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Elementi e complementi . (appunti II.1) |
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Riprendiamo qui il filo della nostra ricognizione sull’arte riconoscendo che in questi appunti si trovano spesso inseriti avvisaglie di temi e argomenti poi non sufficientemente svolti e approfonditi. Confidiamo pertanto che nel vivo della narrazione si possano risolvere le difficoltà e le lacune di queste tracce non proprio lineari, scritte – lo confessiamo – più con l'urgenza di disporre sulle cose dell'arte il nostro particolare reticolo epistemico che di mostrale in un quadro di illuminazione graduata.
- Il pubblico medio si è fatto l’idea che l’artista sia un produttore d’arte più o meno come il calzolaio lo è di scarpe. Con ciò esso intende che gli artisti dovrebbero produrre cose simili a quelle che ha già visto etichettate prima come opere d’arte. Però ciò che è stato fatto prima non costituisce più un problema. (Ernst Gombrich 1952) [1]
- Ciò che sembrerebbe che alcune persone lavorino troppo velocemente è in realtà esattamente il normale svolgimento delle cose, il normale stato di produzione regolare, considerando che un pittore deve lavorare davvero tanto quanto un calzolaio, per esempio… Ma la verità mi è così cara che per cercare di creare qualcosa di vero preferisco essere un calzolaio piuttosto che un musicista, con i colori.
(Vincent van Gogh 1890) [2]
- L’arte ha il dovere di realizzare le forme che le occorrono.
Indipendentemente dal gusto personale. L’arte non vi chiede se piace o non piace, come non vi è stato chiesto niente quando sono state create le stelle del firmamento.
(Kazimir Malevic 1916) [3]
- L’arte non ripete le cose visibili, ma rende il visibile… E forse che lo spettatore viene a capo dell’opera in quattro e quattr’otto? (Spesso purtroppo è così.) Non dice appunto Feuerbach che, per comprendere un quadro, ci vuole una sedia?
Paul Klee 1920) [4]
- Nonostante tutte le contraddizioni, apparentemente insuperabili, neppure l’uomo attuale si accontenta più dell’esteriorità. La sua vista si aguzza, il suo orecchio si affina e il suo desiderio di vedere e intendere l’interiorità nell’esteriorità sta crescendo. Solo grazie a ciò siamo in grado di sentire l’intero pulsare anche di un essere muto e modesto come la Superficie.
(Wassilij Kandinskij 1926) [5]
L'arte come cosa, la cosa come merce
- Quel che Sancio chiama qui lavoro umano è tutt'uno, se si tolgono le sue fantasie burocratiche, con quello che viene chiamato lavoro alla macchina e che lo sviluppo dell'industria assegna in misura sempre maggiore alle macchine. (K.Marx) [6]
Noi qui vogliamo limitarci ad avvicinare il mondo più appariscente dell’arte, quello i cui oggetti cadono immediatamente sotto i nostri occhi, ossia quello delle arti visuali. E tra queste non ci occuperemo neppure di tutte, ma ci limiteremo a considerare molta pittura, poca scultura e quasi niente architettura. Rimarranno dunque fuori tutte le altre arti, che andrebbero tuttavia trattate allo stesso modo.
E poiché ci muoviamo in un terreno scarsamente frequentato dalla nostra corrente di pensiero, è probabile che ci imbatteremo in fatti inediti, imprevisti e dunque problematici che non eviteremo tuttavia di affrontare anche a costo di argomentare nei modi eterodossi che le circostanze del momento ci suggeriranno. D'altronde la materia stessa e la sua relativa supplementareità teorica crediamo possa consentire una certa elasticità di espressione, fors’anche di “stile”…
Ricorderete che già abbiamo trattato dell’arte riconoscendo che la vera rottura che si verifica lungo il suo millenario processo non è tanto la specificità e le diversità tecniche di produrla, ma il generale passaggio dell’industria umana alla produzione di merci, che la sottomette a questa nuova forma economica e alle sue leggi.[7]
Diciamo che negli ultimi 200 anni il termine “arte” è stato utilizzato per indicare una produzione specifica di oggetti che vanno al mercato come tutte le altre merci, ma che tuttavia sembrano non far parte sostanziale del mondo delle merci. Si presenterebbero, in pratica, come rappresentanti reificati del bello, nel senso che il loro valore d’uso è costituito dalla “bellezza” e dal particolare godimento estetico che questa ha possibilità e probabilità di suscitare in noi; una merce cioè, che in qualche modo si distingue decisamente da un ferro da stiro, da un'automobile o anche da una locomotiva.
Questo è evidentemente un modo grossolano di porre le cose; magari ognuno di noi se ne rende conto, eppure utilizza questo e altri simili convincimenti quando si avvicina al mondo delle opere d’arte.
D'altronde anche noi useremo termini che tutti hanno a disposizione, perché fa comodo anche a noi prendere certe scorciatoie. Dobbiamo infatti premettere che utilizzeremo il termine “Arte” in parte nell'accezione usuale, cioè come opera di ingegno e di genialità di qualcuno, e in parte nel senso che questo termine ancora aveva più o meno 200 anni fa, all'epoca della rivoluzione borghese – quando gli Enciclopedisti (e più precisamente Diderot, che con D'Alembert è il padre dell'Enciclopedia) codificano in un canone scritto proprio il senso che la parola “Arte” aveva conservato fino ad allora.
Al momento continuiamo dunque a procedere, come si dice, a braccio, e con cautela; quasi sempre sgrossando un materiale per ricavarne, o cercare di ricavarne, una forma utile a muoversi con un po’ più di familiarità in un ambito nel quale le connessioni tra gli oggetti che lo costituiscono e l’influsso dominante dello sviluppo economico non sono affatto diretti e privi di contraddizioni. Così, per la produzione artistica in generale, in quanto determinato ambito della divisione del lavoro, tanto più dobbiamo muoverci con accortezza quanto più teniamo presenti gli stessi avvertimenti fatti da Engels per la conoscenza della natura in generale:
- …il basso sviluppo economico del periodo preistorico ha come complemento, ma talvolta come condizione e persino causa, le idee sbagliate sulla natura.
E anche se l’esigenza economica era ed è sempre più divenuta il principale impulso per la progressiva conoscenza della natura, sarebbe da pedanti voler cercare cause economiche per tutte queste stupidità primitive.[8]
Ed è un po’ come dire: con l’elemento economico si spiega molto di essenziale e anche di particolare, ma non chiedetegli di spiegare ogni cosa di sempre. Un ammonimento che in queste nostre escursioni sull’arte temiamo di non aver sempre rispettato – per la stupidità primitiva dell’arte primitiva o la stupidità evoluta di noialtri?... Comunque sia, il nostro raccontare ha preso un certo andamento ed è andato troppo avanti per farci cambiare il passo riprendendo tutto in mano …
A questa parte del nostro “racconto” sull’arte [9] abbiamo ritenuto utile anteporre un paio di citazioni tratte dalla Dialettica della Natura di Engels [10], delle quali in realtà ci siamo serviti solo a posteriori, tanto per controllare di non esserci lasciati andare troppo liberamente da certe linee di pensiero che appartengono a tutti noi:
- La contrapposizione del marxismo alle ideologie che si sono succedute nel passato e che oggi ancora in varia misura tengono il campo è, quindi, rigorosamente storica e dialettica, il che non esclude, ed al contrario implica, che la scienza globale con cui esso si identifica, possa essa solo ricostruire i reali processi sottostanti all’incastellatura ideologica, svelando come l’ideologia mistifichi la realtà sussistente a prescindere da ogni “conoscenza” individuale e collettiva.[11]
Ci è parso così di rintracciare una qualche conformità della nostra esposizione con i seguenti punti della prima citazione, riportata più sotto:
1. che il lavoro si manifesta con molteplici forme;
2. che il bisogno (scopo) separato dal corpo (mano, lavoro materiale) si impianta nella mente (come lavoro ideato) e che,
3. così capovolta la prassi reale, la mente (del singolo) diviene l’origine di tutte le molteplici forme prodotte dall’uomo.
Inoltre, ma non per ultime, le osservazioni generali della
4. svalutazione dei “più modesti prodotti del lavoro manuale” e l’ignorare la funzione svolta dal lavoro dell’uomo nel processo evolutivo.
- Per l’azione congiunta della mano, degli organi vocali e del cervello, che esercitò la sua influenza non soltanto su ogni singolo individuo, ma anche sulla società, gli uomini divennero capaci di compiere operazioni sempre più complicate, di proporsi mete sempre più elevate e di raggiungerle.
Il lavoro stesso, col passare delle generazioni, divenne altra cosa: divenne più completo, più multiforme… [caccia, pesca, agricoltura, filatura, tessitura, metallurgia, navigazione, commercio, industria, arte, scienza, nazioni, stati, diritto, politica, religione]…
Di fronte a tutte queste creazioni, che si presentavano come prodotti diretti della mente, e che sembravano dominare le società umane, i più modesti prodotti del lavoro manuale furono relegati in un secondo piano; tanto più che la mente organizzatrice del lavoro potè far eseguire da mani che non erano le proprie il lavoro ideato, e ciò fin dai primissimi stadi dello sviluppo sociale (per es. sin dal semplice stadio della famiglia).
Tutto il merito dei rapidi progressi della civiltà venne attribuito alla mente, allo sviluppo e all’attività del cervello; gli uomini si abituarono a spiegare la loro attività con il loro pensiero invece che con i loro bisogni (che senza dubbio nel cervello si riflettono, e giungono alla coscienza).
Sorge così, col tempo, quella concezione idealistica della vita, che ha dominato le menti sin dalla fine della civiltà antica.
Essa è ancora tanto dominante, che persino gli scienziati materialisti della scuola darwinista non riescono ancora a farsi un’idea chiara delle origini dell’uomo, perché, essendo ancora sotto l’influsso ideologico dell’idealismo non riconoscono la funzione che ha avuto il lavoro in quel processo. (pag.190, corsivi nostri)
Della seconda citazione è interessante notare
1. le molteplici varietà (qualitative) dovute al movimento (lavoro?), e
2. la capacità della materia di produrre da sé le condizioni per trasformare sé stessa nelle diverse forme a lei proprie – in sostanza l’autorganizzazione o l’autocatalisi (cfr. qui note 37,38) solo recentissimamente ipotizzate e dimostrate praticamente, ma già “conosciute” da Engels per via dialettica.
- Ma il movimento della materia non è soltanto l’ordinario movimento meccanico, il semplice spostamento: è calore e luce, tensione elettrica e magnetica, composizione e scomposizione chimica, vita e, infine, coscienza.
Dire che la materia si trova nella possibilità di differenziare il suo movimento, e con ciò di spiegare tutta la ricchezza di esso, solo per un’unica volta durante tutta la sua illimitata esistenza e per un periodo di tempo che è infinitesimo rispetto alla sua eternità; e che prima e dopo il movimento si riduca eternamente a un puro e semplice spostamento – dire ciò significa affermare che la materia è mortale e che il movimento è caduco.
La indistruttibilità del movimento non può essere concepita solo quantitativamente, ma anche qualitativamente; una materia il cui semplice spostamento meccanico porta in sé la possibilità di trasformarsi – in condizioni favorevoli – in calore, elettricità, attività chimica, vita, ma che non è in grado di produrre da sé quelle condizioni, una materia cosiffatta ha 'perduto movimento': un movimento, che ha perso la capacità di trasformarsi nelle diverse forme ad esso proprie, ha ancora 'dynamis' (energia in potenza) ma non ha più alcuna 'energeia' (energia in atto) ed è perciò stato in parte distrutto. Ma tutte e due le cose sono impensabili. (pag. 52, corsivi nostri)
Dove e come i punti evidenziati sono in qualche assonanza con la nostra esposizione del “mondo dell’arte” lo lasciamo decidere a voi; a noi basta aver deciso di metterla a rischio fornendovi anche i riferimenti di cui ci siamo serviti per prepararla.[12]
L'arte non è una cosa reale, lo sono gli artisti
- Non esiste in realtà una cosa chiamata arte, esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari per le stazioni della metropolitana, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose. [13]
Con queste precise parole Ernest Gombrich inizia il racconto della sua fortunata "Storia dell'arte"; e la sua considerazione si combina un po' con la nostra teoria; a condizione però di completarla con l’osservazione che in realtà non sono gli artisti a “fare” l’Arte ma è piuttosto una dinamica materiale che, nel succedersi delle epoche, trova i suoi propri “artisti”[14].
Marx ci dice che non esiste un'attività specifica che può essere separata dalle altre attività dell'uomo; esistono piuttosto dei pittori, degli scultori, tuttavia destinati a sparire con la negazione della divisione sociale del lavoro.
- In un’organizzazione comunistica della società in ogni caso cessa la sussunzione dell'artista a un’arte determinata, per cui egli è pittore, scultore, scrittore: nomi che esprimono la limitatezza dello sviluppo professionale e la dipendenza dalla divisione del lavoro. In tale società non esisteranno pittori, ma tutt'al più uomini che tra l'altro dipingono.[15]
È una citazione che invitiamo a tener sempre presente nel corso di questa nostra conversazione attorno all’arte, perché dà un colore tutto particolare allo svolgersi e al trattamento dei temi e degli argomenti che di volta in volta si presenteranno spontaneamente… anche senza essere invitati.
Sembra che Gombrich tenga soprattutto conto dei mutamenti che nei millenni l’arte ha subito senza sosta passando, da individuo a individuo, attraverso periodi di innovazioni personali ricche di conseguenza… e che solo recentemente trovano nome e figura di "artista" …
Lo storico Erwin Panofsky ci sembra dissentire dall'esordio gombrichiano offrendoci una diversa visione dell'evolversi dell'arte, più problematica e ricca di conseguenze teoriche:
- Una innovazione – un’alterazione di ciò che è stabilito – necessariamente presuppone che ciò che è stabilito (e lo si chiami tradizione, stile, modo di pensare) sia una costante in rapporto alla quale l’innovazione è una variabile. Per poter decidere se una “soluzione proposta da un individuo” rappresenti una “innovazione”, dobbiamo ammettere l’esistenza di questa costante e tentar di precisarne la direzione. Per poter decidere se l’innovazione sia “ricca di conseguenze”, dobbiamo tentar di decidere se la direzione in cui si muove la costante è mutata a causa della variabile. E il guaio è che sia la direzione originaria della costante, sia la sua successiva deviazione dovuta ad una innovazione – non difficile da scoprire finché i nostri interessi non vadano oltre il punto in cui “la voce d’un araldo possa esser udita”, come direbbe Aristotele – possono aver luogo entro limiti territoriali e cronologici in cui si verifichi una interferenza culturale… Se d’altra parte, ci interessassimo di storia della pittura italiana nel primo quarto del XVI secolo, ci è molto difficile designare questo periodo con nomi di persona. Anche limitandoci ai tre grandi centri di Firenze, Roma e Venezia, Leonardo da Vinci, Raffaello, Michelangelo, Giorgione e Tiziano avrebbero tutti il diritto di essere riconosciuti come numi tutelari e dovremmo porgli di fronte tanti predecessori e seguaci e, ancora mettere in risalto tante caratteristiche in cui gli innovatori differiscono dai predecessori ma si accordano con i seguaci, che potremmo trovare assai più conveniente (e anche più giusto, quando si consideri la presenza marginale ma indispensabile di figure come Andrea del Sarto, il Rosso Fiorentino, il Pontormo, …ecc.…)[16]
Insomma – dicevamo – sembra proprio che la rete che collega i punti singolari (gli artisti) si allarghi sempre più relativizzando le “variabili”; e se poi ci mettiamo l’organizzazione del lavoro in “botteghe” la vedremo ancora estendersi verso la sua “costante”, che è poi una variabile della costante lavoro…
Non esiste un'attività specifica dell'uomo che può essere astratta dalle altre attività dell'uomo. Esistono dei pittori, degli scultori che hanno fatto, e ancora magari fanno questo o quell’altro lavoro in cui eccellono anche in ‘originalità’ (se con questo termine si intende soprattutto nuova specifica conoscenza e non astruseria), ma che, in quanto ‘unici’, spariranno in una società in cui ognuno potrà scolpire e dipingere eccellentemente con un incremento esponenziale di risultati ‘originali’ che partecipano organicamente ad un processo unificato del conoscere. [17]
Possiamo intanto chiederci – com’è nostra abitudine – se già oggi non si presentino elementi e condizioni materiali che vanno in tal senso e che si realizzeranno praticamente solo nella società futura.
Poiché se non esiste l’arte in astratto, come categoria assoluta, accampata fuori dall’industria dell’uomo, esiste tuttavia una “tecnologia dell’immagine” con un proprio particolare e “autonomo” percorso di sviluppo che coevolve non separatamente dalla evoluzione – anche ‘fisiologica’ – dell’uomo; ed è in questo ambito circoscritto che possiamo pure cercare le anticipazioni che preparano il terreno per un’arte (siamo ancora costretti a chiamarla così) della prossima forma sociale superiore.
La nostra conversazione ci porterà (non troppo presto) a dire che questa società, che pure è iniziata producendo opere d’arte neoclassiche, realiste, impressioniste, espressioniste, astratte ecc.) sta finendo producendo già un unico ammasso iconico (cluster) nel quale è possibile intravedere le premesse pratiche, ossia tecniche e linguistiche, che facilitano e completeranno quella socializzazione concreta delle capacità individuali per poter essere tutti degli “artisti”, indipendentemente dal fatto di sentirsi Michelangeli o imbianchini.
D’altronde il primo passo decisivo lungo questo cammino è stato fatto dalla borghesia stessa, che dissolse le corporazioni medievali e diffuse i suoi segreti produttivi, che procede nella socializzazione della produzione così come nella socializzazione del consumo, che crea il suo stesso pubblico estendendolo alla disprezzata massa anche fornendola (a poco prezzo) dei mezzi stessi per produrre, riprodurre e consumare personalmente fino alla nausea l’intero repertorio degli universali fenomeni visuali del passato e del presente…
La comunicazione e il suo scopo
- “Non si può dare altra spiegazione della origine del linguaggio e delle lingue che quella tratta dai caratteri materiali dell'ambiente e dalla organizzazione produttiva. La lingua del gruppo umano è uno dei suoi mezzi di produzione”. [18]
Abbiamo visto che la lingua volgare è stata intenzionalmente utilizzata da Galileo non solo per dare forma alla sua opera, ma anche per dare, a questa forma, una destinazione.
Qualsiasi tipo di linguaggio, parlato, scritto, sonoro o gestuale, è l’unico modo di comunicare tra gli uomini, e quindi – lo diciamo tranquillamente – non fa parte della sovrastruttura, ma è parte del modo di esistere dell’uomo.
Noi siamo il risultato di una co-evoluzione tra il cervello e la mano, tra il nostro organismo e le opere che facciamo, e quindi nell'esistere dell'uomo è insito che ci sia comunicazione tra tutti i segmenti del suo organismo e l’ambiente nel quale è immerso. In fin dei conti anche ciò che chiamiamo “arte” è una faccenda che rientra nell’ambito generale della comunicazione, quindi del e dei linguaggi.
Siamo dunque, come diceva Marx, non a livello della sovrastruttura, cioè dell'ideologia, ma a quello della struttura, quindi della possibilità stessa di operare come uomini.[19]
Sulla base di questa nozione unificatrice, potremmo inoltre osservare che ognuno di questi mezzi di comunicazione e trasmissione, prima del loro sorgere come mezzi di comunicazione si presentano immediatamente ai sensi come prodotti finali di determinate produzione (materiali o immateriali) che, a partire da una specifica materia prima (terra colorata, cellulosa, o suono) nel corso del loro processo produttivo “inscrivono” con ciò stesso nella materia tanto i caratteri generali peculiari della struttura sociale che li produce (dotazione tecnica e lingua) quanto l’insieme sequenziale delle specifiche modalità della lavorazione [21].
Se “la comunicazione è un atto il cui prodotto è l’informazione” [22], il lavoro indubbiamente è ricco di atti che producono informazione; e tutto farebbe pensare che, per quanto elementare, la lavorazione deve collocarsi alla scaturigine del meccanismo del linguaggio e delle sue particolarità.[23]
- …la tecnologia costituisce un ramo di singolare importanza, poiché è l’unica che mostra una totale continuità nel tempo, l’unica che permette di cogliere i primi atti propriamente umani e di seguirli di millennio in millennio fino al loro affacciarsi alla soglia dei tempi odierni. Quando si risale nel passato i vari rami dell’informazione etnologica si estinguono più o meno rapidamente: le tradizioni orali scompaiono assieme all’ultima generazione che le ha trasmesse, le tradizioni scritte si assottigliano rapidamente e per la grande maggioranza dei popoli il XVII secolo è già muto; solo i prodotti delle tecniche e dell’arte permettono, se le circostanze ne hanno assicurato la sopravvivenza, di risalire lontano nel tempo. L’arte stessa scompare abbastanza rapidamente e a partire almeno dal 50.000 a.C., solo le tecniche permettono di risalire la corrente umana fino alle sue origini, fino a uno o due milioni di anni fa.[24]
Certamente scheggiando la prima selce l’uomo non prevedeva quale effetto lontano avrebbe avuto quel primo atto iniziale del suo lavoro...>
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Il lavoro di Leonardo da Vinci
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Per quali motivi abbiamo ritenuto poi che quest’ultima considerazione potesse correlarsi con certi altri brani di Leroi-Gourhan, non staremo ora a chiedercelo, e senz’altro affidiamo tutto al vostro intuito che saprà trovarvi motivi anche per ulteriori riflessioni:
- ...Nell’homo sapiens, la tecnica non è più collegata al progresso cellulare, sembra invece esteriorizzarsi completamente e in un certo senso vivere una vita propria.
… L’analisi delle tecniche dimostra che esse si comportano nel tempo allo stesso modo delle specie vive, in quanto fornite di una forza evolutiva che sembra essere loro propria e che tende a farle sfuggire al controllo dell’uomo.
...Bisognerebbe quindi tentare una vera e propria biologia della tecnica, considerare il corpo sociale come un essere indipendente dal corpo zoologico, animato dall’uomo ma atto ad accumulare una tale somma di effetti imprevedibili che la sua struttura intima superi di molto i mezzi di apprendimento degli individui.[25]
Mezzi e fini
Tra tutti gli effetti imprevedibili che ogni generale prodotto del lavoro umano provoca vi sarebbe dunque anche il carattere generale di mezzo di comunicazione; ed alcuni particolari prodotti specializzerebbero questo carattere comunicativo risolvendosi in seconda istanza come mezzi-di-mezzi di comunicazione, ossia come supporti di messaggi di un ordine superiore di complessità (scrittura, poesia, musica, immagini, stampa ecc.), ai quali fornisce dunque un corpo non indifferente ma già segnato fin dall’inizio da informazioni che lo riguardano.
Così ad esempio può dire del proprio lavoro uno dei massimi conoscitori d’arte: “Noi studiamo il materiale come naturalisti: la specie di legno, la tessitura della tela e i pigmenti. Con ciò acquistiamo punti di riferimento per localizzare il quadro nello spazio e nel tempo” [26].
Il mero supporto fisico di un mezzo di comunicazione, così com’è senz’altro, è dunque informato [27] dalla e della propria “lavorazione”, e quindi già da sé stesso rilascia messaggi articolati significativamente [28].
Se non fosse più o meno così, un etnologo del XIX secolo non avrebbe potuto distinguere, ad una lettura facciale, tra due pettini di osso di fattura mediocre, quello realizzato nel neolitico da quello realizzato nel medioevo europeo [29]. Si potrebbero fare un’infinità di altri esempi in cui i segni lasciati accidentalmente dalla lavorazione di una materia possono evocare un mondo intero [30].
La dimostrazione della sostanza omogenea dei singoli termini che descrivono l’atto comunicativo – per cui l’uno contenendo l’altro è di fatto sia l’uno che l’altro – possiamo trovarla descritta da Marx nel terzo Manoscritto del 1844, con un esempio che illustra come i due termini supporto (mezzo) e fine (scopo) che orientano il verso della comunicazione possono (col tempo) capovolgersi… ed evolvere ad un livello superiore:
- Quando gli operai comunisti si riuniscono, essi hanno in un primo tempo come scopo la dottrina, la propaganda, ecc. Ma con ciò si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno di società, e ciò che sembrava un mezzo è diventato lo scopo. (Karl Marx, Opere filosofiche giovanili, cit. p.242)
Quello che stiamo cercando faticosamente di mettere in evidenza è il fatto che il supporto di un mezzo di comunicazione, per quanto ricacciato nello sfondo come un muto presupposto, è esso stesso mezzo di comunicazione dagli effetti imprevedibili sui linguaggi stessi di cui è al servizio.
E’ in questi tipi di ragionamenti – faticosi anche per noi, lo confessiamo – che è possibile trovare in parte la ragione, ad esempio, del prepotente riaffiorare in arte [31] del supporto-sfondo [32], la cui autonomia espressiva è sperimentata, a partire da Malevich, per l’intero corso del XX secolo, in tutta una serie di opere che fanno a meno di ogni figura senza per questo far venir meno la pittura.
Solo che qui la pittura sembra aver subìto qualcosa di simile a quelle operazioni di resettaggio richieste quando si verifica un blocco del sistema informatico… mentre noi ancora insistiamo a chiedergli prestazioni a cui non può rispondere.
Ad un plausibile Perché non parli? michelangiolesco, crediamo poter far seguire un irragionevole “perché non sei una natività o un ritratto?”... e rimaniamo confusi, anche se non ci sogneremo mai di chiederci, davanti ad una fiammante moto di 200 cavalli, perché non nitrisce e scalcita come un sauro…
Sistemi complessi, metabolismi e autonomizzazioni
Potremmo anche intrattenerci a discutere attorno a certi dipinti monocromatici… – e nulla ci vieta di farlo anche adesso, se volete.
Preparando la traccia di questa relazione noi stessi lo abbiamo fatto, e ci siamo trovati presto alle prese con questioni che non ponevano l’accento su una visione rassicurante del progredire lineare dell’arte ma all’irruzione nel suo dominio di una discontinuità che metteva in questione non tanto l’arte e i suoi oggetti ma i nostri punti di vista per capovolgerli da strumenti di giudizio in strumenti che non giudicano più ma sono giudicati [33]. Ci è sembrato cioè di avere a che fare con uno stato delle cose dell’arte giunta ad un punto singolare nel quale la pittura, piuttosto che offrirci soluzioni già manipolate e bell'e fatte, scopre problemi pertinenti il suo proprio sistema per imporci un nuovo rapporto di conoscenza.
- L’insuperabile problema della pertinenza della manipolazione, della pertinenza della questione, non apre la porta all’irrazionalismo… ma al riconoscimento – al di là delle certezze della disciplina – del rischio sempre presente di “far tacere” l’oggetto stesso che interroghiamo.[34]
E’ un rischio che Gombrich sembra descrive al termine della sua storia dell’arte, senza però coglierlo come un problema dell’arte.
- Per produrre una perla perfetta, l’ostrica ha bisogno di un oggetto materiale, come un granello di sabbia o una spina, attorno a cui secernere il suo succo. Senza un tal nocciolo duro la perla può diventare una massa informe. Se il senso del colore e della forma deve cristallizzarsi in un’opera perfetta, anche l’artista ha bisogno di un duro nocciolo – un còmpito definito per il quale egli possa profondere le sue doti. Sappiamo che nel passato più remoto tutte le opere d’arte presero forma attorno ad un nocciolo vitale del genere. Era la comunità che impartiva il suo còmpito all’artista, fosse la costruzione di maschere rituali o cattedrali, la pittura di ritratti o l’illustrazione di libri. Ha poca importanza se proviamo, o meno, simpatia per questi vari còmpiti: si può non approvare la caccia al bisonte per mezzo della magia, la glorificazione di guerre criminose, o l’ostentazione della ricchezza e del potere, e ammirare le opere d’arte costruite per servire tali scopi. La perla ricopre interamente il nocciolo. Il segreto dell’artista consiste nel compiere tanto bene il suo lavoro che noi quasi ci scordiamo di domandare quali erano in origine le sue intenzioni, tanta è l’ammirazione che il risultato ci ispira.[35]
Cos’è dunque ciò che l’opera mirabile fa dimenticare mettendola a tacere? L’intenzione dell’artista, la comunità e il suo scopo, il granello di dura sabbia, o tutte queste cose assieme? …
C’è in questa descrizione un nocciolo duro come un granello di sabbia, che tuttavia va progressivamente svaporandosi in un còmpito dettato dal corpo sociale per finire in una intenzione del singolo…
- Per Gottfried Semper* (Der Stil in den technischen und tektonischen Künsten, 1860) l’arte non è che un derivato del mestiere e la quintessenza di quelle forme decorative che risultano dalla natura del materiale, dai processi della lavorazione e dall’uso a cui è destinato l’oggetto. Riegl** sottolinea invece che, all’origine di ogni arte, anche se ornamentale, sta l’imitazione della natura, e che nella storia dell’arte le forme geometricamente stilizzate non sono un fenomeno iniziale, ma relativamente tardo, frutto di una sensibilità artistica già molto raffinata. Come risultato delle sue ricerche, alla teoria meccanico-materialistica di Semper, ch’egli chiama «darwinismo trapiantato nel campo della vita spirituale», Riegl contrappone la sua teoria dell’«idea creatrice», secondo cui le forme artistiche non sono semplicemente dettate dalla materia prima e dagli arnesi, ma s’inventano e si ottengono proprio nella lotta dell’«intento artistico» contro le condizioni materiali. E’ un principio di metodo fondamentale per tutta l’estetica quello che Riegl introduce qui discutendo la dialettica di spirito e materia, contenuto espressivo e mezzi d’espressione, volontà e substrato della volontà, e che gli permette, se non d’infirmare la teoria del Semper, certo d’integrarla sostanzialmente.[36]
Ecco, ad esempio, com’è possibile far tacere, o irretire, l’oggetto che interroghiamo; introducendo la volontà del mollusco bivalvo nel funzionamento della materia la voce che domanda risulta così la medesima che risponde. “Fatevi una domanda e datevi una risposta”: Marzullo docet...
E noi, che volevamo soffermarci a ragionare proprio con quel duro granello di sabbia ci troviamo tra i piedi una scatola nera come un’ostrica nella quale rimbomba il comando di mettersi al lavoro: è la comunità che parla!… E inavvertitamente si passa da un ordine delle cose ad un altro, dato che il “corpo sociale” non è una semplice somma degli individui bensì un diverso sistema complesso.
Così come il corpo umano è un sistema di ordine macroscopico rispetto alla cellula dell’ordine microscopico che lo costituisce, la società è un sistema macroscopico rispetto ai singoli individui dell’ordine microscopico che la costituiscono. E l’autonomia del “corpo sociale”, cui accennava Leroi-Gourhan, e dei sistemi complessi poggia principalmente sul fatto che molti sistemi contengono un gran numero di elementi e che vi possono giocare un ruolo decisivo gli effetti cooperativi. La cooperazione fra le parti risulta molto più importante per il comportamento macroscopico del sistema di quanto non lo siano le proprietà degli elementi presi separatamente; per cui benché sia molto importante studiare le proprietà delle singole parti, per la comprensione dell’insieme del sistema si ha in genere bisogno di nuovi e ulteriori concetti, come ad esempio quello dell’autorganizzazione.
- Nel caso di molti sistemi naturali, ma anche in una serie di sistemi prodotti dall’uomo, lo stato macroscopico viene ottenuto attraverso un processo di autorganizzazione degli elementi microscopici: il sistema ottiene quindi una specifica struttura spaziale, temporale o funzionale senza uno specifico intervento dall’esterno. Nella sinergetica noi ci chiediamo se esistono dei principi generali che regolino il processo di autorganizzazione e che siano indipendenti dalla natura dei sottosistemi. E in realtà possiamo trovare principi di tal genere, a patto che il sistema intraprenda a livello macroscopico dei cambiamenti di ordine qualitativo.[37]
Ovviamente non c’è nulla che impedisce di applicare certi concetti che appartengono alle scienze della natura anche ai fenomeni sociali, poiché pure questi appartengono alla natura [38] – a meno di non considerare la specie umana come posta fuori dalla natura… Ma non è questo nel nostro caso. E neppure quello di Gombrich – che quando si libera dei singoli artisti riesce pure a darci una visione in certo qual modo “macroscopica” del sistema dell’arte, del suo autonomo procedere di interrogazioni e risposte.
- L’artista primitivo, si è visto, era solito costruire a esempio una faccia con forme semplici piuttosto che copiare una faccia vera; e gli egizi rappresentavano in un quadro tutto ciò che sapevano, piuttosto che tutto ciò che vedevano. L’arte greca e romana infuse la vita in queste forme schematiche; l’arte medievale le usò a su volta per narrare la storia sacra, l’are cinese le volse a fini contemplativi. Nessuna di esse esortava l’artista a “dipingere ciò che vedeva”. L’idea si affacciò solo nel Rinascimento. Dapprima tutto parve favorevole. La prospettiva scientifica, lo sfumato, i colori veneziani, il movimento e l’espressione vennero ad aggiungersi ai mezzi di cui l’artista disponeva per rappresentare il mondo circostante; ma ogni generazione scoprì che esistevano ancora “nidi di resistenza” insospettati, roccaforti di convinzioni che portavano gli artisti ad applicare forme imparate, invece di dipingere ciò che realmente vedevano. I ribelli dell’Ottocento proposero di far piazza pulita di tutte queste convenzioni; l’una dopo l’altra esse vennero tutte affrontate, finché gli impressionisti proclamarono che i loro metodi consentivano di render sulla tela con “precisione scientifica” l’atto della visione. I quadri nati nella scia di questa teoria furono opere d’arte assai affascinanti, ma ciò non dovrebbe impedirci di vedere come l‘idea su cui esse si basavano fosse solo una mezza verità. Da quei giorni a questa parte abbiamo capito che non è possibile separare nettamente ciò che vediamo da ciò che sappiamo. Un cieco nato che acquisti più tardi la vista, deve imparare a vedere. Con una certa autodisciplina e autoosservazione, tutti possiamo scoprire per nostro conto che ciò che chiamiamo vedere è invariabilmente colorito e plasmato dalla nostra conoscenza (o opinione) di ciò che vediamo.[39]
Benché relativa ad un radicato luogo comune è tuttavia una esposizione dalla quale facilmente si comprende la “complessità” di un sistema nel quale tutti gli elementi – l’artista, il compito, l’opera, ecc. – vengono messi in questione dal sistema stesso [40], il cui funzionamento li costringe perennemente a riorganizzarsi ed evolvere, producendo l’emergere di nuove qualità (ad esempio qui la “precisione scientifica”) coerenti al suo livello macroscopico ma estranee agli elementi microscopici.
Talmente estranee che solitamente neppure l'ostrica e il pescatore di perle riescono a vedere queste nuove qualità e a tenerne conto: se le trovano per strada già bell'e fatte, proprio così come oggi uno si trova bell'e pronte, ad esempio, le ricette equilibrate dell'arte astratta, di quella pop o della minimalista... e non passa oltre le replicazioni o le esegesi cultuali.
- Il non equilibrio trasforma completamente le proprietà della materia: a causa del non equilibrio le particelle diventano "sensibili" ad altre molecole che si trovano a distanze macroscopiche. Mi piace dire, in un certo qual modo, che nello stato di equilibrio la materia è "cieca" e che essa comincia a "vedere" nello stato di non equilibrio. E dato che le equazioni sono non lineari, lontano dall'equilibrio si manifesta una grande varietà di comportamenti che non trovano analogie nel caso della fisica dell'equilibrio...
... scrive il fisico Prigogine, parlando dei sistemi macroscopici non lineari, dinamici e dissipativi. E l'arte forse non è altro che un simile sistema: punteggiato da quelle singolarità di non-equilibrio che abbiamo visto Panofski definirle "innovazioni" (delle alterazioni di ciò che è stabilito). E' con queste che ogni volta la materia pittorica "vede" sé stessa e si conosce sensibilmente... ma subito se ne dimentica...
- Penso che il risultato più inaspettato provenga dal ruolo costruttivo del non equilibrio. Lontano dall'equilibrio si creano stati coerenti e strutture complesse che non potrebbero esistere in un mondo reversibile. Questo dipende da una proprietà fondamentale dei fenomeni dissipativi che i sistemi meccanici non posseggono: la stabilità asintotica. Stabilità asintotica può essere un termine scientifico un po' pesante, ma significa semplicemente che nei sistemi dissipativi esiste la possibilità di dimenticare le perturbazioni... Non appena si è in presenza di fenomeni irreversibili si possono dimenticare le condizioni iniziali. In questo caso siamo in presenza di un attrattore, che è lo stato di quiete: se io lo perturbo si ritorna ad esso, E questo è ciò che si chiama un attrattore puntuale. Una delle scoperte degli ultimi anni è che questo è un caso estremamente semplificato, e che esistono attrattori più complessi.
Anche in questo modo, davanti all'opera d'arte, come perla e collana, sparisce il processo lavorativo e la materia di cui sono fatti questi sogni, la loro origine e la destinazione... – E forse già Gauguin, dipingendo Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, non si interrogava poi tanto sull’uomo quanto piuttosto sui pittori e la pittura…
A questo punto dovevamo forse evitare di introdurre un riferimento particolare in questioni che riguardano fenomeni di autoorganizzazione, autopoietici o autocatalitici, ma alla fine abbiamo deciso di correre il rischio e di proporlo così come spontaneamente ci si è autoproposto:
- ... tutta la cosiddetta storia universale non è che la generazione dell'uomo dal lavoro umano, il divenire della natura per l'uomo, così esso ha la prova evidente, irresistibile della sua nascita da se stesso, del suo processo di origine. Poiché è divenuta praticamente sensibile e visibile l'essenzialità dell'uomo e della natura, ed è divenuto praticamente sensibile e visibile l'uomo per l'uomo come esistenza naturale e la natura per l'uomo come esistenza umana, risulta praticamente impossibile la questione di un ente estraneo, di un ente al disopra della natura e dell'uomo; questione che implica l'ammissione dell'inessenzialità della natura e dell'uomo. (K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Ed. Riuniti, Roma 1969, pag. 235)
Ma torniamo piuttosto alla pittura – o alla sua origine... Dunque, senza nessun ente estraneo...? ... Allora:
- non c’è che da buttar giù qualcosa quando si vede una tela vuota che ci sta a guardare in faccia con una sorta di imbecillità. Non hai idea di quanto possa paralizzare lo stare a fissare una tela vuota: è come se dicesse al pittore Non sai far nulla. La tela ti sta a guardare come un idiota ed ipnotizza alcuni pittori a tal punto da farli diventare idioti essi stessi Molti pittori hanno paura della tela vuota, ma la tela vuota a sua volta ha paura di un pittore appassionato che sia anche audace – che una volta per tutte abbia rotto l’incantesimo del “non sai fare”.[41]
Abbiamo fatto un giro largo e, dopo aver trovato qualche nuovo concetto interessante e pure presa al laccio la nostra vecchia tesi sul “battilocchio”, adesso possiamo anche riprendere ad importunare una perla della pittura moderna.
- Tela vuota. In apparenza: veramente vuota, permeata di silenzio, indifferente. Quasi inebetita. In verità: piena di tensioni, con mille voci basse, sospese. Un po’ timorosa che la si possa violare. Ma docile. Un po’ timorosa che si voglia qualcosa da lei, chiede solo grazia. Essa può portare tutto, ma non può tutto sopportare. Essa esalta il vero, ma anche l’errore. E smaschera l’errore senza pietà. Essa semplifica la voce dell’errore fino a trasformarla in un grido acuto, insopportabile. … Ma ecco la meraviglia più grande: sommare tutte queste voci con altre ancora, molte altre (oltre a queste forme semplici esistono veramente molte forme e molti colori) in un solo quadro – tutto il quadro è diventato un solo “Eccomi”. Privazione, “avarizia”, ricchezza folle, “prodigalità”, scoppio di tuono, ronzio di zanzare. Ecco che cosa c’è in un quadro.
Ci voleva meno di millenni per arrivare al fondo, ai limiti estremi delle possibilità. Il fondo, tutto sommato, non esiste.[42]
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[1] . E.H. Gombrich, The Story of Art (1950), I ediz. Ita. Il Mondo dell’Arte, trad. M. Luisa Spaziani, ed. Mondadori, Milano 1952, pag. 558. In seguito edita come La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich.
[2] . Vincent van Gogh, lettera 854 al fratello Theo, da Saint-Rémy-de-Provence, mercoledì 12 Febbraio 1890. Vedi risorsa internet. Da notare che questa lettera è (significativamente?) assente da alcune raccolte di lettere a Theo, ad esempio, in edizione Guanda 1984-2009 e TEA 1994-2003.
[3] . Kazimir S. Malevic, Lettera al critico e pittore A. Benois, in Scritti, a cura di A.B.Nakov, ed. Feltrinelli, Milano 1977, pag. 167.
[4] . Paul Klee, La confessione creatrice 1920, in Teoria della forma e della figurazione vol.1, ed. Feltrinelli, Milano 1959, pag. 76.
[5] . Wassily Kandinsky, Punto, linea, superficie 1926, in Tutti gli scritti vol.1, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1973, pag. 82.
[6] . Karl Marx, L'ideologia tedesca, E. Riuniti, Roma 1971, p.381.
[7] . Cfr. nømade n.14, ottobre 2017, pag. 47. Vedi qui la pagina web.
[8] - Friedrich Engels, Lettera a Conrad Schmidt a Berlino, Londra 27 ottobre 1890.
[9] . “Racconto” che - lo ricordiamo - procede componendo tra loro una serie di postille ad una precedete esposizione orale sulla storia dell’arte, svolta in precedenza da un nostro compagno.
[10] . Friedrich Engels, Dialettica della natura (1878-80), Editori Riuniti, Roma 1971, pgg. 52 e 190.
[11] . Dalla Appendice alla Riunione di Roma del 1° aprile 1951, in Partito e Classe, ed. Il Programma Comunista, Napoli 1972, pag.127.
[12] . Nella stragrande maggioranza le note di fondo pagina sono state aggiunte, successivamente alla stesura dei singoli contributi, convenendone collettivamente con gli autori in fase di redazione del testo.
[13] . Gombrich, Il Mondo dell’Arte, cit., pag. 17.
[14] . Questi sono tuttalpiù coloro che segnano le misure del suo progredire (finora una minoranza)... ecc..
“Anche se in certe condizioni sociali ognuno fosse un pittore eccellente, ciò non escluderebbe che ognuno fosse un pittore originale, cosicché anche qui la distinzione tra lavoro ‘umano’ e lavoro ‘unico’ si risolve in una pura assurdità.” - K. Marx, L’ideologa Tedesca (San Max), Editori Riuniti, Roma 1971, pag. 383. L’intero capitoletto 2.Organizzazione del lavoro (pagg. 379-384) offre la possibilità di interessanti riflessioni su molti punti per noi cruciali.
[15] . K. Marx, ibidem.
[16] . Erwin Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale (1960-64), ed. Feltrinelli 1971, seconda ed. 2013, pag.18 pass..
[17] . Forse è anche così che va inteso il precedente brano di Marx: “Proclamando l’unicità del lavoro scientifico e artistico Stirner qui si pone ancora molto al di sotto della borghesia…S’intende, d’altra parte, che tutte queste organizzazioni [vedi esempi indicati in precedenza] fondate dalla moderna divisione del lavoro ancora non portano che a risultati estremamente limitati e rappresentano un progresso soltanto in rapporto al ristretto isolamento del passato.” – Marx, Ideologia, cit. pag. 382 passim, corsivi nostri.
[18] . Amadeo Bordiga, I fattori di razza e nazione nella teoria marxista (1953), edizioni Iskra, Milano 1976, pag. 31.
[19] - Bordiga, I fattori, cit. pagg. 42,43:
« Sembra che tutta la polemica (di Stalin) sia diretta contro una scuola di linguistica improvvisamente sconfessata dall'alto, e che il capo di tale scuola sia il professore delle università sovietiche N.J. Marr, i cui testi ci sono ignoti. Egli avrebbe detto che la lingua fa parte della sovrastruttura. A sentire chi lo condanna, consideriamo N.J. Marr un buon marxista. Infatti è detto: "Una volta N.J. Marr constatando che la sua formula 'una lingua è una sovrastruttura rispetto alla base' incontrava obiezioni, decise di 'riaggiustare' la sua teoria e annunciò che 'la lingua è uno strumento della produzione'. Aveva ragione N.J. Marr di classificare la lingua tra gli strumenti della produzione? No, egli aveva certamente torto" (G. Stalin, Il marxismo e la linguistica). E perché? Secondo Stalin vi è una certa analogia tra la lingua e gli strumenti della produzione, perché anche questi possono avere una certa indifferenza verso le classi. Stalin vuol dire qui che ad esempio l'aratro come la zappa possono servire la società feudale e la borghese, e la socialista. Ma poi la differenza che darebbe marcio torto a N.J. Marr (e a Marx, e ad Engels: il lavoro, la produzione di utensili, in combinazione col linguaggio) è questa: gli strumenti di produzione producono beni materiali, la lingua no! Ma anche gli strumenti di produzione non producono beni materiali. I beni li produce l'uomo che li impugna. Gli strumenti sono impiegati dagli uomini nella produzione.
Un bimbo per la prima volta afferra la zappa dalla lamina, e il padre gli urla: si prende per il manico. Quell'urlo, che diverrà poi una regolare "istruzione", è, quanto la zappa, impiegato alla produzione. La spiritosa conclusione di Stalin rivela che il torto è suo: se la lingua, egli dice, producesse beni materiali, i chiacchieroni sarebbero le persone più ricche della terra! Ebbene, non è proprio così? L'operaio lavora con le sue braccia, l'ingegnere con la lingua: chi è pagato di più? […] Dialetticamente ci sentiamo di chiarire che Marr non ha riaggiustato nulla malgrado i fulmini a lui destinati: dialetticamente, perché non conosciamo lui, né i suoi libri. Anche noi abbiamo detto ad esempio che la poesia, dall'inizio del canto corale mnemonico, di tipo magico-mistico-tecnologico, primo mezzo di tramandare la dotazione sociale, ha il carattere di un mezzo di produzione. Poi al punto seguente abbiamo posto la poesia tra le sovrastrutture di una data epoca. Così per la lingua. Il linguaggio in generale, e il suo ordinamento in versi in generale sono strumenti della produzione. Ma una data poesia, una data scuola poetica, relativa ad un paese e ad un secolo, fanno parte, staccandosi dalle precedenti e dalle seguenti, della sovrastruttura ideologica ed artistica di una data forma economica, di un dato modo di produzione. Engels: lo stadio superiore della barbarie "comincia con la fusione del ferro greggio e compie il passaggio alla civiltà con l'invenzione della scrittura alfabetica ed il suo uso per trascrizioni letterarie [...] il suo fiore più alto ci si offre con i poemi omerici, principalmente con l'Iliade" (Engels, Origine). Così potremmo cercare altri passi e mostrare la Commedia come epicedio del feudalesimo, le tragedie di Shakespeare come prologo del capitalismo. Per l'ultimo grande pontefice del marxismo passerebbe come mezzo di produzione distintivo di un'epoca il ferro greggio, ma non la scrittura alfabetica, perché questa non produce beni materiali! Ma è l'uso umano della scrittura alfabetica che era indispensabile, tra l'altro, per arrivare agli acciai speciali della moderna siderurgia. Così la lingua. In tutti i tempi è un mezzo di produzione, ma le singole lingue sono sovrastrutture, come quando l'Alighieri non scrive il suo poema nel latino dei classici o della Chiesa ma nel volgare italiano, o avviene con la Riforma il definitivo abbandono dell'antico sassone per il tedesco letterario moderno… »
[20] . Bordiga, I fattori, cit. pag. 36.
[21] . Ogni prodotto che esce da ogni lavorazione è “informato” dalla totalità (dinamica) di ogni singola fase procedurale (sequenziale) del processo lavorativo, cosicché la sua immediata fattezza (statica) è già ricca di informazioni modulate nella materia di cui è composto, a prescindere dallo scopo… - Anche se l’informazione è costituita da segni accidentali, la procedura lavorativa fa da sistema ordinativo per fornirli in qualche modo di una articolazione sufficientemente significativa per noi…
[22] . Robert Escarpit, Teoria dell’informazione e della comunicazione (1976), editori Riuniti, Roma 1979, pag. 131.
[23] . “Anzitutto i mezzi più elementari di cui dispongono tutti gli uomini: la prensione, le molteplici percussioni tramite le quali può spezzare, tagliare, modellare; il fuoco che può scaldare, cuocere, fondere, asciugare, deformare; l’acqua che può diluire, sciogliere, ammorbidire, lavare e che, con soluzioni differenti, tramite i suoi effetti fisici o cimici, servirà a conciare, conservare, cuocere; l’aria infine che ravviva una combustione, che asciuga o che pulisce. Una volta in possesso di questi mezzi elementari, li animeremo con delle forze: forza dei muscoli umani, degli animali, dell’acqua, dell’aria. Queste forze non sono sperperate a caso, il movimento è guidato, amplificato a mezzo di leve o di trasmissioni, risparmiato tramite l’equilibrio. Sintesi delle forze, i trasporti assicureranno il modo di raggiungere le materie prime e di diffondere i prodotti”. – André Leroi-Gourhan, L’uomo e la materia 1943, ed. Jaca Book, Milano 1993, pag. 16.
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[24] . Ibidem, pag. 11.
[25] . André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola 1964, ed. Einaudi, Torino 1977, vol. 1, pag. 164 e 173.
[26] . Max J. Friedländer, Il Conoscitore d’Arte (1946), ed. TEA, Milano 1995, pag. 112.
[27] . Il termine ‘informato’ è usato da noi in un senso ampio; riportiamo quello discusso da Escarpit: “Senza ricorrere all’argomento etimologico, sempre specioso, ammettiamo per un istante che informare equivale a ‘dare una forma’. Questo non è minimamente incompatibile con la nozione shannoniana dell’informazione, dato che ciò che ha una forma è anche ciò che può essere descritto e che è abbastanza stabile perché la descrizione sia ragionevolmente durevole. In una parola, un oggetto ‘informato’ sarebbe un oggetto interamente conosciuto e prevedibile, che avrebbe perduto tutta la sua entropia” - Escarpit, Teoria, cit., pag.131.
[28] . In questo senso l’asserzione che “il mezzo è il messaggio” (MacLuhan) esprimerebbe una verità… senza dirla tutta.
[29] . Solo a partire dalla metà del XX secolo, sono state approntate delle tecniche di datazione assoluta, tra le quali quelle basate sul fenomeno della radioattività (tra cui la tecnica del carbonio-14) ed altre quali la termoluminescenza, la risonanza di spin elettronico ecc. In precedenza per la datazione dell’oggetto in esame si studiavano i rapporti stratigrafici, che fornivano datazioni relative, indicando in quale ordine si sono verificati gli eventi. Una datazione assoluta può essere fatta grazie ai cosiddetti “elementi datanti” (monete, fibule ed altri ornamenti, ceramiche, armi e così via).
[30] . Anche quando poi il supporto diventa mezzo di trasmissione di messaggi più complessi dei propri, certi caratteri elementari e generici, dovuti alle modalità fisiche della materia che costituisce il messaggio ulteriore, forniscono più sollecitamente delle informazioni, orientando la lettura semantica del messaggio di cui è mezzo. Non fosse grosso modo così, a molti di noi non sarebbe possibile distinguere a colpo d’occhio un ritratto fotografico da uno dipinto, come invece a tutti riesce facilmente nelle occasioni di un confronto ravvicinato.
[31] . Notiamo che ciò si rende possibile nell’epoca in cui la scienza si apre al paradigma della complessità.
[32] . …dello spazio vuoto, della pagina bianca, dell’atto sospeso o mancato, del grado zero della scrittura…
[33] . Nella fenomenologia della produzione artistica abbiamo creduto di riscontrare diverse analogie con diversi nuovi concetti scientifici: discontinuità, instabilità, differenziazione, singolarità, rottura della simmetria, e perfino di impasse e catastrofi…
[34] . Isabelle Stengers, Perché non può esserci un paradigma della complessità, in La sfida della Complessità, ed. Feltrinelli, Milano 1986, pag.81. Nella stessa pagina leggiamo: “Nel suo Dell’interpretazione della natura Diderot aveva ben presentato la solitudine del costruttore di sistemi, ma aveva mostrato che qualche “fatto”, dissepolto dall’umile “manovale polveroso”, veniva sempre a distruggere l’edificio teorico più superbo e a imporre la ricostruzione di altri sistemi. Non aveva previsto che la definizione degli spazi accademici avrebbe spezzato la dialettica sociale tra quelli che “riflettono” e “quelli che si danno da fare”, unica dialettica in grado, per lui, di rispondere a ciò che aveva già inteso come la “sfida della natura complessa”.
[35] . Gombrich, Il mondo dell’arte (1952), cit. pagg. 554-556.
[36] . Harnold Hauser, Sozialgeschichte der Künst und Literatur (1951), trad. it. Storia sociale dell’arte, ed. Einaudi, Torino 1964, n.1 p.511.
– * Semper lo abbiamo già “incontrato” (vedi nømade 17, pag. 40). Qui ricordiamo che nella lettera ad Engels da Londra del 31.08.1851, Marx nomina l’architetto sassone Semper indicandolo tra i componenti appena eletti del Comitato profughi “della democrazia”.
– ** Alois Riegl, Stilfragen (1893), trad. it. Problemi di stile, ed. Feltrinelli, Milano 1963.
[37] . Herman Haken, L’approccio della sinergetica al problema dei sistemi complessi (1985), in La sfida, cit., pag. 198 (corsivi nostri).
[38] . Ibidem. pag. 204: “L’evoluzione dell’ordine [formazione di strutture che evolvono attraverso processi di autorganizzazione] è descritta da parametri di ordine che “assoggettano” i sottosistemi in maniera tale da produrre la coerenza. Siamo tentati di applicare questi concetti ai fenomeni della vita. Secondo questa interpretazione i fenomeni della vita consistono in una trasformazione d’ordine che ha luogo fra il livello microscopico e il livello macroscopico o, per esprimerci in maniera leggermente differente, nel fatto che un enorme numero di processi microscopici vengano regolati dalla coerenza macroscopica”. – In Panofsky (1960-64), ad esempio, leggiamo: “Nella storia come nella fisica il tempo è una funzione dello spazio e la definizione stessa di periodo come fase segnata da un ‘mutamento di direzione’ implica una continuità oltre che un distacco. Inoltre non dovremo dimenticare che un tale mutamento di direzione può avvenire non soltanto sotto la spinta di una scoperta rivoluzionaria che può trasformare certi aspetti dell’attività culturale improvvisamente e profondamente, come fecero, ad esempio, il sistema copernicano in astronomia o la teoria della relatività in fisica, ma anche per effetto dell’accumularsi graduale di numeroso modificazioni relativamente minori [autocatalisi], eppure importanti, come quelle che determinarono, ad esempio, l’evoluzione della cattedrale gotica di Sant-Denis e Sens ad Amiens. Un mutamento di direzione può risultare addirittura da innovazioni negative anziché positive… ad esempio, … la scomparsa graduale della rappresentazione prospettica dello spazio dopo la caduta dell’Impero romano, la scomparsa graduale del diavolo dall’arte del XVII e XVIII secolo, o l’altrettanto graduale scomparsa dell’incisione al bulino dall’arte del XIX.” – Erwin Panofsky, Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale (1960-64), ed. Feltrinelli 1971, seconda edizione 2013, pag. 19 pass.
[39] . Gombrich, Il mondo dell’arte, cit., pag. 526 pass.
[40] . “Il sistema nervoso è soltanto un esempio di una classe di sistemi. Altri esempi noti sono dati dal sistema immunitario e dagli animali multicellulari. In tutti questi casi l’interconnessione degli elementi che compongono il sistema è così cruciale che si è obbligati a mettere in primo piano la loro chiusura. In tutti questi casi ciò che avviene nel sistema è la generazione di stati di coerenza autodeterminantisi o autocomportamenti (eigenbehaviors) che comportano uno stato soddisfacente, in uno stesso momento, per tutte le componenti. Si deve sottolineare con attenzione come la chiusura non sia l’isolamento. La chiusura si riferisce al fatto che il risultato di un’operazione cade ancora entro i confini del sistema stesso, e non al fatto che il sistema non ha interazioni (il che sarebbe appunto l’isolamento).” – Francisco J. Varela, Complessità del cervello e autonomia del vivente, in La sfida della complessità, ed. Feltrinelli, Milano 1986, pag. 147.
[41] . Vincent van Gogh, lettera a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79), in Tutte le lettere, vol. III, ed. Amadeus, Padova 1993, pag. 425.
[42] . Wassily Kandinsky, La tela vuota, in Cahier d’art n.5-6 1935, ora in Tutti gli scritti, cit., pag. 191 pass..
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