Archivio (comunque indiziario) di Erostrato poi Frazione Clandestina
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LETTERA DA CRETA all'Ufficio per l'Immaginazione Preventiva (Previa consultazione sulle pagine gialle) . Pubblicata su carta gialla e diffusa per l'Edizione differita di Aut.Trib.17139 numero 6 alla Galleria La Salita di Roma nel 1982, con il titolo monografico di Analisi del periodo: Guernica

Roma, dicembre 1981 . Caro Tullio, qualche tempo fa mi è ricapitata tra le mani una tua foto che ti ritraeva davanti a "Guernica" (stavi forse considerando l'opportunità di un tuo volantinaggio?). Con ogni probabilità la foto risale al tuo soggiorno a New York (1973?). Era infilata in una busta assieme ad altro materiale iconografico:
a - un collages di Picasso del '33 con una figura di Minotauro al centro, fatto per la copertina dell'omonima rivista surrealista;
b - il ritaglio di un manifesto degli anni '60 su cui era stampata la famosa colomba picassiana;
c - la fotocopia di un disegno di Cristan Pipar (un illustratore tedesco) eseguito per la rivista Vogue;
d - la riproduzione fotografica del manifesto Fluxus di Maciunas;
e - la riproduzione di questo stesso manifesto corretto da Beyus;
f - una correzione a entrambi questi manifesti;
g - la foto di un lavoro di Maurizio Benveduti allestito da Liverani (1978) che rappresentava una scacchiera sulla quale erano schierati contrapposti soldatini fascisti e soldatini dell'armata rossa (a questa data -1978- risale la stesura della "Lettera da Creta ", che forse è stata sollecitata proprio da questa immagine);
h - la riproduzione di una stampa raffigurante il Palazzo di Cristallo costruito da Paxton per l'Esposizione universale di Londra del 1851;
i - la didascalia ad inchiostro "Affreschi Imperiali" sotto la foto del muro di Hiroshima sul quale la radiazione atomica ha stampato l'immagine di un uomo e una scala a pioli.
Tutto questo accompagnato da una dozzina di cartelle dattiloscritte. Si tratta di una mia seconda lettera che doveva seguire a quella da te stampata nel '75 per il tuo "De Ironia" con il titolo "Lettera da Itaca" (1).
In un angolo di questa busta era infatti scritto a matita "Lettera da Creta".

Adesso che, come titolava tempo fa un quotidiano riferendosi a "Guernica". "l'ultimo fuoriuscito torna in Spagna" (nella Spagna del Borbone da sempre Delfino del Generalissimo Franco, e per un momento proposto per il Nobel della Pace); adesso che la questione degli armamenti è riagitata e nelle piazze rispunta il "motivo" della Colomba (o si tratta di Piccione?);  ora che i patti sociali e nazionali sono invocati quali uniche salvezze delle democrazie e della pace minacciate dal dispotismo fascisteggiante e dalle crisi economiche inarrestabili; ora che la toponomastica dei partiti si arricchisce di giorno in giorno di mille vie e formule salvifiche di governo, quasi un Dedalus impazzito dall'aver constatato che anche Minotauro si è fornito di ali (stavolta non più poveramente costruite con cera e penne, ma a reazione esce dal Labirinto e senza timore si avvicina al radioattivo Sole); e, in chiusura, dopo che si è celebrato il centenario della nascita di Picasso... adesso mi sembra giusto il momento di spedirti questa "lettera" che voglio definire d'analisi iconologica.
Lavoro iconologico nonostante, anzi forse proprio per il prevalere, o addirittura per l'esclusiva natura politica del testo, nel quale la "barra", posta come segno dell'antinomia tra Capitalismo e Comunismo, svolge forse il medesimo ruolo che ha la spada nel dipinto di Franco Maffei citato da Panofsky in "Sul problema della descrizione e dell'interpretazione del contenuto di opera d'arte figurative"; e dalla cui disputa e trattazione ne consegue come sia sufficiente togliera la spada ad una Giuditta per trasformarla in una Salomè, ovvero aggiungere una spada ad una Salomè per celebrarla come Giuditta.
Soppressione, spostamenti e omissioni di apparenti "inezie" che sottoposte a prove simili a quelle linguistiche di "commutazione" ci si possono svelare come particolari sostanziali e sostanzianti o, al contrario, rimanere tali: inezie marginali e del tutto decorative.
Ma, come una volta ti sentii dire, la Storia, contrariamente allo storicismo, non è decorativa.

Un caloroso saluto. Lillo Romeo

(1) - Il volume progettato da Tullio non fu più pubblicato; rimangono delle bozze di stampa. - In quella "lettera da Itaca" si potrebbe riscontrare la forzatura che tende a identificare il concetto di democrazia con il principio maggioritario; due cose teoricamente distinte. Salvo che nella realtà della pratica politica e sociale queste due cose si intrecciano a tal punto da far sorgere il sospetto che il "concetto" consegue storicamente alla "pratica" consultiva fondata sul principio maggioritario. Tale che quest'ultimo rimane come il nocciolo concreto che il "concetto democratico" tende a mettere in salvo preservando la sua artificiosità con lo spostare tutta la questione dai rapporti materiali alle nebbie impalpabili delle Idee.



LETTERA DA CRETA . ovvero La trasformazione della lotta di classe in fava al fine di catturare due piccioni proletari

Carissimi,
l'opposizione "democratismo / fascismo" è da porre propriamente all'interno e sotto (o dentro) la forma economica-politica "capitalismo", nella quale questa opposizione si trova racchiusa espimendovi le due linee politiche, compresente al di sopra delle fisionomie che (per diversità di climi e storia e per grado di sviluppo sociale e degli apparati tecnologici-ideologici) gli Stati capitalistici sono costretti ad assumere in determinate condizioni materiali e fasi sociali, sempre per mantenere il dominio del capitale sul lavoro, cioè del lavoro morto sul lavoro vivo, cioè del capitale costante sul capitale variabile. Ossia - per non lasciare le parole prive di corpi sofferenti - della borghesia (e neppure di tutta) sulle altre classi; meglio, data l'estensione planetaria di tale dominio: delle borghesie (sempre meno nazionali) su tutta la specie.
L'uso astratto - filologico, filosofico, anzi morale; mai storico, mai economico, cioè mai scientifico - di queste due paroline, è da inscrivere nei tentativi anche teorici di rimuovere l'antinomia che sempre più irriducibilmente [pag.1]si pone tra capitalismo e comunismo quali opposti modi di produzione.
Non potendo sopprimere o ignorare del tutto il segno di "alternativa perentoria" tra capitalismo e comunismo - ché questo segno violentemente si impone e trasuda sangue; diuturnamente lo si trova minimo o gigante, nella vita dei singoli o nella memoria storica delle classi sociali; o, con stupore, maestoso e terribile tra la natura e la specie umana - l'arguzia ne tenta lo spostamento affinché si possa realizzare, a beneficio di tutti i cittadini, la classica appropriazione sparagnina dei due piccioni con una fava. Infatti nella sua giusta posizione e scala reale il segno catastrofico della storica lotta di classi sociali non lo si potrebbe maneggiare con destrezza prestigitatoria, allora lo si trasforma in una più maneggevole parodia leguminosa. Trasformazione legittima purché attendibile - dati i termini dilettanteschi quindi geniali, le onde a bassa frequenza, le prolifiche rotative, i pesci surgelati a cadaverina latente, il caffè brasiliano sotto vuoto spinto dall'aroma decennale, il cibo liofilizzato basta sempre la medesima acqua per avere l'illusione di una molteplicità di vivande, siano fave o carrube per misere feste di natale. Trasformato il segno antinomico in una docile "fava" da tenere in mano, il trucco degli uccellatori ora consiste tutto nel suo spostamento. La riuscita nella sveltezza e minuziosità d'esecuzione.

Il primo movimento (negativo) cattura il piccione teorico

Se ad esempio noi constatassimo una correlazione tra i termini x, y e b tale che x + y = b,  per poi proditoriamente sopprimere ogni segno connettivo che denota la loro giustapposizione, concelleremmo con ciò ogni correlazione tra questi termini per ritrovarci una collezione di segni che cadrebbero tutti indifferentemente sotto la comune nozione di "variabile". Una volta negata la relazione d'ordine (espressa in questo caso dai segni + e =), dell'equazione ci rimarrebbe un insieme non ordinato di variabili.
Come togliendo da questa equazione le relazioni d'ordine viene a negarsi ai termini dell'equazione e all'equazione stessa ogni determinatezza, così togliendo ai termini "capitalismo" e "comunismo" il segno / di alternativa perentoria, cadrebbe anche ogni loro determinatezza. Essendo questo il segno della loro relazione d'ordine, la notazione connettiva che sola può posizionarli nell'algoritmo storico che scrive la lotta tra due modi di produzione irriducibilmente opposti e delle due classi che li esprimono, no in maniera esclusiva, sì in forma conseguente.
In entrambi i casi i termini in questione continuano a permanere, ma adesso nella loro astrattezza, cioè come mere categorie del pensiero. E se nell'esempio dell'equazione quanto si otterrebbe è un insieme non ordinato di variabili, nell'altro otterremmo un insieme non ordinato di idee; un insieme presunto superiore, ovverosia: l'universo democraticissimo delle opinioni personali. In questo "universo" i due termino che ci si presentavano come antitetici possono ora facilmente convivere in quanto meri simboli, intercambiabili perché vuote parole rispetto ai rapporti materiali che originariamente avevano preso a designare; nomadi nelle costellazioni dei significati di programmi teorico-pratici. Ogni correlazione si è andata spezzando e con ciò è preclusa ogni possibilità di nominare "cose reali", circoscritte e definite nella loro oggettività extralinguistica. I programmi politici ridotti a opinioni personali prendono a condurre una loro esistenza tanto generica quanto autonoma, eclettica e frammentaria, stabilendo tra loro nessi di promiscuità per fondarsi una vita ideale come quella degli anellidi - i soli capaci di trattare con sufficienza, come marginale, la violenza che la vanga contadina esercita sui loro vivi tessuti. Ma cocciutamente il verme si riforma e smuove il pianeta assieme alla talpa: microtellurica d'avvertimento.
Con la rimozione della fava / si vorrebbero rimosse al contempo le condizioni materiali che hanno determinato queste due parole-programma, che solo adesso e dopo tutto questo possono ascendere in cieli metastorici dai quali è possibile piluccarle a piacimento e saggiarle in ogni loro possibile commistione. Per cui la stura a ciniche falsità teorizzanti Stati o Economie composte da elementi capitalistici e comunistici, metà e metà, un po’ più di questo un po’ meno di quello, in prevalenza…, con accenni…, sulla strada, ecc.
Il primo movimento negativo (togliere la fava)  svolge anche un altro effetto, strettamente conseguente: tanto toglie di concretezza ai due modi di produzione quanto ne ripone (o va a riporsi) nella base materiale sulla quale questi immediatamente poggiano la loro esistenza attuale: cioè nel modo di produzione dominante.
Riassumendo. 
Il primo piccione, quello teorico, è dunque preso avendo tolto la "fava" / "negazione perentoria" tra i due termini primari Capitalismo e Comunismo; i quali così perdendo il loro carattere antagonico materiale, vanno a realizzare nel regno delle idee uno loro omogeneità e compatibilità sì da offrire indifferentemente le loro parti per usi e manipolazioni disinvolti, giacché adesso risultano entrambi sottomesse ad un medesimo insieme economico-politico, ad un unico modo possibile di produzione, all'unico che rimane "concreto", reale, immediato, pratico e attuale; perché concretamente, realmente, immediatamente, praticamente e attualmente dominante sull'intero pianeta. Il modo di produzione capitalistico, privato da ogni connotazione classista si pianta in cieli metafisici quale sacro mistero dell'Economia in generale che si rivela agli uomini di buona volontà attraverso tavole ministeriali alla cui volontà tutti i cittadini "eguali per natura" devono inginocchiarsi. Siano essi sazi o affamati, riposati dal riscuotere cedole azionarie o spossati dal lavoro, sani per una vita di vacanze o minati da mille malattie, soddisfatti nei loro bisogni o oppressi dalle necessità.
Quanto risulta dal togliere la fava è dunque l'ideologizzazione dei programmi storici delle classi affinché possa eternizzarsi il modo di produzione attuale.

Il secondo movimento (positivo) cattura il piccione pratico

Ma la "fava", rimastaci in mano dal primo movimento, deve essere usata ancora una seconda volta. E in modo positivo, costruttivo - esortano professori coscienziosi.
Con passaggi previsti dagli espedienti del calcolo, la fava la sia appone ora tra due nuovi termini che la storia recente si è premunita di fornirci per contrapporli nel suo nuovo elenco morale, aiutata in questo da accademici compilatori dalla vocazione clericale, e questa sì, decorativa. Sulla lavagna, in attesa dell'ora di Storia, servizievoli capiclasse, guatando dalla loro postazione cattedratica i buoni e i cattivi, il Male e il Bene, compilano sotto queste categorie pretesche quanto false, la nuova sacra antinomia: Democratismo / Fascismo.
Tutto si predispone così per la cattura del secondo piccione.
La negazione attuata col primo movimento unitamente all'apposizione effettuata col secondo movimento - in definitiva lo spostamento della "fava" [di] "negazione perentoria" - è precisamente lo scivolamento dal terreno della storia a quello della rappresentazione sacra; vale a dire lo scivolamento dal terreno della rivoluzione sociale a quello della legalità borghese: agnello sacro circondato da buoi gonfi di rispetto e speranza.
Il dilemma storico dal quale siamo partiti, Comunismo/Capitalismo, e che si presentava col suo carattere di negazione alternativa perentoria tra due grandi modi di produzione, ci si è trasformato, con lo spostamento della "fava", in un dilemma dipendente, tutto interno alla "concretezza" economica procurata dalla cattura del piccione teorico durante il primo movimento. Il ripetersi nel tempo di questi due movimenti con la fava, secondo ritmi conformi alla voluttà dei tempi, procura il piacere solitario la cui saggezza è espressa nell'eiaculazione piccolo borghese raggrumata tutta in "il movimento è tutto, il fine è nulla".

Con queste esibizioni prestidigitatorie i due modi di produzione in questione sembrano essersi dileguati. Ma il Capitalismo, sotto la specie appena conquistata di "Economia in generale" si sottomette il Comunismo ridotto a mera ideologia, proprio come l'economia pratica si sottomette l'economia pensata. Il Capitalismo da parte sua accetta volentieri di rinunciare al proprio programma; essendo questo di fatto interamente attuato gli rimane il cruccio di rinnovare o mantenere [riprodurre] le condizioni stesse sulle quali si fonda. Per contro si chiede al Comunismo (!) di rinunciare al proprio programma con il pretesto che anche questo (da qualche parte) avrebbe realizzato il proprio (sic!), e quindi si può procedere, magari ad integrazioni (sic) reciproche, aggiustamenti ecc. Salvo che mentre per il Capitalismo si può dimostrare come questi abbia attuato pienamente il proprio programma (non ovviamente le proprie illusioni), per il Comunismo la cosa è ancora tutta da dimostrare, anzi i fatti dimostrano tutto il contrario, e tutti i paesi, nessuno escluso, si trovano a dibattersi nelle stesse contraddizioni socioeconomiche, nonostante geografici giochi di parole che nascondono tutti la medesima realtà [ossia che il Capitalismo domina sull'intero globo].
Il nuovo dilemma Democratismo /Fascismo  posto dal secondo movimento della "fava" e offerto alla quotidiana "pratica politica" quale programma succedaneo di ben altri dilemmi storici mortali, prende a vivere dentro l'attuale economia e ideologia dominante come un pesce nella propria indiscussa bolla d'acqua. E in questo suo vivere e patire altro non può che glorificare questa sua acqua condizione essenziale alla propria esistenza. Tale dilemma, esprimendo al più la lotta contro gli "eccessi" della politica e della economia capitalistica, e non contro la forma stessa del capitalismo, conferma quest'ultima come un "universale" e la fonda come un ”eterno modo" [di produrre e di vivere]. 
Mentre l'antinomia Capitalismo /Comunismo si è posta e ancora si pone nella storia con il medesimo determinismo con il quale si pose quella tra Feudalesimo e Capitalismo, e come tale è sostanzialmente e irriducibilmente rivoluzionaria, l'antinomia Democratismo/Fascismo è propriamente l'antinomia tra due diverse forme [politiche]di un medesimo modo di produzione; forme che mai presentandosi allo stato puro mantengono al loro interno i mezzi della forma reciprocamente deprecata, cosicché all'occorrenza ora gli uni ora gli altri possono sempre essere rimessi in atto affinché in entrambi possa sempre reincarnarsi la medesima anima capitalistica.
Adunque ogni lotta tra i termini Fascismo e Democratismo, svolgendosi nella bolla del loro comune e medesimo modo di produzione, non può altro che confermare (e confortare) il modo all'interno del quale si svolgono e dal quale dipendono come sue forme storiche [politiche] determinate. Quale che sia di questa lotta intestina l'esito contingente e alterno, esso rimane pur sempre un esito che lungi dal negare le condizioni stesse da cui traggono vita tanto il Democratismo che il Fascismo, le perpetua e rinnova rafforzandole e accrescendole come dentro una palestra. Con questa lotta, circense per i toni, sebbene cruenta e questa sì democraticamente feroce, il capitalismo si procura di mantenere e sospingere nel proprio alveo ogni lotta sociale radicale che la sua stessa esistenza non può che provocare, essendo il capitalismo medesimo l'ineffabile nemico di sé stesso.
La soluzione di questa recente antinomia si presenterebbe quindi come alcune soluzioni di algebra che contemplano due soluzioni diverse e opposte di segno. L'uno e l'altra sono allo stesso tempo necessarie e sufficienti per procedere nel calcolo che più gli sta a cuore: resti di marmo la proprietà privata!
Sugli spalti delle scuole comunali maestri di lungo corso intonano il coro del "t'amo pio bove", poesia d'assalto di nostra signora democrazia.

(glosse a margine)

In particolare il carattere falsamente razionale della concezione democratica si svela qualora consideri che il fondamento teorico su cui si poggia è interamente spiritualista e metafisico; giacché suppone la "coscienza" come accampata fiori da ogni riflesso concreto dei fatti materiali e dalle altre determinazioni contingenti che non interverrebbero nella sua formazione. In tal modo la coscienza dei singoli non si spiegherebbe altrimenti che supponendola come una provvida scintilla concessa, equamente quanto immutabilmente, da un mistico distributore imparziale. È il libero arbitrio in versione borghese. D'altronde il laicismo non è ancora ateismo. 
Con ciò sarebbe spiegata anche l'eguaglianza, su cui si fonderebbe il suffragio universale, che conta per uno tanto il pronunciamento del "rentier" che dell'operaio, del contadino e del magnaccia, del tornitore e del prete. Il loro pronunciamento sarebbe sovrano per diritto naturale come nel Medio Evo era sovrano il pronunciamento del Re per diritto divino; essendo tutti i cittadini eguali di fronte alla Stato come lo sarebbero gli uomini di fronte a Dio. "L'eguaglianza mistica del cristianesimo è scesa dai cieli nella forma dell'eguaglianza 'naturale' e 'legale' della democrazia. Ma non ha ancora raggiunto la terra, dove si trova il fondamento economico della società" (Troskij). Questa impasse della mezzastrada a cui è condannato il pensiero borghese si è rivelata immediatamente nel momento stesso del suo più alto slancio teorico e pratico: la Ragione come divinità è semplicemente la divinità resa ragionevole. D'altronde l'ateismo non è ancora materialismo. 
Il pensiero borghese mantiene una natura contraddittoria che gli impedisce di essere conseguente. Il suo nocciolo materialista è ancora avvolto in fumi spiritualistici; mutuato dalla meccanica classica è un materialismo logico, incapace cioè di digerire verità dialettiche che gli appaiono come macigni paradossali, inappetibili alla testa come allo stomaco. D'altronde il materialismo non è ancora comunismo.

Sulla concezione democraticistica si può ancora brevemente aggiungere:

a)- che essa proclama la democrazia in generale, come idea assoluta, per in pratica affermare e difendere (e diffondere) una democrazia in particolare, storicamente determinata: quella borghese. Giacché non può esistere la democrazia in generale più di quanto possa esistere l'uomo in generale; noi abbiamo sempre a che fare non con idee assolute ma con le determinazioni attuali e materiali che in tali idee si riflettono in una forma generale, cioè astratta;
b) - che lo Stato democratico poggiandosi sul pronunciamento individuale compie una grossolana quanto falsa eguaglianza tra le "unità biologiche" e le "unità sociali". Le due unità in realtà non possono coincidere pienamente poiché nelle unità sociali le attività del singolo non sono, o non sono più, attività individuali;
c)- con tutto questo si tende a negare valore a quell'unità sociale sulla quale 'reality' si fonda la [attuale] società civile: la classe. Ma non potendo negarne l'esistenza ci si vuole limitare a contemplarla come fredda categorie economica, statistica, accidente sociologico ecc. per negargli di fatto e impedirgli a forza di svolgere quell'unica azione politica autonoma che la borghesia a suo tempo non si è negata in alcuna misura.
La borghesia infatti pretende aver avuto in dotazione esclusiva dalla Storia, la violenza e il terrore rivoluzionari. E dopo aver carpito questo "segreto storico" non può farne altro che difenderlo come una sua proprietà privata. Sotto questo rispetto la repressione controrivoluzionaria non sarebbe altro che la difesa "legale e costituzionale" contro gli attentati alla proprietà in genere, sia pure tale proprietà quella della violenza della propria classe sulle altre. "Dio me l'ha data, guai a chi la tocca"
ha esordito infatti il primo e l'ultimo imperatore borghese. Dopo il trionfo della Ragione la borghesia ha legittimato il proprio dominio facendo risorgere il Dio per la seconda volta per proprio uso e consumo.

Nei campi di ortiche ho posto la mia dimora

Democratismo/Fascismo.
Queste due forme che può assumere la borghesia sempre tramite il proprio Stato, non sono certo indifferenti alle classi sociali.

Brevissimamente, e a rischio di enormi semplificazioni: la forma democratica consente al proletariato di organizzarsi in classe, cioè in partito politico, e di svolgere in quanto tale la sua propaganda rivoluzionaria alla luce del sole, senza nascondere le proprie intenzioni. Il pericolo invece viene dalle illusioni che il democratismo induce nella classe inculcandovi dei pregiudizi legalitari che hanno da sempre compromesso ogni politica e azione rivoluzionaria tanto teorica che pratica.
Il dispotismo borghese nella sua forma fascista (quando cioè arriva a negare le sue proprie leggi) cancellerebbe tutte queste illusioni e può rendere suscettibile l'aperto conflitto di classe; giacché in questa forma è la borghesia stessa, il capitale col suo stato maggiore e l'apparato dei suoi dipendenti statali, a scendere sul terreno della lotta aperta, della guerra sociale. Con questo non se ne può certo dedurre, né si deve, che questa forma di aperto dispotismo sia auspicabile, non esistendo alcun nesso meccanico tra violenza borghese e crisi rivoluzionaria tale che possa verificarsi un automatismo che apra la fase rivoluzionaria del proletariato come immediata risposta al 'serratele fila' della borghesia.
Neppure per la borghesia le sue due forme di dominio, quella democratica e quella fascista, sono state e sono indifferenti. Essa prediligerebbe di gran lunga quella democratica della pace sociale, la quale gli consente una fase di accumulazione molto elevata e con una crescita regolare, al riparo dai pericoli per la vita dei propri singoli membri (come in una serra nella quale poter coltivare tra l'altro le famose fave per la cattura dei piccioni o colombe paciose - a tal proposito ci si potrebbe chiedere se sia da considerare un caso che l'architettura moderna abbia avuto l'abbrivio dal costruttore di serre  Joseph Paxton). Nella forma democratica di piccioni se ne prendono diversi. Il relativo benessere che elevate accumulazioni consente, permette di migliore le condizioni individuali di appartenenti a classi subalterne, creando così degli strati di aristocrazie proletarie nei quali inculcare abitudini borghesi, procurandosi in pratica degli alleati nelle retrovie, degli ammortizzatori sociali. Ma ecco che subito più accumulazione più sfruttamento, più diritti politici diffusi più accentramento del potere reale in poche mani. È impossibile alla rozzezza politica della democrazia borghese cogliere le verità di questi apparenti paradossi; ma essi sono i segreti delle economie e delle maggioranze che solo la ripresa teorica e pratica del materialismo scientifico potrà spargere ai quattro venti come ceneri di pregiudizi mortali.
I favori che il Capitale ha potuto e dovuto elargire in fase di prosperità, nella fase successiva diventano elementi che incrementano le crisi e le rendono via via più profonde. Il loro avvicendamento si fa sempre più ricorrente e generalizzato e avvicina la crisi rivoluzionaria o la minaccia. Lo stato del capitale non può più governare nella stessa forma, allora getta senza ritegno - dimostrando in che cale li tiene - i ferrivecchi democratici per impugnare il manganello anche contro singoli capitalisti e settori del capitale che non gli sono più congeniali - e non sarà certo questo a suscitare simpatie operaie nei confronti di questi sfortunati: si tratta solo di rimettere l'affaire nella sua globalità. Lo Stato si sottomette con la forza quanto non è più capace di controllare con la democrazia e il liberalismo (in questi ultimi anni si moltiplicano i provvedimenti protezionistici). Lo Stato del Capitale prende ad apparire come il Capitale di Stato; ma si tratta di semplici rovesciamenti speculari che lungi dal negare confermano tanto il Capitale che lo Stato rinsaldandone il rapporto, e con ciò perpetuando l'eternità mistica di queste due forme storiche del tutto contingenti e transeunti ma che non potranno mai venire superate con pretesi programmi che si fondano su giochetti tra queste due parole. Al terrore senza fine delle crisi economiche e politiche il Capitale preferisce la fine con terrore anche di suoi singoli rappresentanti e figure economiche, purché gli sia assicurata altra vita: non si bada al prezzo: "il Re è morto, viva il Re", è la professione di fede e di lotta per la continuità dello Status tanto nel feudalismo  che nel capitalismo moderno.
Dalla democrazia-latte-e-miele alla democrazia blindata, all'aperto terrore dello Stato: forza concentrata e organizzata della società a beneficio della classe dominante (Marx). 
A lungo andare anche i panni del totalitarismo moderno borghese (fascismo) gli si possono fare stretti impedendo lo svolgersi di ulteriori lucrosi affari. Allora giunge il momento di disfarsene. E se può tirarvi dentro la classe rivoluzionaria concedendogli l'appalto di pulizia, tanto meglio: quest'ultima continuerà così, e ancora per più lungo tempo, ad essere una classe per il capitale e non per sé stessa; continuerà a coltivare per suo proprio danno e consumo la "fava" che divide il democraticismo in generale dal dispotismo in generale (le trappole filosofiche degli "assoluti" idealistici gli precluderanno per gran tempo ancora ogni azione storica di classe); il legalismo e lealismo alle forme giuridiche istituzionali delle quali il modo di produzione capitalistico si e andato dotando lo disarmeranno anche quando solo intenderà almeno difendersi nei suoi bisogni immediati dall'attacco concentrato e concertato delle organizzazioni politiche borghesi, siano esse apertamente tali, siano sedicenti partiti operai.
Le mille vie che i partiti operai borghesi hanno tracciato e tracciano con una non invidiabile fantasia (l'immaginazione sì sarebbe invidiabile!) confezionano un unico labirinto nel quale si vorrebbe continuare ad avviare la quotidiana vergine proletaria in nome del patto del giusto prezzo  stipulato legalmente col sovrano per diritto divino del popolo di Creta. Ma un'unica via per entrare e uscirne escogitò l'Arianna materialista; e il braccio di Teseo armato d'ascia non meno che del filo, recise la testa dell'orrido aborto di epoche bestiali, primitive oramai, quando sbarcò non prematuramente all'isola terrifica. 
Lo Stato sbarazzatosi della sua forma totalitaria riprende l'altro volto minotaurico: pacifista, conciliatore, interclassista.
E se il volto totalitario era la testa bestiale sul corpo umano, adesso è all'inverso la testa umana sul corpo bestiale.
Tanto più orrido e insidioso in epoche di abiti lunghi.
(crl)



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