nello studio delle questioni dati arbitrari basati su preconcetti. Ma la dialettica è a sua volta un riflesso della realtà e non può pretendere per sé stessa di obbligarla o di generarla. La dialettica pura non ci rivelerà mai nulla di per sé stessa, tuttavia ha un enorme vantaggio rispetto al metodo metafisico perché è dinamica, mentre quello è statico... In conclusione la dialettica ci serve, sia (come dice Marx nella prefazione a "Il Capitale") per esporre quanto la ricerca analitica ha assodato, sia per distruggere l’ostacolo delle forme teoretiche tradizionali (c. n.). La dialettica di Marx è la più potente forza di distruzione. I filosofi si affannavano a costruire sistemi. I rivoluzionari dialettici distruggono con la forza le forme consolidate, che vogliono sbarrare la via all’avvenire. La dialettica è l’arma per spezzare le barriere, rotte le quali è rotto l’incanto della eterna immutabilità delle forme del pensiero, che si svelano come incessantemente mutevoli, si plasmano sul mutamento rivoluzionario delle forme [2].
2 - Essersi accanito a ripudiare ogni forma di epistemologia critica di tipo kantiano, e questo da Marx fino a... Zdanov. Pare di sognare! Passiamo sopra a Zdanov, immortale teorico del «realismo socialista» e ad altre simili trovate: non si può pretendere da un biologo piccolo-borghese che capisca la differenza tra uno dei padri del comunismo e un pallido falsificatore o innovatore stalinista al soldo dello Stato popolare panrusso; ma quello che non si può passare sotto silenzio è l’attacco circa il ripudio dell’epistemologia critica.
Da alcuni anni, un nuovo virus ha colpito quell’inverosimile provincia teorica che è la Parigi letteraria: l’epistemologia sta al «pensiero» come la polluzione sta alla vita quotidiana: una moda, una preoccupazione mondana. Si deve al serissimo Althusser questa inopinata infatuazione per una corrente intellettuale che altro non è se non la versione modernizzata di un kantismo mal digerito. Secondo questo ideologo del P.C.F., la «filosofia marxista» dovrebbe mettersi al servizio (com’è cavalleresco!) delle scienze «oggettive» e soprattutto «neutre», ossia librate al di sopra delle classi, allo scopo di difenderle dagli attentati dell’ideologia e quindi favorirne lo sviluppo. Per questo castratore del marxismo, col quale abbiamo regolato i conti a suo tempo [3], il materialismo dialettico diviene la teoria dei modi di produzione... delle conoscenze, un criticismo imbastardito delle scienze borghesi infeudate al capitale. Noi mostriamo, al contrario, che se le scienze non sono altro che ricette miranti al massimo di redditibilità, se il loro sviluppo è incerto, ristagna o addirittura rincula, se intere branche della ricerca non corrispondono ad alcuno dei bisogni reali dell’umanità, se anzi quelle che risponderebbero a questi bisogni non possono svilupparsi, la causa non è tanto «ideologica» quanto sociale, dal momento che la scelta degli oggetti e degli obiettivi della scienza riveste, più ancora delle sue costruzioni, un carattere di classe. Solo la rivoluzione libererà la «scienza», insieme a tutte le altre attività sociali dell’umanità.
3 - Di essere impotente, in ragione dei suoi a priori filosofici, a comprendere qualsiasi teoria scientifica, in questo caso quella... «del genio, come determinante ereditaria (sic!) invariante nel corso delle generazioni e persino delle ibridazioni». Su questo punto ritorneremo più avanti. Per ora ci limitiamo a notare che la citazione sul metodo dialettico riportata più sopra basta a far giustizia di questa accusa, che vale tutt’al più contro lo stalinismo (peccato di gioventù di Monod!) di cui dicevamo nello stesso testo che «legato al conformismo di posizioni costituite, manca delle possibilità di continuare questa lotta (della dialettica contro la metafisica, n.d.r.) anche nel settore scientifico».
Come si vede, il «critico» è assai severo: il materialismo dialettico altro non è ai suoi occhi che un «animismo», un saggio di «sistemazione soggettiva della natura», e come tale un puro coacervo di «confusione», «nonsenso», «assurdità», e così via.. Sembra di sentire Duhring, già zittito da Engels nel secolo scorso. Ma non buttiamoci giù: come insegnava Lenin nella sua polemica d’inizio secolo contro gli empirio-criticisti Mach, Avenarius, Bogdanov e soci: «È impossibile non discernere dietro la scolastica gnoseologica dell’empiriocriticismo la lotta dei partiti in filosofia, lotta che traduce in ultima analisi le tendenze e l’ideologia delle classi nemiche della società contemporanea. La filosofia moderna è altrettanto impregnata dello spirito di partito quanto quella di duemila anni fa».
La citazione calza a pennello al preteso «materialismo meccanicista» di cui Monod tanto mena vanto, ai suoi vani sforzi per mettere a terra la dialettica, nonché alla sua metafisica del caso, che ci tocca ora prendere di petto, continuando contro l’ideologia borghese una secolare lotta di partito. 

1o . Filosofia soprannaturale di un biologo molecolare 

«Oggi che basta interpretare in modo dialettico, cioè secondo il loro nesso, i risultati dello studio della natura..., la filosofia della natura è morta per sempre. Ogni tentativo di resuscitarla non sarebbe solo superfluo, sarebbe un regresso».
Questo celebre giudizio di Engels tratto dal suo "Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca" trova clamorosa conferma ne "Il Caso e la Necessità", opera militante borghese che, con la pretesa di rifiutare il materialismo dialettico è semplicemente scivolata sotto il livello della stessa scienza borghese.
Spogliati dall’involucro ideologico nel quale Monod li racchiude e li dissimula, i risultati in questione, ottenuti grazie all’uso di microscopi elettronici «capaci di ingrandimenti fino a 500 mila volte e di svelare strutture ultramicroscopiche della grandezza di 1 millimicron» (il micron è un millesimo di millimetro), possono così riassumersi: 
«1) a dispetto delle sue dimensioni infinitesime, la cellula mostra una straordinaria complessità che supera di gran lunga quella dei calcolatori più moderni e
2) l’organizzazione cellulare è caratterizzata dal dualismo acidi nucleici-proteine, dualismo che corrisponde approssimativamente (corsivo nostro) alla coppia nucleo-citoplasma» [4]
Se, come diceva Lenin, «la giustezza della dialettica dev’essere verificata dalla storia delle scienze», il nostro materialismo dialettico nulla ha da temere dai microscopi elettronici. Non si potrebbe avere conferma più clamorosa della geniale anticipazione di Eraclito che lo stesso Lenin così formulava: «Lo sdoppiamento dell’uno e la conoscenza delle sue parti contraddittorie è l’essenza (una delle essenzialità, una delle note caratteristiche o peculiarità fondamentali, se non la fondamentale, della dialettica» [5].
Per costruire la sua «filosofia naturale», Monod usa tre procedimenti: in primo luogo, egli forza il significato oggettivo dei fatti osservati nel suo settore particolare; in secondo luogo, egli pretende di spiegare tutti i fenomeni complessi dell’evoluzione sulla base dei soli «principi» della biologia molecolare che, va sottolineato, non sono soltanto fatti parziali stabiliti in un campo particolare di quel vasto insieme che è la scienza biologica, ma sono fatti snaturati dall’ideologia; in terzo luogo, sostituendo la metafisica pre-hegeliana alla dialettica razionale, egli, dalla banale constatazione empirica che accanto a fenomeni regolari spiegati dalla scienza esistono fatti fortuiti (o semplicemente nuovi) assai più difficili da spiegare, trae la conclusione idealistica che è il Caso a reggere l’intero Universo, in cui lo spirito dell’uomo introduce arbitrariamente un ordine e una necessità, nonché la conclusione nichilista che, a guardare le cose da vicino, tutta la biosfera e il suo risultato ultimo, l’uomo pensante, avrebbero anche potuto non esistere! Detto fatto, il Professore, neanche fosse Dio, abolisce con la sola forza del pensiero se non proprio l’Universo, almeno la storia reale degli ultimi tre miliardi di anni che, a partire dai primi organismi monocellulari, molto più semplici ancora dei batteri del suo laboratorio, ha condotto all’«uomo sapiente», cioè a un mondo nuovo, quello della società. In questo perfetto pedante la società borghese riconosce una delle sue vette intellettuali!

1.1 . Cosa dice la biologia molecolare 

«Il nucleo, grazie ai geni dei suoi cromosomi, dirige le sintesi specifiche e l’ereditarietà; il citoplasma, con le sue proteine di struttura e le sue proteine-enzimi, è la sede delle attività funzionali e di sintesi. Il citoplasma riceve gli ordini dal nucleo, ed entrambi formano una coppia indissolubile pena la morte»[6].
Dunque, coppia dialettica indissolubile di due «contrari» definiti da funzioni differenti: il nostro materialismo non ha alcuna critica da muovere.
Proseguiamo: «Come si compie la trasmissione degli ordini per quel che concerne l’elaborazione delle proteine?... Si tratta di fatto di una trasmissione codificata che è registrata da un elemento fisso su un elemento mobile che va a fissarsi nel punto in cui devono attuarsi gli ordini; questi elementi sono delle macro-molecole di acidi nucleici e sono di due specie: il DNA che interessa i geni del nucleo e l’RNA che si trova più comunemente nel citoplasma».
Criticando la mania degli scienziati di identificare il movimento («che è modificazione in generale») col cambiamento di luogo, cioè col movimento meccanico, Engels notava:
«Con ciò non si intende dire che ogni forma superiore di movimento non possa sempre essere connessa necessariamente con un effettivo movimento meccanico (esterno o molecolare); proprio così come le forme superiori di movimento ne producono contemporaneamente anche delle altre: non è possibile... vita organica senza modificazioni meccaniche, molecolari, chimiche, termiche, elettriche ecc. Ma la presenza di queste forme collaterali non esaurisce l’essenza della forma principale in questione. Noi ridurremo certamente un giorno il pensiero, sperimentalmente, a movimenti molecolari e chimici nel cervello; ma sarà con ciò esaurita l’essenza del pensiero? (Dialettica della natura, Movimento meccanico).
Il movimento meccanico di cui si parla qui sopra, anche se non necessariamente inadeguato, non può comunque «esaurire» la cito-fisiologia che, a detta dei biologi, pone «problemi estremamente difficili»: quanto a Monod, sarà meccanicista per principio!
«L’informazione inscritta su schede perforate (il DNA dei geni) è portata da copie di queste schede (l’RNA messaggero) a macchine semiautomatiche programmate (i ribosomi) che assemblano le proteine della specie; queste macchine sono alimentate in parti distaccate (gli aminoacidi) dal RNA messaggero».
Si cade qui nel simbolismo «informatico» e in una fantasticheria da cartoni animati. Le descrizioni non possono essere più evolute della scienza che le formula! Ancora:
«I prodotti manifatturati dalla cellula controllano essi stessi la loro fabbricazione...: all’occorrenza, l’agente operatore che scatena la sintesi proteica è bloccato da un agente repressore. L’operatore è un gene specifico, mentre il repressore una proteina specifica sintetizzata da un gene regolatore. Quest’ultimo ha una controreazione, il primo una reazione positiva... La reazione positiva ha per effetto di accelerare costantemente il movimento, mentre la controreazione costituisce il fenomeno inverso».
Su questo ritorneremo. Infine: «Un altro aspetto del potere auto costruente del vivente è la duplicazione. Al momento della mitosi (divisione cellulare del batterio) la cellula-madre lega a ciascuna delle due cellule-figlie un duplicato del suo corredo genetico nucleare (il DNA); la cellula-figlia è l’esatta copia dell’elemento primitivo: ecco l’autoriproduzione, base dell’ereditarietà».
E questo è tutto.

1.2 . Creazione soprannaturale della cellula ideologica

Da tutto questo, il glorioso prof. Monod trae tre conclusioni:
1 - «Il meccanismo della traduzione (dell’informazione inscritta nel DNA, n.d.r.) è assolutamente irreversibile. Non si è mai osservato, e d’altronde non sarebbe concepibile, un trasferimento di informazione in senso inverso, dalla proteina al DNA. Questa nozione si basa su una serie di osservazioni oggi così complete e sicure e (corsivo nostro) con conseguenze così rilevanti soprattutto sulla teoria dell’evoluzione che essa si deve considerare uno dei principi fondamentali della biologia moderna... Non si può concepire alcun meccanismo in grado di trasmette al DNA una qualsiasi istruzione o informazione. Tutto il sistema è quindi interamente e profondamente [7]  conservatore, chiuso su se stesso, e assolutamente incapace di ricevere un’istruzione qualsiasi dal mondo esterno».
2 - «Questo sistema che stabilisce relazioni a senso unico tra DNA e proteina come pure tra organismo e ambiente, sfida qualunque descrizione dialettica. È un sistema fondamentalmente cartesiano e non hegeliano: la cellula in fondo è una macchina».
3 - «Sembrerebbe dunque che, in virtù della sua struttura, questo sistema debba opporsi a... ogni evoluzione. Non v’è alcun dubbio che sia così, e questo fatto rappresenta la spiegazione di un fenomeno in realtà ben più paradossale dell’evoluzione stessa, cioè la prodigiosa stabilità di alcune specie che hanno saputo riprodursi senza modificazioni apprezzabili per centinaia di milioni di anni» (corsivi nostri) [8]. 
Chi è quell’imbecille che una volta disse: «La forma di sviluppo della scienza della natura, nella misura in cui pensa, è l’ipotesi?» Noi avremmo cambiato tutto ciò, noi arditi pionieri dei viaggi intermolecolari! Al contrario, noi affermiamo che, proprio nella misura in cui pensa, la scienza della natura si guarda bene dal perdersi in vane supposizioni, ma avanza arditamente a colpi di affermazioni perentorie! Tenetevi forte: «Il dovere che si impone, oggi più che mai, agli uomini di scienza è quello di pensare la loro disciplina nel quadro generale della cultura moderna per arricchirlo... di quelle idee... che essi ritengano umanamente significative» (dalla prefazione a "Il Caso e la Necessità"). Per amore della cultura moderna, dunque, Monod non esita un istante a riabilitare Cartesio, morto nel 1650 e a seppellire, a titolo postumo, Hegel morto nel 1831. Poi soddisfatto del dovere compiuto, ci lascia chiaramente intendere che la commovente invarianza del limulo marino, quest’eroe fra «alcuni« altri della Non-Evoluzione [9], gli sembra ben altrimenti significativo, umanamente parlando, e in ogni caso assai più paradossale di tutta quella cosiddetta «ortogenesi» che da Lamarck (1809) e Darwin (1859) in poi ci hanno propinato a non finire.
Non serve alcun microscopio elettronico per seguire il meccanismo della costruzione ideologica. Quando Monod, sfidando eroicamente il ridicolo, afferma che le relazioni «tra organismo e ambiente sono a senso unico» viene smentito dalla stessa ingenua descrizione che la macro-cibernetica fornisce del processo. >

Il lavoro di Erostrato
Quando la proteina-repressore blocca la sintesi ordinata dal gene operatore, essa non lo fa né per «caso» né in funzione del suo «libero arbitrio».
Jacob ci dice che questo fenomeno di «repressione» o di «blocco» è la risposta della colonia di batteri a determinati cambiamenti della composizione del liquido di soluzione che costituisce il suo ambiente.
Questa «controreazione» raffigura proprio, anche se in forma caricaturalmente rigida, quella relazione dialettica tra organismo e ambiente di cui Monod non ne vuol sapere, ma senza la quale la vita sarebbe inconcepibile.

Il «principio» della cellula batterica (che si ritroverà beninteso sotto altra forma negli organismi complessi) è il centralismo organico, non l’anarchia. Ma la cellula non è una macchina. Essa sfida la descrizione cartesiana che Monod ne dà, e di cui la biologia molecolare in generale non è responsabile. Prima alterazione ideologica.
Se si passa ora alla questione ben più delicata del rapporto nucleo-citoplasma o DNA-proteina, appare stravagante l’affermazione che non v’è «alcun dubbio» che in virtù della sua struttura «il sistema deve opporsi a... ogni evoluzione», laddove se c’è una cosa fuor di ogni dubbio questa è proprio l’evoluzione, con il pretesto che l’osservazione di batteri con tre miliardi di anni di evoluzione alle spalle non consentirebbe agli scienziati moderni di «concepire» come «un’informazione qualsiasi» possa passare dalla proteina al DNA! Seconda alterazione ideologica.
Se lo scopo è quello di spiegare scientificamente la stabilità relativa evidente delle specie nel corso di milioni di anni, l’affermazione che tra organismo e ambiente «la relazione è a senso unico» manca completamente il bersaglio.
Se invece si tratta di verificare sperimentalmente la teoria della non-ereditarietà delle somazioni [10], affermare che il nucleo è «totalmente conservatore», mentre invece è ben noto che in esso avvengono mutazioni, significa andare ben oltre lo scopo. In entrambi i casi, l’unico risultato è quello di ridicolizzarsi inutilmente. In realtà, questi eccessi provano che non è di questo che si tratta. Se Monod «accresce l’informazione», cioè, volgarmente, altera i già magri dati scientifici, è perché le sue mire sono ideologiche.
Poco importa a quest’«uomo di scienza» che le «osservazioni» non possono essere per definizione né «complete» né «sicure» per l’eccellente ragione che la biologia molecolare data da vent’anni mentre l’evoluzione da... tre miliardi di anni, sicché non esiste neanche lontanamente la possibilità di osservare al prestigioso microscopio anche un solo batterio il cui «codice» genetico non sia stato «corretto» nel corso di un numero astronomico di divisioni cellulari! Poco importa! La nozione dell’irreversibilità della trasmissione di «informazioni» dal DNA alla proteina non è comunque in dubbio: «Le sue conseguenze sono così rilevanti soprattutto per la teoria dell’evoluzione che essa si deve considerare uno dei principi fondamentali della biologia moderna». Perché trattare così sfrontatamente l’esperienza e la teoria scientifica? Perché l’importante è fare i conti una volta per tutte con la teoria dell’evoluzione. Soprattutto. Una nozione così indispensabile al professor Monod per condurre in porto un’impresa tanto audace non può che essere un pilastro della scienza. Oramai, tutti i biologi senza eccezione dovranno comportarsi di conseguenza. Il professore ci propina tutto quanto con il minimo di parole indispensabili. Che densità ideologica!
Di fronte a questa sfida inaudita dell’Anti-Stalin della molecola, come hanno reagito i paleontologi, gli embriologi, gli antropologi, in breve quanti per mestiere avevano potuto fregiarsi finora di speciali diritti sulla teoria dell’evoluzione? Praticando la democrazia degli spiriti, hanno scritto un saggio per difendere il determinismo e una prefazione [11] per proclamare la nullità della Scienza e il proprio personale fallimento in materia... di evoluzione. Mai bilancio così disastroso fu stilato tanto serenamente. Quindi hanno intitolato il tutto «L’Anti-Caos». Con questo genere di difensori, il principio di oggettività non ha, come si vede, nulla da temere dai diktat della biologia molecolare, dalla Scienza della speculazione filosofica, dal determinismo del Caso o dalla democrazia pedante dell’anticomunismo di Monod.
Prima conclusione: Il Professore ha condotto in porto il suo primo tentativo ideologico. È riuscito a trasformare prima la cellula vivente in cellula-macchina, poi in pura idea di cellula, in monade fuori da ogni comprensione profana. Risalendo il corso della Storia, è insomma ritornato alla fonte, alla speculazione greca, agli atomi di Epicuro. Nessuno è quindi più qualificato di lui per spiegarci scientificamente l’Evoluzione biologica, «dal momento che la Scienza stessa proclama la sua bancarotta».

1.3 . Creazione soprannaturale degli organismi ideologici

Sulla base della cellula ideologica sarà un gioco da ragazzi procedere alla creazione di organismi ideologici interi. Basterà fare astrazione da tutti quei dettagli empirici complicati e oziosi che rischiano solo di alterare lo schema puro del centralismo autarchico del DNA. «La scienza è l’analisi», che diamine! [12]
Quando i comuni [13] scienziati vogliono dare una definizione in generale degli organismi viventi, cosa dicono?
«Gli esseri organizzati: - vivono assimilando materia esterna, fornitrice di energia (auto-conservazione); - generano altri organismi che perpetuano la specie (riproduzione); - controllano e sincronizzano in permanenza la loro attività (auto-regolazione); - mutano nel corso degli anni (evoluzione)» (da "L’evoluzione biologica o l’Anti-Caos", Le basi biologiche dell’evoluzione).
Nella filosofia di Monod niente potrebbe essere così naturale. C’è in ballo nientemeno che la programmazione di un calcolatore per conto della NASA marziana (Monod ha tradito la sua vera vocazione) in modo che non vengano ficcati nella stessa classe di oggetti un cavallo e un’automobile, un’ape e un cristallo di quarzo: punto di partenza eminentemente biologico!
Tre proprietà basteranno: morfogenesi autonoma - teleonomia - invarianza riproduttiva. Questa la Santa Trinità degli organismi ideologici [14].
La morfogenesi autonoma: consiste nel «carattere autonomo e spontaneo dei processi che costruiscono la struttura macroscopica degli esseri viventi». Un processo «autonomo» non obbedisce soltanto a leggi proprie: è indipendente da ogni altra realtà. Applicando questo concetto all’autocostruzione degli esseri viventi [15], la biosfera sarebbe completamente sottratta alle leggi del resto della natura. Seguiamo l’edificante ragionamento con cui il nostro ideologo pretende di provare una tale straordinaria affermazione.
Del tutto semplicemente, egli comincia con l’opporre «la maggior parte degli oggetti naturali la cui morfologia macroscopica è dovuta in larga parte all’azione di agenti esterni» agli esseri viventi, la cui «struttura non deve praticamente nulla all’azione delle forze esterne, mentre deve tutto (!), dalla forma generale fino al minimo particolare, a interazioni morfo-genetiche interne all’oggetto medesimo». Qui Monod supera se stesso! A proposito degli oggetti naturali, egli ci fa notare scrupolosamente che la loro morfologia è dovuta soltanto in larga parte all’azione di agenti esterni: se, per seguirlo, noi proviamo a pensare per esempio che alcuni agenti erosivi (come la pioggia e il gelo, le onde del mare, le miriadi di granelli di sabbia sollevati dal vento del deserto) modellano le stesse forme in rocce molto diverse come il granito e il calcare, che responsabilità la sua! Senza nemmeno rendersene conto ci spinge a considerare il rilievo di una roccia come il risultato... dialettico dovuto in parte alla sua struttura e in parte agli agenti erosivi che agiscono su di essa in funzione della sua situazione geografica. È pur vero che, per quanto inerti e passive, le rocce si trovano in un rapporto dialettico [16] con gli agenti erosivi, mentre sono perfettamente «autonome» rispetto alla estinzione delle specie e al crollo degli imperi da cui non sono assolutamente toccate.
Rispetto agli esseri viventi, al contrario, il nostro singolare biologo dimostra una sfacciataggine che sconfina nell’impudenza. (Ciò ci rafforza nella convinzione che la sua «filosofia naturale» è il degno prodotto della collaborazione immaginaria di un Terrestre ossessionato dalla cibernetica con un «Marziano digiuno di biologia», come lui stesso ha ipotizzato). E l’influenza delle forze esterne sulla loro struttura? «Praticamente nulla». E quella delle forze interne? Ad essa è dovuto «tutto». Insomma attribuendo un 2% alla prima, resta un... 100% per la seconda. Avendo così dato alla logica, all’aritmetica e al pubblico l’assicurazione del suo più profondo disprezzo, Monod conclude: «Un determinismo interno, autonomo, assicura la formazione delle strutture estremamente complesse degli esseri viventi». Perché questo «determinismo» è «autonomo»? Ma perché è «interno», perbacco! Bastava pensarci un attimo. Disgraziatamente per il nostro metafisico, se (per riprendere il suo gergo, sola espressione adeguata del suo pensiero) «il determinismo che assicura la formazione delle strutture infinitamente meno complesse della maggior parte degli oggetti naturali» non è affatto autonomo, come del resto egli stesso ammette («in larga parte»), il motivo non va cercato nel fatto che esso è «esterno», ma nel fatto che tra questi «oggetti» e le forze esterne che agiscono su di essi esiste un rapporto dialettico.
Monod non poteva peraltro «provare» l’autonomia della morfogenesi se non nel capitolo che precede quello sulla cellula, di cui essa costituisce naturalmente una conseguenza logica. Per contro, è riuscito in un’impresa sbalorditiva: aborrendo l’idea marxista che la realtà nel suo complesso è dialettica, egli ha ammesso di fatto che seppure totalmente passivi, seppure destinati senza difesa a una lenta ma inesorabile degradazione, gli «esseri» del mondo minerale sono soggetti a loro volta a questa dialettica. Ma ha escluso teoricamente una simile eventualità per gli esseri viventi, i quali peraltro si trasformano con l’ambiente ed evolvono pena la morte! Paradosso perfettamente spiegabile. Il nostro grande filosofo si fa questo piccolo ragionamento: gli esseri viventi sono attivi e in grado di riprodurre ad ogni generazione il genotipo in un nuovo essere: sono cioè meno dipendenti dalle forze distruttive della natura di quanto non lo siano i non-viventi. Da buon metafisico ne deduce immediatamente che è «l’autonomia» a distinguere gli esseri viventi dagli esseri inanimati. Non può evidentemente entrare in testa a questi dinosauri dell’evoluzione del pensiero umano che sono i non-dialettici che «autonomia» e «dipendenza» non sono affatto dei contrari assoluti, che più un essere è «autonomo» per un verso, più dev’essere «dipendente» per un altro verso. Verificandosi una profonda modificazione del clima e quindi della flora e della fauna, chi avrà più probabilità di sparire: l’animale, per un verso «autonomo», ma legato tuttavia all’ambiente da un’infinità di connessioni diverse, oppure la montagna totalmente «dipendente» dai cicli plurimillenari dell’erosione, ma per la quale la nozione di «ambiente» non ha alcun senso, perché troppo ricca di determinazioni? La risposta non lascia dubbi e mostra che, senza tirare in ballo alcuna diavoleria hegeliana, è il più «autonomo» ad apparire il più «dipendente» - e inversamente [17].
Conclusione: Pretendere che la biosfera costituisca una sfera «autonoma» nell’ambito della natura, significa trasformarla in una sfera soprannaturale in barba ad ogni conoscenza scientifica. Affermare che la morfogenesi degli esseri viventi dipende da «interazioni interne» totalmente affrancate dalle leggi del mondo esterno, significa attribuire loro un’origine mistica e trasformare il loro adattamento alle condizioni di vita sulla terra in un enigma impenetrabile. Oltre ad essere antidialettica, questa tesi si colloca al di sotto dello stesso livello raggiunto dalla scienza borghese [18].
La teleonomia: essa ingloba, pur non riducendosi a questo, la nozione di appropriazione (o adattamento) degli esseri viventi rispetto all’ambiente in cui vivono e quale si manifesta nelle loro strutture e nelle loro attività. Essa significa che gli esseri viventi sono degli «oggetti dotati di un progetto» (Monod) «che nessuna intelligenza ha concepito... e nessuna volontà scelto» (Jacob). Questa categoria ideologica attesta esclusivamente il fatto che l’arcaico dibattito del XVIII secolo contro la teologia e il fideismo, per noi materialisti marxisti chiuso da un bel pezzo, resta pur sempre d’attualità per i nostri ideologi borghesi. La teleonomia delinea insomma una biologia anticlericale: come si vede, il massimo della modernità!
Ciò premesso, scopriamo che la teleonomia è solo «una proprietà secondaria derivata dall’invarianza, la sola proprietà considerata primitiva»: ogni altra concezione sarebbe «incompatibile col postulato di oggettività». Dire «oggettivo» è lo stesso che dire che gli esseri viventi si sono adeguati alle condizioni ambientali perché si riproducono in modo invariante! Ma essi non lo fanno. E anche se lo facessero, ciò non cambierebbe di una virgola la questione: l’invarianza può conservare, ma non produrre alcunché. Se ha il potere di far «derivare» l’adattamento (teleonomia) del «codice genetico» che essa conserva, ciò può avvenire perché quest’ultimo vi si trovano già inscritto: cioè l’adattamento deriva non dall’invarianza ma dal «codice». Ma come fa il «codice» ad «informare» gli organismi adattati? Come, dal momento che è autonomo, si è esso stesso «informato» prima ancora di formarsi, visto che la biosfera non è sempre esistita? In altre parole, qual è la sua origine? Questo il problema. Ma «non è di problema che bisognerebbe parlare, quanto piuttosto di un vero e proprio enigma», risponde il professore. Anche la teleonomia rimane dunque «enigmatica»! La biologia anticlericale si limita a spostare i misteri, non li dissipa. Tutto il suo exploit «scientifico» si riduce a sostituire il detto biblico: «In principio era il Verbo», con il detto para-biblico: «In principio era il programma genetico».
L’invarianza riproduttiva (o invarianza tout court): secondo i «comuni» scienziati prima citati, tra le caratteristiche degli esseri viventi bisogna annoverare il fatto che essi «si modificano nel corso dell’età (evoluzione)». Privi delle certezze scientifiche della biologia molecolare e dei lumi della «filosofia naturale», quei disgraziati sono arrivati ad ipotizzare non solo che gli esseri viventi si sono evoluti, ma che avevano l’attitudine di farlo! Monod non nasconde il suo sdegno per un siffatto semplicismo teorico: «Per la teoria moderna, l’evoluzione non è affatto una proprietà degli esseri viventi poiché essa ha la sua radice nelle imperfezioni stesse del meccanismo di conservazione che costituisce, ed esso soltanto, il loro unico privilegio». Con poche stringate parole, Monod stabilisce le sette folgoranti tesi che gli spiriti mediocri dovranno assimilare per rendersi degni della «teoria moderna»:
1) Il meccanismo di conservazione (della riproduzione) è l’unico privilegio degli esseri viventi;
2) ergo, e anche la loro unica proprietà;
3) poiché, scientificamente, è il privilegio che distingue gli esseri viventi da tutti gli oggetti naturali e dagli artefatti (prova ne è che persino un calcolatore marziano li trova insoliti);
4) in quanto esseri privilegiati non possono annoverare imperfezione alcuna tra le loro proprietà;
5) poiché la fonte del privilegio è la perfezione;
6) ma siccome nessun essere è perfetto se non è immutabile, ne consegue che
7) la riproduzione invariante e pur sempre l’unica proprietà che può essere scientificamente riconosciuta agli esseri viventi: come volevasi dimostrare.
Il resto sono chiacchiere [19].
Se Monod fosse stato solo uno specialista obnubilato dallo studio dei meccanismi dell’ereditarietà, avrebbe potuto, grazie alle libertà democratiche, militare tranquillamente a favore della sua «riproduzione invariante». Cosa di non secondaria importanza, visti i «grandiosi mutamenti che hanno avuto per teatro le ere geologiche e la superficie del pianeta». Ma dal punto di vista di una filosofia moderna, una simile modestia sarebbe stata indecente. Godendo di una totale immunità, Monod ha sferrato un nuovo colpo da maestro: con una semplice inversione dell’ordine dei termini ha sostituito «riproduzione invariante» con «invarianza riproduttiva». (La Filologia ufficiale non aveva voce in capitolo: si trattava di un problema di fondo e non di forma. La lingua deve restare pura, ma il pensiero è libero, in democrazia). E il pensiero di Monod è chiarissimo: è l’invarianza e non la riproduzione ad aver assicurato la continuità della discendenza. Compiendosi all’inizio per semplice divisione cellulare e solo molto più tardi per fusione di due gameti, la riproduzione non è stata che l’astuto mezzo utilizzato dall’Invarianza per evitare (messo da parte ogni finalismo) che si spezzasse il filo che lega gli uomini di oggi al Batterio ancestrale (non si entra qui nel merito della variazione dal batterio all’uomo, che verrà esaminata più avanti). La prova che l’invarianza è senz’altro la caratteristica primaria del vivente è data dal fatto che si può eliminare l’aggettivo «riproduttivo» senza il minimo inconveniente. Il concetto appare così in tutto il suo rigore. Se la tesi era meta- o addirittura para-fisica, il francese era in compenso impeccabile: non fu contestato il diritto di cittadinanza all’«invarianza riproduttiva» nella più «chiara» fra tutte le lingue civili!
Ecco come, in pieno XX secolo, un professore del College de France ha, sulla base di una scienza dell’ereditarietà, improvvisato una filosofia che riduce la riproduzione allo stato di aggettivo amovibile, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo! A tanto si riducono le prodezze soprannaturali degli atei del XX secolo!
Conclusione: quando l’ideologia proclama: «La Vita è l’Invarianza», essa è bizzarra, grottesca, ripugnante. Ma la società borghese intende: «La variazione è la morte». E siccome il movimento della storia la porta irrimediabilmente verso l’annientamento, anche se con una lentezza che mette a dura prova la pazienza dei rivoluzionari proletari, essa riconosce una verità di classe fin dentro una ripugnante bizzarria. 

1.4 . La metafisica dell’evoluzione 

E ora come superare l’abisso che la filosofia «naturale» ha scavato tra sé e il reale? Come trarre un movimento da un’invarianza? Come dedurre l’evoluzione biologica dal «conservatorismo totale del meccanismo duplicatore del DNA» e dall’«autonomia assoluta» del microcosmo nucleare? Monod realizzerà quest’impresa impadronendosi di un’ideologia trovata già bell’e pronta - la cosiddetta teoria «sintetica», figlia del neo-darwinismo, codificata dai biologi negli anni ‘50 - e sovrapponendole una metafisica che essa non implicava, ma che invece era sicuramente contenuta nella sua «dottrina» dell’invarianza riproduttiva assoluta.
Generalizzando i risultati dei lavori di De Vriès (teoria delle mutazioni nei vegetali, 1901/1903) e soprattutto del fondatore della genetica T.H. Morgan, studioso delle mosche Drosofili (1910/1945), la teoria «sintetica» deve il suo nome alla pretesa di spiegare l’evoluzione da una parte con l’ausilio delle mutazioni dei geni, causa delle variazioni, e dall’altra parte ricorrendo alla selezione naturale, causa dell’adattamento delle specie all’ambiente attraverso l’eliminazione di organismi portatori di mutazioni nocive.
Sul piano strettamente scientifico, le insufficienze di questa teoria sono state rilevate più di una volta: 1) pur ammettendo che le mutazioni hanno delle cause, essa nega tuttavia di conoscerle; 2) essa riduce tutta la macro-evoluzione alla micro-evoluzione, pretendendo di spiegare con l’aiuto di una serie di mutazioni regolari dei geni tutte quelle trasformazioni che la paleontologia, ad esempio, studia con i metodi dell’anatomia comparata, e che sono collegate tra loro da una evidente logica interna, da un principio filosofico di correlazione. Ma se le mutazioni sono dei fatti ormai ampiamente dimostrati, non per questo possono però spiegare l’embriogenesi di una struttura precisa (un cuore, due polmoni, tot vertebre, ecc.) dal momento che rispondono manifestamente a un piano generale [20]; d’altronde è chiaro che i meccanismi evolutivi non possono essere stati gli stessi a tutti i livelli tassonomici, per cui ciò che potrebbe valere per degli esseri monocellulari diventa assolutamente insufficiente una volta che lo si volesse applicare alla variazione di organismi altamente differenziati. È perciò inammissibile il monismo applicato alla spiegazione delle mutazioni. Infine 3) essa ignora del tutto i rapporti che intercorrono tra germe e soma, dal momento che esclude senz’altro l’integrazione delle somazioni nel corredo genetico. In breve, si rimprovera a questa teoria di tener conto esclusivamente della differenziazione delle specie, senza spiegare né la genesi di organi estremamente complessi come l’occhio o il cervello (che, se fossero il risultato di mutazioni genetiche, ne avrebbero comportato un’infinita) né la costituzione delle classi e degli ordini (per la stessa ragione).
La prima prodezza di Monod consisteva nel proclamare perfettamente e totalmente soddisfacente questa povera piccola teoria scientifica tanto controversa. Merita perciò che gli si muova l’obiezione classica fatta al mutazionismo e così formulata dal suo collega Jacob in persona: «Per estrarre da una roulette colpo dopo colpo, sottounità dopo sottounità, ciascuna delle centomila catene proteiche che possono comporre il corpo di un mammifero, occorrerebbe un tempo che supera, e di gran lunga, la durata assegnata al sistema solare». Ma che importa al nostro ideologo del calcolo delle probabilità.
Impadronendosi dei dati della teoria sintetica - mutazione e selezione - Monod li trasformerà in concetti - caso e necessità - costruendo sulla base già debole di quella teoria una metafisica di tipo pre-hegeliano. Infine, evocando per pagine e pagine la cosiddetta «gratuità» di fenomeni recentemente osservati dalla microbiologia (come la biosintesi di una data «galattosidasi» ad opera di dati «galattosidi» come l’idrolisi o l’assemblaggio delle sequenze proteiche che sembrano contraddire ogni legge), egli si abbandona senza ritegno ad un accesso di delirio sartriano nel tipico stile lirico-volgare alla Camus: «Il caso puro, il solo caso, la libertà assoluta, ma cieca, alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione!»
Al «caso» sono dovuti il mondo, la biosfera e, beninteso, la società stessa. Secoli di determinismo buttati alle ortiche! Questo il degno coronamento degli sforzi ideologici di Monod, fedele riflesso della decomposizione teorica di quella classe controrivoluzionaria che è la borghesia! È arrivato il momento di vedere come la dialettica razionale spiega le categorie di «caso» e di «necessità» e in quali rapporti essi stanno con i concetti di invarianza e di mutazione. >
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[1]. L’impiego del termine «codice» per designare il patrimonio genetico della specie ha un valore puramente analogico, e quindi molto riduttivo: testimonia solo il fatto che i fenomeni analizzati dalla biologia molecolare restano per essa in larga parte un... «linguaggio cifrato». Anche se non gli si può rimproverare nulla, si deve dubitare tuttavia che l’analogia possa in qualche modo contribuire alla... «decifrazione». 

[2] . Da "Sul metodo dialettico", Prometeo, n.1, 1950.

[3] . Da "Althusser o dei limiti dell’intelligenza piccolo-borghese", Programme Communiste, n.55, 1972.

[4] . Da "L’evoluzione biologica o l’Anti-Caos".

[5] . Da "Quaderni filosofici. A proposito della dialettica".

[6] . Preferiamo trarre questa descrizione da "L’évolutione biologica o l’Anti-Caos", in "Le basi biologiche dell’evoluzione", piuttosto che da "Il caso e la necessità" il cui stile «filosofico» è insopportabile e l’oggettività dubbia. 

[7] . «Interamente»  prima; «profondamente»  poi: restrizione; ma «assolutamente incapace»  riporta a «interamente»; dunque l’ideologo sa di mentire, ma avanza spedito: gli animali-macchina non ci capiranno niente ma, anche nel caso contrario, che importa? Avrà comunque raggiunto il suo scopo. La convergenza di cinismo e oscurantismo intellettuale in un tale «luminare della scienza»  non può essere un fatto individuale: fornisce un’immagine troppo scoperta e fedele della controrivoluzione per non stigmatizzarla.

[8] . "Il caso e la necessità", Mondadori, 1988. Con questa edizione sono state confrontate, quando è stato possibile, le numerose citazioni riportate nel testo.

[9] . È Jacob che ne parla nella "Logica del vivente". Colpito dal fenomeno dell’invarianza, Jacob non è perentorio come Monod riguardo all’evoluzione. la sua opera è per molti aspetti ben più seria e interessante del pessimo saggio dello spaccone della biologia molecolare, ma siccome nella nostra epoca di decadenza sono le sbruffonate e i fatti sensazionali a mietere successo, è naturalmente Monod ad avere gli onori della cronaca!

[10] . Modificazioni nelle cellule somatiche causate dall’attività dell’essere vivente. Nella sua formulazione antropomorfica, la non ereditarietà delle somazioni è detta «non ereditarietà dei caratteri acquisiti», ed è stata formulata per la prima volta da Weismann intorno al 1883 a seguito della scoperta della differenza fra cellule germinali o gameti (germen) e cellule di tutti gli altri tessuti (soma).

[11] . L’immagine che questa prefazione ci offre del livello intellettuale e del tono morale della biologia francese alla data 1972 è una conferma clamorosa del giudizio dato da Lenin ad inizio secolo sull’insieme della scienza borghese internazionale. Essa mostra che i Monod sono alla fine il castigo storico che degli imbelli del genere si meritano. Vediamone le chicche: «La scienza non ha mai spiegato nulla. È un punto sul quale insistiamo molto (sic). Noi non spieghiamo nulla. È una delle ragioni del nostro spiritualismo. La scienza ogni giorno di più ci fornisce la prova della sua insufficienza». Costoro, che a differenza di Monod si dedicano per mestiere al principio di oggettività nelle scienze della natura, non perdono tempo a discutere il «nuovo principio fondamentale»  proposto imperativamente da Monod: non credendo più alla scienza, a che pro? Professor Monod, anche se aveste mille volte ragione, perché accanirvi a voler spiegare l’evoluzione? Perché si affannano a dirvi che «la scienza non ha mai spiegato nulla?»  Si dicono «spiritualisti» per delusione. Ma è vero anche l’opposto: «l’insufficienza»  della scienza è la loro propria insufficienza, perché la scienza è soltanto un’astrazione che ricopre la loro attività sociale. Essa non può oltrepassare i limiti stessi dei degni «spiritualisti»  che la fanno! Così va la «cittadella del sapere»  sotto la decadenza borghese!

[12] . Il materialismo dialettico disdegna egualmente entrambi i campi che dividono la biologia moderna, i tomisti (o riduzionisti) fautori dell’analisi microscopica e gli integristi (o evoluzionisti) fautori dello studio delle collettività animali e dei loro comportamenti. Gli uni e gli altri si trovano d’accordo su un solo fatto: rinfacciarsi reciprocamente l’incapacità di percepire i «segreti»  della vita e dell’evoluzione. Niente è più comico che il vedere le persone accapigliarsi perché c’è chi pretende di arrivare alla conoscenza attraverso l’analisi e chi invece attraverso la sintesi, o meglio abbordando direttamente la totalità in quanto tale! È una disputa tipicamente scolastica dal momento che non tiene conto che analisi e sintesi costituiscono una unità dialettica i cui termini sono indissolubilmente legati; d’altra parte, dal punto di vista dialettico, tanto è assurdo pretendere che basta conoscere una parte per conoscere il tutto quanto pensare che la totalità può essere conosciuta direttamente senza passare per l’analisi che permette di spiegare sia i fatti più nascosti sia quelli più astratti, che è proprio la chiave di volta  dell’insieme. Non si riesce ad immaginare per esempio "Il Capitale" di Marx senza l’analisi della «cellula», la merce. Ma non si riesce ad immaginarlo nemmeno senza la ricostruzione teorica della vasta totalità di rapporti propri alla società capitalistica e, a più forte ragione, alla previsione dei loro movimenti reciproci a partire dalle astrazioni teoriche tratte dallo studio scientifico di quella «cellula» (valore - lavoro - plusvalore - profitto, ecc.): analisi e sintesi! (vedi "Introduzione alla critica dell’economia politica, Il metodo dell’economia politica"). >
Le cose sono evidentemente più complesse in una scienza della natura dal momento che entra in gioco la cooperazione di un gran numero di individui nello stesso momento e nel corso della storia, ma i principi sono gli stessi: «La dialettica è nello stesso tempo analitica e sintetica, non nel senso che essa giustappone i due metodi di conoscenza..., ma piuttosto nel senso che essa li contiene come superati e si comporta al tempo stesso analiticamente e sinteticamente in ciascuno dei suoi procedimenti» (da Lenin, "Quaderni filosofici").

[13] . Monod è il Filosofo solitario che pretende di offrire su un piatto d’argento al pubblico strabiliato la (!) soluzione del (!) grande problema dell’evoluzione. Da perfetto metafisico è anche individualista e messianico. Un borghese classico, una figura arcaica!

[14] . Nella insulsa finzione di Monod «è un programmatore marziano digiuno di biologia ma informatico di professione»  col quale egli ha avuto «un’esperienza immaginaria» (sic!), che ha trovato queste tre «proprietà». Dati i risultati, gli crediamo sulla parola. Ma abbiamo mostrato che Monod non riserva esclusivamente ai... Marziani le «esperienze immaginarie».

[15] . Non ci metteremo qui a stabilire entro quali limiti è consentito di dire in generale che un processo qualunque è «autonomo»: ciò ci porterebbe troppo lontano dalla biosfera e dalla sua evoluzione. Quello che è certo, è che «l’autonomia assoluta» è il nulla.

[16] . Rapporto dialettico perché lega indissolubilmente due cose: le rocce, che sono rocce reali solo nella misura in sui sono soggette all’erosione dell’acqua, del gelo, ecc.; gli elementi, che appaiono come agenti erosivi solo in rapporto alle rocce e non, per esempio, in rapporto alle specie viventi! All’interno di questo rapporto è altrettanto stupido parlare di «autonomia»  della roccia, che non può sfuggire alla lenta degradazione meccanica e chimica dovuta all’erosione, quanto parlare di «autonomia»  dell’agente erosivo, che non è il solo a determinare la sagoma della roccia. 

[17] . Si potrebbero moltiplicare gli esempi: chi è più «autonomo» relativamente alle costrizioni materiali, ai legami di sangue, al dispotismo del costume e della tradizione, di un «libero»  cittadino della società borghese? Ma chi più di lui è dipendente da una molteplicità di costrizioni tipiche di questa società, completamente sconosciute alle tribù primitive, e che, in fin dei conti, ne fanno uno schiavo sia del sistema del salario, sia semplicemente di tutti i rischi dell’economia capitalistica: crisi economiche e guerre? O ancora: chi è più «autonomo»  del despota americano del mondo che impone la sua legge a tutte le potenze? Ma chi più di esso è dipendente dal resto del pianeta per il suo approvvigionamento di materie prime, per le sue esportazioni di merci e di capitali, e dunque per il suo ordine interno? La logica dialettica è universale, non se n’abbia a male il signor Professore.

[18] . Alcuni professori di craniologia comparata protestano in un articolo di "L’Anti-Caos" contro la «morfogenesi autonoma» dell’illustre Monod nei termini seguenti: nella morfogenesi la gravitazione agisce passivamente... Essa limita i tentativi e fatalmente li orienta. L’evoluzione si è inquadrata in questa sola via possibile aperta alla condizione terrestre. Seguendo questa rotta inflessibile e invisibile, a tentoni, attraverso mutazioni... l’evoluzione... non è che il risultato di condizioni imposte dall’esterno. L’evoluzione dei Vertebrati appare come comandata da una tonicità predominante sempre più marcata dei muscoli estensori della colonna vertebrale e degli arti...: è una organizzazione degli esseri in un equilibrio conforme alle leggi del cosmo (corsivo nostro), cioè in accordo con il mezzo ambiente e le esigenze della gravitazione. Quest’ultima non spinge le variazioni... verso il solo bipedismo a formula umana. Essa si è adattata e si adatta ad ogni altra soluzione morfologica a condizione che le norme imposte dal cosmo siano rispettate (corsivo nostro)... I fattori esterni non solo... dirigono e modificano i rapporti (tra le forme), ma addirittura alcuni di essi, come ad esempio la gravità, con la loro costanza, hanno permesso la realizzazione del processo ortogenetico che ha portato all’uomo. Oltre a questo fattore noto, ve ne sono altri solo supposti (la possibile influenza del campo magnetico?) o addirittura a noi del tutto sconosciuti, e che forse hanno avuto un ruolo preponderante... ("L’Anti-Caos", L’umanizzazione del cranio). 

[19] . Monod accusava insomma la scienza ufficiale di insegnare nelle nostre scuole delle assurdità, dei concetti metafisici ormai superati del tipo: se «gli esseri organizzati si modificano nel corso dell’età» è perché hanno «la proprietà di evolvere» !!! Irriducibile, ma cortese, la scienza ufficiale rispondeva: «Quest’ultima asserzione si può discutere»  tramite i collaboratori dell’"Anti-Caos". Si voleva dire che era «discutibile»  o «da discutere»? Mistero. Da una parte, essi notavano in tutta oggettività: «Secondo Monod è falsa». Dall’altra parte, aggiungevano scrupolosamente: Per contro, secondo Lamotte e l’Heritier ("Biologia generale", vol. I), «l’attitudine a variare»  rappresenta «una caratteristica fondamentale degli esseri viventi»; essa ha prodotto dei cambiamenti di cui alcuni (sic!) «di una vastità grandiosa hanno avuto per teatro le ere geologiche e la superficie del Pianeta». Ma non traevano alcuna conclusione. Non c’è da stupirsi: ciò che distingue la Scienza borghese dalla Filosofia non è forse proprio il rifiuto di trarre conclusioni? Questo diritto democratico non si confonde forse con l’oggettività come essa la concepisce? Naturalmente, e proprio per questo, essa pensa che senza democrazia non si dà scienza, perché senza rifiuto di trarre conclusioni... «è l’ideologia a trionfare!»

[20] . Abbiamo visto più sopra che gli specialisti del cranio spiegano questo piano in maniera tutt’altro che mistica mediante le leggi del cosmo.
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