BIOLOGIA NON ESISTENZIALISTA

Manfred Eigen . 1987
arteideologia raccolta supplementi
made n.18 Dicembre 2019
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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Diciassette anni dopo la pubblicazione de Il caso e la necessità, il chimico, biofisico e chimico-fisico tedesco, Manfred Eigen, Nobel per la chimica nel 1967, pubblica un libro, «.Gradini verso la vita.L’evoluzione prebiotica alla luce della biologia molecolare.»,  dalla cui Prefazione, dell’autore stesso, leggiamo: 
Per Monod la vita non si può comprendere che in chiave esistenziale…. Se davvero si dimostrasse che solo “il semplice caso, null’altro che il caso e l’arbitrio assoluto sono alla base del meraviglioso edificio dell’evoluzione”, allora questo libro sarebbe superfluo e non ci resterebbe che stendere un nudo resoconto di fatti, dati, strutture e meccanismi. La biologia si rivelerebbe un’isola di esistenzialismo nel sistema cosmico della vita. Questo libro si riallaccia a Monod, la cui chiarezza intellettuale ha saputo fare tanta luce nella biologia ma – diversamente da Monod – non insiste nel proclamare l’onnipotenza del caso, che, a livello microscopico, regna nella fisica sin dai tempo di Maxwell e Boltzmann. [1]
Sembra proprio che il ‘nostro’ testo abbia anticipato di almeno quattordici anni il giudizio che il signor Monod riceve anche dalla biologia molecolare non-esistenzialista; la quale, recuperata almeno la dialettica hegeliana e indicate le capacità del'intuizione e dell'im-maginazione letteraria in ambiti scientifici, ci mostra finalmente anche gli strumenti con i quali la brutalità svolge praticamente il proprio lavoro.

Prefazione (ad un libro superfluo... eventualmente)

Il titolo di questo libro si presta a due possibili letture. In primo luogo, esso potrebbe alludere ai gradini che l'evoluzione ha salito per arrivare al primo stadio della vita.
Per i biologi questo livello e rappresentato dalla cellula, la più piccola unita dotata di vita autonoma, che e, di conseguenza, un predecessore degli attuali microrganismi unicellulari. La documentazione fossile fa risalire questo primo stadio a più di tre miliardi di anni fa. La fase precellulare, che sul nostro pianeta potè disporre al massimo di un miliardo di anni, fu straordinariamente ricca di invenzioni e innovazioni. Non meno prodiga è stata la natura nel corso della storia più recente dell'ultimo miliardo scarso di anni, durante i quali dalla cornucopia dell'evoluzione si e riversato sulla Terra un rigoglioso e abbondante raccolto.
D'altra parte, la continuità dell'evoluzione non significa per nulla un processo omogeneo nel tempo: i cambiamenti si preparano gradualmente per poi manifestarsi all’improvviso, portando l'evoluzione a un nuovo, più alto livello. Si hanno cosi variazioni graduali e, nel contempo, variazioni puntiformi e intermittenti, nelle quali si manifesta, di volta in volta, il successo di un adattamento o addirittura la scoperta di un nuovo principio.

Eccoci così alla seconda possibile interpretazione del titolo di questo libro, secondo la quale i gradini sarebbero quelli che ci portano alla comprensione dei processi biologici: una conquista che avviene per gradi tanto nei particolari quanto su grande scala. E’ questo, anzi, il principale intento del libro: rendere chiari e intuitivi i principi dell’evoluzione, integrando in una visione unitaria del mondo fisico.
La biologia molecolare, nata verso la metà del nostro secolo a partire dalla biochimica e dalla strutturistica molecolare, ha registrato nella sua breve storia un'espansione tanto rapida quanto imprevista, al punto che si può parlare a buon diritto, oggi, di un'era della biologia molecolare. Né mancano certo eccellenti esposizioni di questa moderna disciplina con tutto il suo apparato di conoscenze e di ipotesi sulle strutture biologiche e sui meccanismi di reazione. Ciò che manca è soltanto l’integrazione di questo complesso di conoscenze in una teoria generale della natura.
Sino a oggi, il solo tentativo compiuto in questa direzione è stato quello di Jacques Monod, un tentativo affascinante e grandioso che ha saputo affrontare anche le conseguenze di natura filosofica, culminando in un'apoteosi del caso.
Per Monod la vita non si può comprendere che in chiave esistenziale.
Pur essendo compatibile con il determinismo della natura, la vita non può essere derivata dalle sue leggi. Lungi dall'essere la manifestazione di un piano deterministico della natura, essa è un semplice frutto del caso, scaturito dal nulla.
Se davvero si dimostrasse che solo «il semplice caso, null'altro che il caso e l'arbitrio assoluto sono alla base del meraviglioso edificio dell'evoluzione», allora questo libro sarebbe superfluo e non ci resterebbe che stendere un nudo resoconto di fatti, dati, strutture e meccanismi. La biologia si rivelerebbe un'isola di esistenzialismo nel sistema cosmico della fisica.
Questo libro si riallaccia a Monod, la cui chiarezza intellettuale ha saputo fare tanta luce nella biologia, ma — diversamente da Monod – non insiste nel proclamare l'onnipotenza del caso, che, a livello microscopico, regna nella fisica sin dai tempi di Maxwell e Boltzmann.

Nella sua prolusione all’Universita di Zurigo, tenuta nel dicembre 1922, Erwin Schrodinger aveva dichiarato:

«La ricerca nel campo della fisica ha dimostrato in modo lampante che, almeno nella stragrande maggioranza dei fenomeni naturali la cui regolarità e invariabilità hanno condotto alla formulazione del postulato della causalità generale, è il caso la radice comune della stretta rispondenza alle leggi riscontrata».

Non erano ancora gli anni in cui il principio di indeterminazione della meccanica quantistica avrebbe saldamente ancorato il caso alle fondamenta della fisica.
Nella biologia il caso si presenta anche a livello macroscopico: la selezione naturale non è altro, infatti, che la scelta, il rinforzo autocatalitico e il manifestarsi di singoli eventi elementari soggetti al caso.
Tuttavia, entrano in gioco anche qui regolarità di tipo deterministico, che si riflettono nei fenomeni propriamente biologici, così come succede per i fenomeni della fisica classica.

Gli argomenti qui riportati si basano su modelli matematici rigorosi nonché su ricerche di biologia sperimentale. Il libro, inoltre, intende comunicare un nuovo complesso di conoscenze e la sua stesura risponde, pertanto, a un motivo analogo a quello che spinse Charles Darwin a pubblicare il suo The Origin of Species. Viene accolta la teoria di Darwin, come pure viene affermato il ruolo del caso, anche se l'interpretazione di questo ruolo si scosta dalle teorie oggi più diffuse in biologia.
Le mie considerazioni partono dalla storica scoperta di Francis Crick e James Watson, che ha segnato, a partire dalla sua pubblicazione nel 1953, l’inizio dell'era della biologia molecolare. Ciò che conta, a questo proposito, non è tanto l'identificazione della struttura dell’acido desossiribonucleico (DNA) sulla base di diffrattogrammi a raggi X, quanto piuttosto la scoperta che il DNA è la molecola dell'eredità biologica e che la sua struttura cela la chiave per la comprensione del meccanismo molecolare dell’eredità.
Il tanto sospirato ponte tra chimica e biologia era gettato. Pur essendo di per sé una sostanza chimica, il DNA è qualcosa di più che una semplice macromolecola.
Grazie alla sua natura chimica, il DNA è infatti il magazzino, la memoria dell'informazione genetica. E’ da questa proprietà, riconducibile a fatti chimici, che discendono tutti gli altri fenomeni biologici. Di questo in particolare si parlerà, anche se il libro non vuole essere un'introduzione alla biologia molecolare.
Allo stesso modo, esso non si propone di descrivere l'evoluzione biologica nel suo complesso. Di questa sorta di grandioso spettacolo teatrale verrà rappresentato un solo atto, quello corrispondente all'intervallo di tempo che va «dal DNA alla prima cellula», l'èra in cui si è compiuto il passaggio dalla fase prebiotica alla vita.

Dieci sono i capitoli del libro dedicati a questa « giornata » della creazione, la cui durata si è protratta per forse cinquecento milioni di anni.
Ciascun capitolo è preceduto da una citazione tratta dal romanzo La montagna incantata di Thomas Mann [2], un'opera che ha visto la luce nel 1924, quando ancora il concetto di biologia molecolare non esisteva affatto. Come mai queste citazioni?
Da questa piccola antologia in compendio – più ancora che dallo studio del capitolo «Indagini» del romanzo — ci si potrà convincere che evidentemente Thomas Mann ha riflettuto a fondo sul problema che costituisce anche il tema centrale di questo libro.
Si tratta del passaggio da «quella natura che non merita neanche di essere definita morta, perché è inorganica» alle «più semplici manifestazioni vitali», in cui non v'è più nulla «di immediato o malmediato». E il lettore noterà come le riflessioni di Thomas Mann sulla vita costituiscano qualcosa di più che un elegante contrappunto letterario alla materia di questo libro. >

Nei panni del personaggio Hans Castorp — che, nella finzione romanzesca, Thomas Mann fa cimentare nell'indagine su una progressiva suddivisione dell'organismo vivente – l'autore si interroga alla fine circa le unità biologiche elementari che stanno al di sotto dell'unità biologica della cellula. «Questi erano i gen[i]».
Ma che cosa ne è della loro «natura elementare»? Qual è il loro aspetto «al lume di una più acuta investigazione»?
Thomas Mann giunge alla conclusione che i geni non possono assolutamente essere strutture elementari nel senso della chimica, ma che a loro volta debbono essere composti.
Egli istituisce — nel senso della dialettica hegeliana — una contraddizione, contrapponendo alla tesi, secondo cui «siccome sono portatori di vita, [i geni] devono essere organizzati», l'antitesi secondo cui «poiché la vita (e tutte ciò che la caratterizza) è fondata sull'organizzazione, non possono essere elementari». Egli risolve la contraddizione mediante la sintesi:
«Ma se è così essi, sia pure piccoli al di là di ogni immaginazione, devono essere a loro volta "composti", e proprio organicamente, "costruiti" come un ordine di vita».

E dice anche di che cosa essi dovrebbero essere costituiti: di «gruppi di molecole costituenti il passaggio fra ordine vitale e mera chimica».
Thomas Mann, come apprendiamo dai suoi diari [3] , scrisse tutto ciò nel 1920. Dal 1953 noi sappiamo di che cosa sono fatti i geni, e inoltre sappiamo che essi rappresentano il passaggio dalla materia inerte al progetto della vita. Le subunità che compongono i geni sono «elementari» in senso chimico: sono cioè gruppi molecolari, unità chimiche. Solo la loro collocazione all'interno della molecola del DNA produce una nuova qualità, specifica degli esseri viventi: l’informazione. Il DNA è dotato, infatti, delle più salienti proprietà della vita: possiede una memoria, è in grado di riprodursi, può essere soggetto a mutazioni e può, di conseguenza, subire adattamenti evolutivi. Infine, il metabolismo cellulare gli impedisce di sprofondare nella condizione di equilibrio chimico, dal quale la vita è esclusa.
Di queste unità vitali elementari, «le cui dimensioni stanno molto al di sotto del limite della visibilità microscopica», Thomas Mann dice che esse crescono per attività propria, «secondo la legge che ciascuna può produrre soltanto individui della stessa specie », e che esse possiedono «le facoltà di assimilare» (ovvero di adattamento), che sono tutte quante tipiche «qualità della vita».
Ognuna di queste citazioni potrebbe comparire come motto in un moderno manuale di biologia molecolare.
Ma da dove ha ricavato Thomas Mann queste intuizioni, in anticipo sui tempi di circa un trentennio?
Nei suoi diari, alla data del 14 luglio 1920, egli annota: «E arrivata la Allgem. Biologic [Biologia Gener.] di Hertwig ». E ancora, l'8 agosto dello stesso anno: «Leggere la Allgem. Biologic di Hertwig».
Di tanto in tanto, leggendo un manuale di fisiologia che ha preso in prestito, lamenta «il disorientamento della scienza di fronte al reale processo vitale». A quanto pare, però, trova quello che cercava nella sospirata opera di Oscar Hertwig, uno scienziato e docente universitario che alla biologia aveva dato importanti contributi, tra cui lo studio del processo di fecondazione nelle uova di riccio di mare (1875), la scoperta della riduzione meiotica dei cromosomi durante la maturazione cellulare (1890) e l'individuazione del nucleo cellulare quale portatore dell'eredità biologica. Sebbene gli «acidi del nucleo» fossero gia stati scoperti nel 1869 da Friedrich Miescher, fu solo nel 1943 che Oswald Theodore Avery riuscì a fornire la dimostrazione (pubblicata nel 1944) delle proprietà ereditarie degli acidi nucleici, un'idea di cui Oscar Hertwig era stato uno degli antesignani e che si ritrova anche nel suo manuale di biologia, là dove indica espressamente negli acidi nucleici i presunti portatori dell'informazione genetica. Discepolo di Haeckel, Hertwig fu molto vicino alle teorie darwiniane, da cui tuttavia più tardi si distaccò. Nella Allgemeine Biologic si trovano tutte le formule e la terminologia specialistica usata da Thomas Mann, comprese le interpretazioni errate occorse a Hertwig, come quando, ad esempio, in antitesi con Darwin e con Haeckel, parla di trasmissione ereditaria di caratteri acquisiti.
E’ sorprendente come in Hertwig le formulazioni scientifiche risultino meno pregnanti che in Thomas Mann, non solo perché il genio letterario di Mann favorì la rielaborazione dialettica dei fenomeni e dei concetti scientifici, ma anche perché la sua acutezza intellettuale fu in grado di dar loro una sistemazione ordinata e di conferirgli coerenza e trasparenza logica. Hertwig riporta ancora tutti i «se» e i «ma» delle opinioni contrastanti, che invece Thomas Mann tralascia senza tanti discorsi. L'elaborazione di questa complessa
materia richiese al sommo romanziere meno di tre mesi, come si legge al 30 settembre 1920 del suo diario: «Terminato ieri il capitolo biologico».

Ma ritorniamo brevemente a questo libro. Esso è diviso in tre parti, relativamente indipendenti tra loro. La prima deriva da un saggio uscito ai primi del 1986 in un volume commemorativo [4].
II saggio, redatto da Ruthild Winkler-Oswatitsch, era accompagnato da un apparato iconografico, bisognoso peraltro di un testo integralivo che fosse, d’altra parte, autosufficiente. Sono nate in questo modo le quindici «Schede» della seconda parte del volume, dedicate ad altrettanti importanti temi specifici della biologia; qui hanno la forma di capitoli autonomi. Le schede, consultabili anche a prescindere dalla prima parte, non solo le corrispondono nella gamma degli argomenti sviluppati, ma la ampliano, rendendo più intuitivi alcuni passaggi e andando maggiormente in profondità. Al lettore la scelta se affrontare separatamente le schede o se considerarle come un'integrazione esplicativa dei temi toccati nel testo. La terza parte è occupata da un breve saggio riassuntivo finale; forse sarebbe opportuno cominciare da qui la lettura del libro, come quando in un poliziesco si va a cercare nelle ultime pagine il nome dell'assassino. Questa sezione contiene inoltre un epilogo, un apparato di note, una bibliografia e un glossario per i lettori che hanno minore familiarità con i termini della biologia molecolare. Anche le note, che contengono abbozzi per una storia di questa disciplina, possono essere lette separatamente.

Questo libro non avrebbe potuto vedere la luce senza l'instancabile collaborazione di Ruthild Winkler-Oswatitsch, con la quale ho condiviso la paternità di alcuni lavori. Sue sono l'organizzazione del libro e la revisione linguistica del testo. In gran parte suoi sono, infine, il glossario e l'apparato delle note. Per questo suo inestimabile aiuto desidero esprimerle qui la mia più sincera gratitudine. Ringrazio anche Edith Neumann, Ingeborg Lechten e Christina Schalt, che con tanta pazienza hanno trasferito in forma dattiloscritta leggibile il manoscritto originale e le innumerevoli correzioni successive.

Gottinga, 21 luglio 1987 Manfred Eigen

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[1] . M. Eigen 1987, Gradini verso la vita, Adelphi ed., Milano 1992.
[2] . Trad. it. di Ervinio Pocar, Corbaccio ed., 1992.
[3] . Tagebucher 1918-1921, a cura di Peter de Mendelssohn, S. Fischer, Frankfurt a. M., 1979.
[4] . Stufen zum Leben, in Zeugen des Wissens, a cura di Heinz Maier-Leibnitz, Hase und Koehler, Mainz, 1986.