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ANALISI DEL PERIODO: Brener, ovvero IL QUADRO DELLA SITUAZIONE . Due lettere di Giugno 1997 inviate a Giancarlo Politi, qui riproposte con l'aggiunta successiva di Glosse marginali e Note . Vedi anche Lettera Fuori Corso in Supplementi . Scarica il testo completo in PDF .

... Il 4 gennaio 1997 Alexander Brener è intervenuto sul quadro di Malevič Suprematismus, esposto allo Stedelijk Museum di Amsterdam, spuzzandovi in spray verde il simbolo del dollaro. L'artista russo è stato arrestato e rimane in attesa di giudizio fino a che non verrà stabilito se il quadro possa essere riportato alle sue condizioni originarie...
Avvocato della difesa: "...Brener manifesta contro il potere dei soldi nel mondo dell'arte, il che è giusto. Egli resiste contro il potere del commercio, che corrompe l'arte." (Flash.Art n.203-05.1997)

Caro Politi,
condividiamo la simpatia tua verso tutti i dissacratori dell’arte ufficiale, e non saremo certamente noi a misconoscere il valore dell’opera di Brener d’apres Malevič, la cui posizione, così ben chiarita dalla difesa, credevamo ormai abbandonata assieme a tutte quelle questioni pur vagamente compromesse con le riflessioni di derivazione marxiana. Perché riteniamo che proprio in una di queste sia incappato Brener. E non poteva accadere diversamente, se a lui veramente "interessa la forma di funzionamento della società", il suo meccanismo [2].
Solo che allo Stedelijk si è affermata una critica in assenza di un programma che non sia individualmente limitato, ossia capace di situarla storicamente e proiettarla nel presente. Tu stesso sembri includere B. tra gli artisti trasgressivi che "si servono dell’arte altrui per l’arte propria"...
Un momento... Stiamo parlando di un artista trasgressivo... o di uno semplicemente in carriera?... Non è così; e l’intervista che hai pubblicato non permette troppo facilmente questa congettura - con tutto che anche le maniere di perseguire il successo personale all’interno di una società risultano sempre altrettanto storicamente determinate della stessa società nella quale si manifestano, e quindi pure queste rientrerebbero tra la generalità dei fenomeni da sottoporre all’analisi del funzionamento sociale.
[3]

Anche se la dichiarazione dell’avvocato rivela un’impronta moralistica, l’apparente paradosso con il quale Brener ha definito "oneste" le proprie intenzioni, si spiega solo con la convinzione dell’artista di essere parte di un processo critico dal quale, per definizione, debbono ritenersi estranei sia i cedimenti verso l’invettiva (tanto più se avanzata in difesa di un’idea di arte idealisticamente intesa), sia i risentimenti personali. [4]

DISTRAZIONI

Il gesto di B. potrebbe anche confondersi tra i precedenti atti di teppismo, di dissacrazione, o di varia manipolazione di opere d’arte preesistenti, solo a condizione di trascurarne la forma finale; il che equivarrebbe a insinuare che la scelta dell’effigie del dollaro da dipingere sul Malevič sia stata casuale, e quindi del tutto irrilevante. Cosa difficile da sostenere.
Date le condizioni nelle quali si intendeva realizzarla sarebbe stato più sbrigativo eseguire un insignificante ghirigoro – già di per sè sufficiente, se si intendeva colpire "un padre ingombrante", perseguire un "coraggioso stupire", o praticare il "vandalismo in quanto arte", come alcuni ti hanno scritto.
Sono tutti rimasti rimasti abbacinati dal gesto, e su questo si sono soffermati per deprecarlo o per teorizzarlo, impedendosi così di vederne il risultato.[5]
Pare si sia verificato spontaneamente (o automaticamente) qualcosa di simile a quanto venne denunciato da Asger Jorn in un volantino dell’Internazionale Situazionista quando si trattò di pubblicare sui quotidiani del 1958 la notizia di una mediocre tela di Raffaello appena scalfita da Van Guglielmi; la foto venne ritoccata per accentuare artificialmente e rendere più grave e deprecabile il danno materiale, mentre al contrario il testo del manifesto incollato sul vetro: "W la rivoluzione italiana! Via il governo clericale!", venne occultato sapientemente per renderlo "pairfaitement illesible dans les journaux italiens".

Può apparire ingeneroso nei tuoi confronti, ma dobbiamo rilevare come anche Flash, dedicando la copertina all’illustrazione dell’accaduto e alle immagini del processo, ha contribuito a dare più rilevanza al gesto che all’opera. 
Cos’è dunque che ne favorisce la rimozione persino da parte di quanti sono ben disposti nei riguardi di Brener?
Tutto lascia credere che tale negligenza possa attribuirsi al fatto che sopra il Suprematismus sia stato dipinto un inequivocabile segno altrettanto supremo e degno di devozione, onnipotente e dispotico, carico di implicazioni teologiche e tuttavia così concreto e tangibile da essere a portata di mano.

IL SEGNO DI ZORRO SULLA TRIPPA DI GARCIA

Con il coraggio geniale della banalità il $ dipinto da Brener (preso certamente quale rappresentante generico del denaro) mette immediatamente in mostra l’impresentabile volto della musa più sottile ed eminente di un’arte che per lo più si è ritirata dal mondo per mettersi al sicuro nel gioco indefinito e indefinibile del decorativismo soddisfatto e satollo.
È la sfrontata evidenza che dà la nausea alla nostra delicata coscienza?
Il richiamo alla realtà è stato troppo violento per lor signori, o è semplicemente alla stessa altezza dell’intensità della crisi?
Lasciamo quest’ultimo interrogativo sospeso sopra le teste reclinate dei G7, ora G8.

Anzitutto bisogna stabilire se tale richiamo (al di là del fatto meccanico che sia stato applicato sopra un quadro) riguardi pur sempre e ancora l’arte figurativa piuttosto.. che la sociologia, mettiamo? Allora ci si dovrebbe ugualmente interrogare sulla caravaggesca "Vocazione di Matteo" per stabilire se trattasi di un costrutto letterario piuttosto che pittorico - poiché anche qui sono in gioco la Croce della finestra, il Denaro dell’usuraio e la scelta del Dio di cui farsi discepoli - qualora ci facesse la grazia di rivelarsi.
Ciò che conta in un’opera non è l’opinione spesso interessata dell’autore (figuriamoci poi quella del suo avvocato!) ma quanto è possibile leggervi e rimanere vivo. [6]
Non possiamo credere che B. sia rimasto scandalizzato dal "potere dei soldi nel mondo dell’arte", quando ognuno sa, anche se non sa niente altro, che in un mondo dominato dal mercato anche l’opera d’arte aspira a saltarvi dentro anima e corpo. Allora il compito di esprimere questo fatto elementare ed ovvio apparirebbe del tutto superfluo, se non fosse che il problema risiede tutto nell’esprimere precisamente questa elementare ovvietà in una guisa artistica.
Non si tratta affatto di pronunciare un giudizio al riguardo; e neppure di assumere un compito iconografico tra gli altri, bensì di ridare "visibilità" alla base materiale nella quale i processi estetici e i procedimenti artistici attualmente sono radicati, e dalla quale sempre ripartono e si sviluppano.
Dopo aver riconosciuto che la possibilità di svolgere l’arte nel presente (e anche di spiegarla) si pone, inizialmente, a partire dalla comprensione positiva (mai etica, mai morale!) della condizione comune a tutti i prodotti del lavoro di una determinata epoca, ecco che per quella moderna si arriva alla "forma" di merce. E poiché "l’enigma del feticcio denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e abbagliante agli occhi", ecco che dalla merce si perviene, altrettanto facilmente, al denaro, nel quale è ravvisabile la forma generale in cui si presenta immediatamente l’attuale modo capitalistico di produrre; e in tale forma diviene possibile anche rappresentarlo in una maniera storicamente adeguata.[7]
Al mondo senza oggetti del denaro, nella sua fase sviluppata come Capitale, doveva corrispondere un’arte liberata dal "peso degli oggetti".[8]
Come il denaro ha dovuto necessariamente disperdere ai sensi ogni e tutte le particolari determinazioni del mondo fisico per potersi fondare ed agire quale equivalente generale degli scambi, così la pittura di Malevič ha dovuto disperdere ogni particolare figura spingendola ai limiti della percettibilità retinica, se voleva mostrarsi infine quale equivalente generale e supremo della pittura senz’altro.
Era dunque fatale che, proprio qui dove l’esca suprematista della estrema riduzione del materiale pittorico intrattiene il quadro sulla soglia della sua propria sparizione (forse in attesa dell’incontro con il puro Spirito della Pittura) doveva presentarsi invece, incarnato sulla diafana croce di Malevič, questo verde Spirito del tempo.
Ora possiamo dire: la tela era già preparata!
Il $ dipinto da Brener, nell’istante stesso in cui modifica l’opera di Malevič, compie l’analisi del periodo che svela il paradigma segreto dell’arte moderna in generale, e ci indica nel "denaro" il garante dei modi di codificare di tutta un’epoca.
Un "garante" che non appartiene più all’ordine trascendentale del divino bensì, oramai interamente, all’ordine immanente dell’economico. [
glossaA]
Con ciò possiamo mandare dissolto anche l’equivoco mistico che si presume all’origine dell’arte astratta (Kandinsky-Mondrian-Malevič).
[9]

Inoltre, per la delizia dei collezionisti di figurine, Brener ha anche arricchito il repertorio delle sacre rappresentazioni con una vocazione di Matteo capovolta in favore dell’avaro - lasciato nell’ombra caravaggesca del peccato a contare il gruzzolo, trionfa infine sull’ultima scena della globalizzazione, nella quale il mistero della grazia divina si manifesta quale mistero dell’economia politica - che per la scienza economica corrente rimane tuttora una sfinge priva di misericordia.[10]
Non vogliamo sostenere che questo lavoro di Brener possegga un valore in sé, piuttosto deve essere considerato come la tappa di una evoluzione che comunque andava segnata e dalla quale non si può più prescindere. Ma non è lo stesso per l’opera di Malevič?
Si tratta allora di coglierle entrambe i due fatti come momenti consecutivi di un medesimo processo (dinamico) per il quale spesso c’è bisogno soltanto di un chiarimento critico capace di riassumere e andare avanti (è questa la "coazione a creare" con la quale dagli anni '80 si è creduto schernire l’avanguardia?).[11] [gl.B]
Neppure vogliamo sostenere che l’opera di Brener possegga in sé il valore di un chiarimento concettuale del tutto originale. Ma poiché: "La filosofia contemporanea ha un carattere di parte, come l’aveva la filosofia di duemila anni fa. In sostanza i partiti in lotta sono il materialismo e l’idealismo… L’idealismo essendo soltanto una forma affinata e raffinata del fideismo, il quale resta in armi…", possiamo assumere l'immagine di B. come un deciso pronunciamento in favore del materialismo.
Solo per fissare le idee, azzardiamo lo schema, nel quale l'ultimo passaggio non deve intendersi come conciliazione dei due momenti che lo precedono, ma neppure come una doppia negazione logica che ritorna ad affermare la tesi di partenza; piuttosto proprio come una dialettica negazione della negazione con la quale si perviene ad un risultato del tutto nuovo - fosse pure soltanto quello di tentare di rompere il vincolo formale di vecchie enunciazioni. [
gl.C]
Per il momento all'orizzonte non vediamo altra necessità degna oltre quella di sistemare la pittura nella verità del suo proprio tempo e liberare l'arte - e Malevič stesso - dal blocco schizofrenico attivato dalla falsa concezione di un'autonomia dell'opera e dell'attività estetica
accampate fuori dalle contingenze materiali.[12]

È per questo che te la fanno sempre pagare?
Solo una volta applicato il crimine dialettico al corpo vivo della pittura, ci si avvede che Brener non ha avuto altra scelta che fare ciò che ha fatto, se voleva offrire ad un unico colpo d’occhio il quadro della situazione.[gl.D]

Roma, giugno 1997
Caro Politi,
abbiamo fatto bene a ritardare l’invio di questa nostra lettera; così abbiamo potuto cogliere l’occasione di leggere nelle tue parole la conferma di una certa concordanza: "Brener...che vuole uccidere il padre, il capitale e l’arte troppo enfatizzata."
[13]

Dovremmo forse iniziare a considerare che l’attuale fase acuta dell'offensiva teorica e pratica del neoliberismo ha preparato le condizioni oggettive, economiche e politiche, che costringono anche i riluttanti a fare nuovamente i conti con le irrisolte questioni poste storicamente dal materialismo dialettico persino in arte? [gl.E]
La necessità di ricondurre in primo piano il modo determinato di produzione (dominante sia sotto Malevič che sotto Brener) era già stata già avanzata teoricamente ed espressa artisticamente anche dagli Uffici.[14]
Che infine tale necessità abbia trovato la maniera di manifestarsi in una forma particolarmente "spregiudicata" proprio nell’attuale periodo stramaturo dell’economia, e ad opera di un artista ‘debole" e "nullatenente", proveniente da un’area economica che non ha ancora avuto il tempo necessario per sottomettere e organizzare le coscienze alle esigenze del mercato, dimostra che persino la possibilità e capacità soggettiva di esprimersi "liberamente" presuppone comunque il sussistere di condizioni oggettive favorevoli - beninteso sempre purché si sia abbastanza conseguenti (forse "onesti", preferirebbe dire Brener), e non ci si atterrisca difronte ai risultati e alle conseguenze anche pratiche cui ci conduce il processo critico intrapreso.[15]
Brener si è definito "un artista sociale e nullatenente", soprattutto "debole", che ha "sempre paura di non poter lavorare" (proprio come gli "uffici" che troppo spesso non hanno potuto lavorare affatto).
Che questi suoi caratteri sociali ed umani ti portino a difenderlo, testimoniano di un tuo sano istinto e della sua particolare tenuta, che amiamo pensare riposa sulla convinzione che soltanto chi non possiede nulla non ha altro da difendere che la reputazione dell’arte - a cui viene subito voglia di aggiungere ...e ha un un mondo da guadagnare.

Quanto è stato capace di fare Brener allo Stedelijk Museum non è terrorismo, forse è sabotaggio, forse meglio disfattismo; ma ha anche i contorni marcati di una espropriazione avanzata da un espropriato sceso su un terreno pratico con un programma antiformista. È questo che non gli si può perdonare, altro che il danneggiamento del Malevič!
E il fatto che Brener non sia stato invitato né alla Biennale da Celant, né a Kassel dalla David ci sembra confermare che da quanto è accaduto emana quel particolare sentore politico che spesso si sprigiona quando si arriva al fondo delle cose e l’unica risposta possibile consiste nel modificare concretamente lo stato delle cose attuali.
Allora: giusto quando pubblicammo nell’ultimo Aut.Trib.17139 del 1983 [16] le sequenze del manifesto di Maciunas: "Purge the world of EUROPANISM!", rettificato da Beyus: "Purge the world of AMERICANISM!" e, a conclusione della serie, perfezionato infine dal nostro "caxus": "Purge the world of CAPITALISM!".
Perché proprio in quest’ultima formulazione il lavoro di B. con il suo $ troverebbe una giusta collocazione. Ed è questo che oggi ci consente di stare dalla sua parte, collocandoci però fuori da ogni generico solidarismo come dalla pur sempre doverosa compassione anticarceraria.
Noi non abbiamo interesse, e neppure motivo, di tirargli la giacchetta per associarlo ad un discorso che non conosce, e che, magari, conoscendolo, può anche non condividere o addirittura detestare. Ma neppure potevamo abbandonare alle scorribande dei benpensanti un’opera nella quale riconosciamo una certa aria di casa. E la verifica di ciò la ricaviamo anche dal fatto che non dobbiamo fare nessuno sforzo per immaginare il suo lavoro sul Malevič come un’ottima immagine da riportare nel frontespizio di diversi elaborati dei nostri Uffici.
Occorre anche riconoscere che almeno una falda della propria giacchetta ce l’ha offerta lui stesso. E allora uno tira i fili: ci sia o non ci sia dentro una particolare persona, è faccenda che riguarda la biografia, magari pure la magistratura, certamente non la critica - anche se Maraniello sembra disposto ad affidare al pronunciamento dei magistrati l’ultima rifinitura del giudizio estetico che decida sulla riuscita o il fallimento dell’opera di B.
Per quanto ci riguarda, salutiamo la piena riuscita di un’azione concettuale compiutamente critica e compiutamente pittorica, che arriva alla radice dell’estetica contemporanea e la mette alle strette, dicendo finalmente una parola chiara e definitiva sull’arte del secolo che se ne sta andando, e che proprio applicata al Malevič la estende e rende valida per l’intero periodo.[17]
Poi, se uno proprio vuole, può anche infilarci dentro la Russia - patria comune ai due autori - e magari pure Dostoevskij, che non guasta mai; e già che ci si trova richiamare una raskolnikoviana similitudine con l’omicidio dell’usuraia per condurre infine Brener verso il meritato castigo con resurrezione in coda - vuol dire che intende trattare e trattare anche l’arte come una faccenda privata e personale.[18]
Se l’opera di B. si colloca precisamente dove l’abbiamo sistemata, allora la sentenza purtroppo è già scritta in anticipo e per principio da una società che non può permettersi di sopportare una critica radicale in alcun campo, particolarmente in quello economico e sociale, dove si è spinta l’opera di B.; poiché ci appare evidente che siamo sulla linea del fronte politico.
Questa società riesce prima o poi a perdonare di tutto, anche i più turpi crimini contro la persona o contro l’umanità, privati o collettivi che siano, mai il delitto di chi svela l’ipocrisia dei suoi balocchi più preziosi; figuriamoci poi quando si arriva a romperli! Ma ad un certo momento se si vuole essere risolutivi, occorre spezzare il cerchio allucinante della metafora e tentare il passaggio (sempre obbligato, sempre rischioso) verso la realtà.[gl.F]
Però, se poi la libertà di B. dovrà passare passare attraverso una linea di difesa che riterrà opportuno dissimulare la vera portata del suo lavoro dietro l’appello alla libertà di espressione o altre consimili amenità apologetiche, queste sono faccende di giuris-prudenza che oramai non intaccano le nostre convinzioni a tale proposito.
Caro Politi,
il fatto che [19] il Malevič sia stato già visto e che ora occorre vedere un Brener (sempre meglio dal vivo che dal morto....direbbe un diverso Catalano) ci porterebbe a discutere del superfluo in arte; e precisamente sull’inutile perdurare di molte di quelle opere tra le più conseguenti che, proprio per il loro "estremismo" [20], una volta fatte, viste e registrate dall’estetica corrente, esauriscono ogni loro ragione artistica e se ne starebbero come spoglie morte, immobili... se non fosse appunto per il provvidenziale (benchè già deprecato) valore di scambio che gli procura quella novella respirazione bocca a bocca che le mantiene in circolazione come cadaveri squisiti.[21]
Potrebbe anche non essere il caso di Malevič; benché il suo mondo senza oggetti dovrebbe prevedere anche il quadro stesso nel processo generale di tale negazione.[gl.G]
A tale proposito, sarebbe estremamente interessante e forse necessario, che Brener, dopo aver lavorato sopra un’opera di proprietà pubblica, procedesse esattamente con il medesimo impegno e coraggio almeno sopra un capolavoro di proprietà privata (così si avrebbe anche la verifica sperimentale del "vero collezionista") - benchè anche noi ci associamo al tuo augurio (non certo motivato da spirito conservativo) che il gesto di B. non trovi emulatori: a tutti noi interessano, in arte, le opere originali, non le copie.
Alla luce di tutto questo, tra i tanti episodi che riguardano manipolazioni su opere d’arte preesistenti, riteniamo utile segnalarti quello di Courbet, che in nome della Comune di Parigi del 1871 firma l’abbattimento della colonna Vendôme perchè simbolo dello sciovinismo e dell’oppressione di un popolo sull’altro.[22]
Di un sicuro interesse è la vicenda del barone d’Ormesan descritta da Apollinaire (che, contrariamente a te, preferisce non difenderne l’opera impelagata con la giustizia: altri tempi, altro coraggio). Tra gli atti di teppismo sulle opere d’arte occorre però anche includere tutti quelli di omissione o di censura che si compiono negli svariatissimi modi della critica e dell’informazione, ai danni di artisti e opere soprattutto quando si pretende di organizzare rassegne paludate di obiettività storica e rigore critico, ma che troppo spesso servono al contrario a seppellire - quando non a falsare - ciò che non è conforme... neppure alla critica! ma solo al mercato - a cui la critica sembra aver ceduto la prima e l’ultima parola sulle questioni dell’arte. [gl.H]
Un saluto.
cr

Note
1 -  Riportato in Flash Art,  n.203.maggio 1997.
2 -  Il "grido" di Brener non è certamente l'urlo esistenziale di Munch, e neppure il vomito o il cagarsi nelle brache (cui si è fatto riferimento a tal proposito); tutte manifestazioni patologiche... ma, dopo tutto 'st'idealismo, almeno corporali.
3 - D'altronde  non stiamo  forse vivendo all'insegna di "quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare", di indubbia paternità demo-neo-liberista?
4 - Ossia le messe in opera delle strategie difensive dei perdenti "di coloro che parlano contro perché non sono riusciti ad attirare e capitalizzare l'attenzione degli altri".
5 - Destituite l'oggetto prodotto dalla sua propria concretezza materiale e in mano non vi rimarrà altro che un processo lavorativo in astratto . L'occultamento o l'accantonamento dell'habeas corpus da parte degli inquirenti, dimostra sempre che in realtà si intende istruire soltanto un processo alle opinioni.
6 - Seppure il nostro ragionamento ci condurrà verso un'opera che il suo stesso autore non riconoscerebbe, ciò non dovrebbe meravigliare o scandalizzare nessuno. Un'opera d'arte incapace di emanciparsi e di muoversi sulle proprie gambe farebbe la stessa figura di un qualsiasi ciocco di legno nella cucina di Geppetto. Forse alla fine Brener non risulterà altro che un pretesto; ma pur sempre un pretesto con dei meriti -almeno per gli Uffici. Nel film "Il postino", Troisi/Ruoppolo corregge così Noiret/Neruda: "No. La poesia non è di chi la fa ma di chi gli serve". Per altro, non possiamo avere noi dei riguardi proprio nei confronti di chi ha compiuto un gesto così irriguardoso.
7 - Certamente in questo caso facendo ricorso ad una forma storico-economica ancora elementare e data in una guisa statica. Non è però affatto da ritenere "semplice" aver sovrapposto in maniera così perentoria queste due forme elementari dell'arte e dell'economia.
8  - ( ...il sogno suprematista di... )
9 - "Tutta la vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che inducono la teoria verso il misticismo, trovano la loro soluzione razionale nella praxis umana e nel capire (Begrifen) questa praxis" (Karl Marx, Appunti su Feuerbach).
10 - Ancora una volta per liberarsi dalla peste tebana occorre sciogliere l'enigma con la solita risposta (banale!) di un Edipo capace di riconoscere, nelle figure dissimulate dal rebus mortale, la propria viva immagine, e poter infine rispondere in favore dell'uomo.
11 - Ricordiamo vagamente questa definizione da un articoletto di Achille Bonito Oliva di parecchi anni fa.
12 - Che si vuole annettere al solo ramo produttivo attualmente in via di espansione: quello dell'intrattenimento e dello svago.
13 - Flash Art n.204, luglio 1997.
14 - Cfr. Progetto di alimentazione 1973, Reificazioni 1975, L'azzardo omologetico 1975, Abaco... 1978.
15 - Questo andava detto non per ridimensionare o sminuire il lavoro di Brener, ma per chiederci se i nipotini (e siano pure degli adulti Duchamp) delle vecchie e navigate democrazie occidentali, avvezzati alla genuflessione secolare, sarebbero capaci di superare l'impotenza ossequiosa che sempre li coglie davanti ai feticci culturali consolidati dall'unanimismo (sempre sospetto). E siamo d'accordo con te che Marcel avrebbe messo senz'altro i baffi sull'opera originale, e certo a questo mirava. Ma la "forma" del suo gesto, anche fosse stata effettivamente applicata sull'originale, non sarebbe andata oltre l'ironia irriverente del cinismo dada, consistendo essenzialmente nel trasferire dentro al "tempio" il più tipico sberleffo che la città automaticamente regala ad ogni volto appeso sui muri stradali.
16 - Aut.Trib.17139 n.7 1983
17 - Quanto è intercorso tra questi due momenti viene così relegato tra i fasti estenuanti ed estenuati del formalismo normalizzatore che si ritrae su fasi anteriori, lavorando solo sulle infinite (perchè inessenziali) varianti che non producono altro che materiali per i depositi artistici.
18 - Negli anni settanta Franco Falasca proponeva ripetutamente lo slogan "Basta con la civiltà confidenziale". Qualche decennio dopo stiamo assistendo proprio al trionfo di questo tipo di civiltà; con uomini politici di primissimo piano che giurano sulla testa dei loro figli o che si fanno sorprendere dalle telecamere davanti ai fornelli mentre preparano la minestroccola per gli amici. In questo clima del vivere alla mano, come può l'arte evitare il contagio confidenziale?
19 - Flash-Art n.201 e 203.
20 - A proposito di un luogo comune che indica nell'estremismo una malattia infantile, possiamo annotare che sono sempre meglio le malattie infantili, le quali hanno a che fare con problemi di sviluppo e di crescita, piuttosto che le malattie senili, le quali hanno sempre a che fare con problemi di declino e di morte.
21 - Il commercio le corromperebbe, allora, proprio per il fatto di non lasciarle morire in pace.
22 - Subito dopo la sconfitta della Comune la Colonna è stata  riedificata con i soldi ricavati dalla vendita dei quadri confiscati all'artista mentre era costretto all'esilio.
23 - Da L'Hèrèsiarque et C.ie di Guillaume Apollinaire

GLOSSE MARGINALI

A – Il Denaro intanto si realizza e valorizza in quanto tale in quanto opera una derealizzazione e svalutazione del mondo concreto, che di contro si trasforma, breviter, in mondo simbolico.
Per questo la recente idea di realtà virtuale è già contenuta nell’idea stessa di denaro, nel quale è ravvisabile il suo modello segreto (già installato nella praxis quotidiana, dove, potentemente attivo e operante, trasforma tuttavia continuamente sé stesso in realtà senz’altro – in ciò afferma e dimostra la sua superiorità mentre si dà quale soluzione del paradosso di “realtà virtuale” dissolvendo concretamente l’antinomia dei due termini).
Neppure è un caso che non prima dello sviluppo ecumenico (finanziario e scientifico) del denaro in Capitale, quest’idea della possibilità di un intero mondo virtuale abbia trovato anche le condizioni materiali per attuarsi e divenire azione pratica.
La realtà virtuale rimane un modo ancora mistico contro un modo effettivo da parte del denaro di appropriarsi il mondo (in ciò consiste il primato e la superiorità di quest’ultimo); ma un tal modo di appropriarsene concretamente consente e facilita l’eventualità di esercitare (su questa forma concreta e globale dei rapporti sociali cristallizzati) una azione storica pratica su di un mondo che solo attualmente possiamo tenere in mano – come un pugno di mosche o come una cosa concreta: dipende! 
Il Capitale, concentrata ricchezza sociale e forma superiore del denaro, è appunto lì per essere negato (come continuamente è negato il denaro nel ciclo degli scambi) e garantirci un ritorno immediato al mondo fisico – “ritorni” improvvisi verso fasi primitive, magari, ma che anticipano poderosi balzi verso fasi superiori (teoria delle catastrofi).
Da ricordare: – Il denaro per svilupparsi come Capitale ha dovuto prima modificare il lavoro generico in lavoro salariato – Tempo di lavoro socialmente utile per produrre una determinata merce – Solo attraverso il tempo di lavoro si possono commisurare i diversi valori d’uso incorporati nella merce – Lo scambio mercantile è sempre scambio tra equivalenti – Il Capitale è lavoro morto contro lavoro vivo – Il Denaro è la misura di tale lavoro, e in generale è la cristallizzazione dei rapporti sociali ecc. 

B – Il mondo delle merci non prevede (e neppure consente) che il desiderio si fissi definitivamente in un oggetto particolarmente determinato, nel quale potrebbe così dissolversi e venire espulso definitivamente | conseguenze: indifferenza sociale diffusa (nei confronti dei processi produttivi e dei prodotti medesimi) e atteggiamento “blasè” – sistema della moda ecc.|
Nella circolazione delle merci, queste entrano ed escono dal mercato; e appunto vi entrano per uscirne definitivamente con il consumo del loro valore d’uso. Ciò che invece rimane e permane nel mercato senza mai uscirne è il Denaro: unica forma immanente, e dunque la sola degna di “devotione”, differisce incessantemente il godimento per tenere acceso il desiderio e garantire la circolazione, sempre inappagata, delle merci e di sé stesso quale merce eccellente.
Il $ sul Malevič rende visibile la cerniera gordiana che opera le metamorfosi (nel processo Oggetto/Merce - Denaro/Suprematismo) consentendo sempre, però, di ritrovare il valore d’uso del mondo nell’inversione del senso di marcia, altrimenti orientato verso le dissipazioni finanziarie (dalla circolazione delle merci alla circolazione del denaro come formazione del capitale – dalla rappresentazione dei referenti alla rappresentazione in quanto referente come "mera superficie". – “Croce bianca su fondo bianco”: ci troviamo di fronte ad un caso di "mera superficie come supporto" – allora, come un lapsus pittorico, il $ mette alla prova precisamente l’estrema qualità generica del "supporto" quale presidio a salvaguardia della realtà e della pittura; e ancora: della realtà della pittura. E’ la pittura che cerca di afferrare per la coda la realtà, tutta incorporata, oramai, in questo emblema.
Quando sul quadro non c’è più nulla (o ben poco) da vedere, la "mera superficie" rimane lì per esortarci a volgere lo sguardo (e la praxis) fuori dalle pornografie delle rappresentazioni (sempre virtuali); e lei stessa è disposta ad accompagnarci nel giro nella sua specie di "schermo" (cfr. il punto 38h in La mera superficie).

C – La verifica sperimentale, sempre richiesta dal metodo dialettico, la affidiamo provvisoriamente a queste medesime considerazioni; che intanto ci hanno portato oltre l’opera pittorica, tuttora intesa come uno specchio magrittiano che, incapace di superare la tautologia, spinge inutilmente in avanti lo sguardo del terzo escluso, senza mostrargli mai l’oggetto che, realiter, ha mosso il suo desiderio per mantenerlo sempre sotto scacco.
Qui, invece, l’opera – per come l’abbiamo configurata – sembra offrirci proprio una delle visioni dell’altra faccia (nascosta, perchè anche lei è rivolta in avanti, ma per cercarci; per questo infine può anche trovarci e riconoscerci, fuori dalla superficie, come persone del tutto reali).
Così la nostra perplessità (estetica/estatica) inciampa davanti allo skandalon di farci vedere (tolte travi e pagliuzze) esattamente quello che ci si aspetta di vedere. Inciampa, e magari si spoetizza pure, ma non svanisce ancora del tutto perché il desiderio viene rilanciato soprattutto dalle poste troppo alte – che non spetta neppure più al singolo giocare. Ripetiamo: è questa sfrontata evidenza che dà la nausea alla nostra delicata coscienza?

D – L’opera d’arte che “ostacola” la propria riproducibilità (meccanica) si afferma come unicità e “costringe” a fare  i conti con l’originale – Impedisce le sostituzioni metaforiche, resiste alla pratica sacrificale del capro espiatorio semantico – vorrebbe interrompere la catena dei misconoscimenti dei referenti radicati nel mondo, per reclamarne una presa diretta, immediata e concreta. C’è proprio da  stupirsi se qualcuno raccoglie infine questa intima esigenza dell’opera e la svolge concretamente?
- Dalla Gioconda di Duchamp al Malevič di Brener; ossia dalla benjaminiana Opera d’Arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (relativa), all’Opera d’Arte non riproducibile nell’epoca della sua riproducibilità allargata (assoluta).
La prima fase (meccanica) ha stimolato la manipolazione della riproduzione dell’originale, perché la riproduzione si presentava lei stessa quale originale; nella seconda fase (accelerata), la riottosità dell’opera a rappresentare alcunché, provoca e instaura la crisi che fa coincidere esattamente la riproduzione con l’originale (anticipandolo, a volte). Così l’unica manipolazione consentita non può che ricadere sull’originale stesso.

E – Ci consentirebbe, tra l’altro, anche di interrogarci – e forse aiutarci nel comprendere – su come il semplice presentarsi di alcuni problemi iconografici ad una certa fase storica (e non prima) debba esigere una risposta che sia storicamente determinata, evitando di affidarla ad una metastorica personalità, più o meno geniale, sempre suscettibile di presentarsi capricciosamente in un qualunque momento dello sviluppo storico.
A Tiziano, che si vantava di non aver mai neppure iniziato a dipingere un quadro per proprio piacere ma solo per denaro, la sua epoca non gli avrebbe mai potuto consentire di porre questa medesima considerazione al centro della sua ispirazione per farne il soggetto di una propria "opera". 

F – Se Marcel intendeva mettere i baffi all’originale attraverso il suo “doppio”, ci sarebbe da chiedersi a cosa intendeva “mettere i baffi” Brener attraverso l’originale Malevič; ossia, quale potrebbe essere il “doppio” dell’originale che si intendeva prendere di mira? (Potrebbe trattarsi il tutto in un capitolo dal titolo “L’originale e i suoi doppi”). 
Se Marcel ha differito il gesto dall’opera originale alla riproduzione quale “doppio successivo” dell’originale, Brener - che agisce su un originale - deve aver differito il proprio gesto da un “doppio precedente” l’opera originale stessa. Si risalirebbe allora ad un “doppio originale”; origine stessa di ogni e di tutti gli originali, che Brener è condannato a mostrarci praticamente, ossia artisticamente. E in tale mostrare indica nel denaro il “doppio” di cui occorre liberarsi per poter finalmente guardare (non “ancora una volta” ma per la prima volta) l’opera originale senz’altro.
E qui non si tratta del “restauro” – che in ogni caso già costringe a rimuovere proprio il simbolo del denaro - bensì di un’azione storica anch’essa del tutto originale capace di rompere i vincoli dei “doppi” di ogni genere per un intero mondo immediatamente fatto soltanto di originali. 

G - Attenzione, quindi, ché anche chiamare in causa un presunto “valore aggiunto” (sic!) al Malevič dal “lavoro aggiunto” di Brener, parteciperebbe a questo banchetto da zombie (certo di ciò la difesa potrebbe anche giovarsene). Ma anche: Brener e il Malevič stesso, potrebbero svolgere dei ruoli da pharmacon, di capri espiatori da sacrificare affinchè si possa riavviare (e rivitalizzare) il ciclo delle sacralizzazioni vittimarie dell’opera d’arte in generale.
E anche questo giova. Così, dopo la “morte dell’arte”, è possibile reimpiegare il lazzaro nell’unico ramo produttivo che, nella fase post-spettacolare,  si prospetta in via di inarrestabile espansione: quello dell’intrattenimento e dello svago. 

H – Dopo la sottomissione formale si deve riscontrare anche la sottomissione reale dell’arte e della sua critica all’intimo modo capitalistico di produrre (nel senso che fin dall’inizio il modo capitalistico si incorpora e ispira i vari momenti della produzione artistica) – beninteso sempre per quanto è consentito dalla naturale ostilità di questa organizzazione economica verso tutte quelle particolari produzioni già pienamente sviluppate in epoche che precedono di molto il suo primo apparire, e che per questo se le ritrova tra i piedi e spesso lo imbarazzano (come nel nostro caso), però mai abbastanza, mai in modo definitivo.


Sezione 6
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