t e s t i
Archivio (comunque indiziario) dell'Ufficio Tecnico (per l'Immaginazione preventiva)

Carmelo Romeo L. - La Superficie In Pittura [ Brani da 41.0 a 42.1] - Brani sparsi, editi e inediti, appunti, diagrammi e iconografie di un lavoro iniziato nel 1972 attorno alla mera superficie, il supporto, lo schermo e...altro.

LA SUPERFICIE IN PITTURA

6
LA MERA SUPERFICIE COME SCHERMO
Scoli sullo schermo
Interludio


41.0 - Da un punto di vista espositivo vi è una strada più chiara di quella (impressionista?) di Swan, che conduce la pittura (giunta al punto limite della mera superficie)  a risolversi come "schermo".
È quella che tira dritta, ed evitando la mossa verso l'identificazione (cfr.16) ,  raggiunge lo "schermo" direttamente dal movimento di "separazione" (cfr.13).
Vi si perviene attraverso un procedere empirico, che prende le mosse appena dopo che la figura e lo sfondo si sono separate una dall'altra, per diventare un fantasma la prima e, appunto, uno "schermo" il secondo. Fantasma e schermo che uno verso l'altro e uno contro l'altro si cercano - e in questo manifestano la loro ostilità che li rende propriamente "ospiti".
Lo "schermo" raggiunto dal movimento di separazione, privato del rigore del passaggio chiasmatico identificativo, consente ora anche l'esercizio delle mosse patetiche per la fissazione della figura; dunque rende questo tipo di "schermo" sempre suscettibile di una sua riconversione in "supporto"; e ancora permette di spingerlo nelle braccia del "motivo" per precipitarlo nuovamente nella rappresentazione.
Alla luce di questo, è del tutto ovvio come non sia indifferente in pittura raggiungere le varie attualizzazioni della "mera superficie" percorrendo strade diverse, che però tutte prevedono e impongono il passaggio per il limite.
I vari modi e modalità di risolvere il passaggio sono le variabili determinanti che consentono, persino allo "schermo", di manifestare il silenzio della pittura in modo altrettanto determinato.
Come il rumore fossile del Big-Bang si mantiene nell'universo, il rumore delle separazioni avvenute nella pittura si mantiene impastato nel fondo della "mera superficie".
È il particolarissimo modo di ritenzione dell'artista di questo silenzio della pittura che consente a tale silenzio di manifestarsi come sonoro silenzio dell'opera determinata. 
Lacerazioni: - Il suono del flauto nelle cerimonie sufi è l'espressione simbolica di una malinconia, di una nostalgia di quando era ancora una canna confusa tra le altre nel canneto: prima della separazione, prima dell'elezione, prima della sua particolarità….allora l'espressione individuale è quella di un dolore, l'individualismo una patologia. 

41.1 - Può anche avvenire che esercitando una mossa cinica sul "motivo" o sul "supporto", si possa pervenire ugualmente allo "schermo". 
Vedi ad esempio la "tabula rasa" del Caravaggio descritto da Longhi:
"…La sua (del Caravaggio) deferenza al vero poté anzi dapprima confermarlo nella ingenua credenza che fosse "l'occhio della camera" a guardare per lui e a suggerirgli tutto…e ciò che più lo sorprese fu di accorgersi che allo specchio non è punto indispensabile la figura umana; se, uscita questa dal campo, esso seguita a rispecchiare il pavimento inclinato, l'ombra sul muro, il nastro lasciato a terra. Che cosa potesse conseguire a questa risoluzione di procedere per specchiatura diretta della realtà, non è difficile intendere. Ne conseguiva la tabula rasa del costume pittorico del tempo che…aveva elaborato una partizione del rappresentabile ".
E ancora:
"Uscito che sia il Bacco dal vano colmo dello specchio, vi restano ancora il vassoio di frutta, il nastro dimenticato; receduto il suonatore o il commensale dal tavolo, vi rimangono ancora lo strumento di bellezza 'indecifrata', o il 'pospasto' non consumato: la caraffa smezzata, l'anguria e il melone affettati, la mela intatta e la pera mèzza, le mosche che saltano sulla propria ombra". (Roberto Longhi, "Caravaggio", Editori Riuniti, Roma) 
Dunque già in Caravaggio la superficie aveva avviato un movimento proprio: lo specchio aveva iniziato a muoversi indipendentemente da ogni figura che lo fissava, verso una propria emancipazione che emanciperà infine lo sguardo stesso da tutti gli oggetti del mondo, non escluso quello rivolto alla pittura medesima.
Allo sguardo in quanto tale sono indifferenti gli oggetti …….

Resterebbe magari da chiarire come si è concretamente svolto e portato a compimento - nel periodo industriale e capitalistico - quel movimento iniziato dallo specchio caravaggesco; ossia, quali sono stati i procedimenti materiali messi in gioco per completare le separazioni e renderle del tutto concrete e possibili - benché infine, come paradigmi interiorizzati, attivano quelle procedure pittoriche che sopprimono il dato certo per negligere e cancellare i nessi che legano la sensibilità estetica di un'epoca alla vita materiale, immediata e storica. 

41.2 -  Benché la pittura non abbia paura della vastità, non può spingersi oltre lo "schermo", limite del proprio limite, pupilla e sguardo vuoto sul territorio della non-pittura. 
Lo "schermo" tiene la pittura per i capelli: sospesa sopra il baratro nel quale si smarrirebbe tra tutti gli oggetti del mondo.
Con lo "schermo" la discesa di Orfeo si è spinta troppo avanti, e l'unico piacere di cui ancora può godere è lo starsene proprio lì, sul ciglio, a riguardare nell'invisibile la terra fertile della Pittura che si è lasciata alle spalle.
La forza di andare di Mosè era riposta tutta nell'interdizione ad entrare in Canaan; la gloria del suo destino è tutta nel deserto. - Lo stare di Orfeo ospite tranquillo di Euridice - poiché finalmente adesso sa che ogni ritorno è pericolosamente esposto alla lagna delle ripetizioni.

Lo "schermo" dunque è la forma più compiuta e raggiunta della genealogia della "mera superficie".

Ma un passo è ancora possibile; purché abbia il carattere di un passo in avanti, oltre la soglia della "mera superficie", oltre il sacrificio, ora che la Pittura non può che attingere fuori da sé stessa la propria estrema esigenza. Così quello che avviene dopo può accadere solo fuori dalla "mera superficie", fuori dal quadro e anche dallo "schermo": ché già è la pittura che si dispone ad essere preda del mondo .
Allora si compie il triplo salto mortale; e la solita scommessa è di cadere in piedi, finalmente nel mondo della realtà fisica e sofferente.
Come dire, infine?
per la Pittura è stato fatto tutto il possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore. (cfr.36.a)


SCOLI SULLO SCHERMO

41.a -  (Annunciazione) - La pittura ha potuto raggiungere questa sua particolare (cruciale e miliare) soluzione soltanto carpendola al di fuori del suo corpo ormai stremato e quieto.
L'annunciazione doveva provenire da un messo angelico inviato da un altro luogo; la soluzione rivelata da una nuova e ancora innocente rappresentabilità che era riuscita a sincronizzare le diverse categorie condivise con la Pittura: la luce e il colore, l'immagine e la superficie e lo spazio, tutte impastate con il tempo, e nell'istante offerte all'occhio e allo sguardo.
Così la pittura sorprende, nello sfarfallio cinematografico, la possibilità di un proprio rinnovato palpito.
(una mossa patetica che proviene da situazioni precedenti e progressive)

41.b - L'esperienza cinematografica è propriamente esperienza di incessanti congiunzioni e separazioni (clivaggi?) delle immagini con il piano di proiezione (cfr.38); dalle sue modalità circostanziali la Pittura trae ispirazione, conforto sperimentale e legittimità procedurale per i sui passaggi che la stanno conducendo verso il limite tendente alla "mera superficie". 
(E qui forse risiedono i paradigmi dei paraenigmi di "questo" testo) 

41.c - (Riproduzioni) Si raccolgono sempre più prove in favore del sentimento del selvaggio (ma anche di Poe e di Wilde) che l'immagine tolga l'anima alle cose riprodotte.
Ora la velocizzazione di questa riproduzione può risucchiare via l'intera anima del mondo reale per lasciarlo vuoto come una lapide piatta.
L'obiettivo fotografico, cinematografico, elettronico, risucchia come in un vortice di Maelstrom persino lo spazio tra le cose, gli toglie l'aria, il respiro; toglie il vuoto e le toglie dal vuoto per rinchiuderle nella compattezza fotogrammetrica e farne ciò che ne vuole.
E l'obiettivo applicato alla Pittura la prosciuga dall'immagine, dalla figura, per lasciare il quadro sotto un vuoto pneumatico che - come per la presenza di un gas illuminante - lo rischiara di un'ultima, estenuata ed estenuante, aura da opera d'arte.
Allora: come la riproduzione meccanica del mondo reale, togliendo il vuoto, rende visibile la struttura dell'oggetto, ma così facendo lo priva di ogni uso, così la riproduzione meccanica della Pittura togliendo il pieno ne rende concreta la struttura e ne consente l'uso. (cfr. 35.g, 37.e) 

41.d - (Cine) - Nella riproduzione filmica il fascio luminoso che parte dalla postazione del proiettore svela, come in un diagramma delucidante, la meccanica stessa del fenomeno che si realizza e mentre si realizza, e mantiene separati (distanti) e del tutto concreti gli elementi in gioco (il testo della pellicola, l'apparecchiatura di proiezione, lo schermo nel buio della sala).
Nella sala cinematografica l'interposizione - sempre possibile - dello spettatore con il fascio luminoso, rivela immediatamente la concretezza dello spettatore stesso, la sua materialità e fisicità, la sua esistenza e sussistenza in uno spazio diverso da quello filmico e tuttavia incidente sulla realtà della riproduzione cinematografica: basta alzare una mano per accertarsi che si è appunto lì con la propria opaca fisicità, e scombinare con la propria importuna ombra il travisamento luminescente dello schermo! 

(TV) - Nella riproduzione televisiva la fonte del segnale coincide con lo schermo che si fa lui stesso luminoso. Il coincidere di quanto era distinto (nella sala dell'esperienza filmica) in un unico punto che è testo, apparecchiatura e schermo, inverte e confonde l'ordine cinematografico per proiettare ora il fascio luminoso (privo però di immagini) sulla realtà circonvicina e imprimersi nella vita quotidiana. E questo è il suo lavoro: trasformare la realtà fisica in immagine (laddove il film e/o la fotografia trasformano l'immagine in una ulteriore realtà fisica, ovvero non modificano la materia che trattano). Qui il testo che scorre nello schermo tv prende adesso a illuminare la realtà di chi ne sta facendo esperienza per sottomettersela quale cosa propria, segnata: a questo è valso il capovolgimento della lanterna magica. L'apparecchio televisivo illumina lo spettatore di fronte per abbacinarlo, proiettandone l'ombra alle spalle, fuori dalla portata del suo sguardo diretto.
Ora l'ombra, la prova della propria tangibilità corporale, dell'atto gratuito dell'interferenza e del proprio marchio fugace sullo schermo cinematografico, è fuori dal suo controllo. Le immagini televisive non vengono mai disturbate e possono proclamare il loro primato sulla materia mentre il corpo del riguardante si fa evanescente e virtuale, indifferente. L'attività luminosa del video si estende nella circostante quotidianità, sulle opere e i giorni, per divenire attività numinosa.
(Il segnale del cinema proviene dalle spalle, da dietro, come lavoro trascorso, come passato; quello televisivo proviene dal davanti, ossia dall'adesso - è lo stato attuale delle cose; ed essendo sempre in presa diretta, ha un presa diretta sull'esperienza e la comprensibilità del quotidiano, allora del futuro - sorge da diversi passai avanti rispetto al riguardante,  e lo compromette.) 

41.e - La proiezione cinematografica può essere còlta come un modello elementare e metaforico dell'esperienza e della produzione estetica (nella esemplificazione evolutiva della Pittura)
I termini di questa metafora sarebbero il proiettore, lo schermo, il fascio di luce (come rapporto che lega il produttore di luce al suo proprio opaco oggetto attualizzato); lo schermo è il campo di attualizzazione con il quale si opera n sezionamento del rapporto (del fascio di luce proiettato) e dal quale ne consegue una immagine proiettata piana.
L'apparecchiatura cinematografica, quale apparato biologico del pittore (nel quale la memoria-conoscenza è il film, ossia il privato, e il provato) non è nulla senza lo schermo che ne converte l'egoismo.
Ripartizione trinaria: 
Macchina motoria lucente - schermo immobile opaco - fascio luminoso fantasmatico dell'apparato.
È lo schermo sul quale avviene la sezione e proiezione del fascio luminoso, che consente di trasformare ogni potenzialità dell'intero apparato nell'attualità delle sensibilità visive.
Lo schermo è l'umano (il sociale) e come tale può anche prendere a circolare liberamente tra gli uomini come una offerta, e come un'offerta aprirsi: egli è il figlio da sacrificare per attenuare o redimere una colpa originaria (il conflitto tra individuo e società - limitazioni - flauto sufi - ribellione al padre - l'immagine rinnova il atto delle sostituzioni, dei capri espiatori, di Abramo e dei suoi figli).
Lo schermo è fisicità di contro al film, emblema del pensiero e del pensabile, che però solo tramite lo schermo può farsi pensiero pensato, sottratto al buio nell'istante di frenata della velocità della luce. 

41.f - È dunque attraverso l'esperienza cinematografica che la pittura prende atto che si può consumare realmente un divorzio definitivo tra la superficie e l'immagine.
Per condurre a compimento tale separazione (clivaggio, sfaldatura) occorreva prima  dimostrare la possibilità sperimentale e cogliere l'immagine, il fondo e la superficie come cose separabili; soltanto in seguito queste possono iniziare ad allontanarsi l'uno dall'altro per inseguire il proprio destino.
Così, trovata infine (concretamente) la mera superficie come "schermo" (ospite) questa si pone adesso come l'ultima e la prima risorsa della pittura. Da adesso in poi anche l'immagine avrà una propria vita, incistata nel fascio luminoso solo l'incidete e il caso ce la potrà rivelare.
(così sembra trovare anche forma concreta, storica e tecnologica, la definizione data da L.B. Alberti alla pittura come intersezione della piramide visiva) 


INTERLUDIO

42.0 - Mi rendo conto di aver parlato della pittura come se fosse sottratta all'azione degli uomini, degli artisti; quasi procedesse attraverso autonome azioni, intraprese nonostante il pittore; come posta con un propria vita all'interno del sistema dell'arte nel quale va cercando un propria dove collocarsi come un feticcio assoluto. Non si creda che si voglia minimizzare o annullare il ruolo dell'artista con un'azione di materialismo grossolano che affiderebbe tutto a delle forze sociali, ossia culturali, che procedono o procederebbero attraverso passaggi obbligati quanto deterministici. D'altronde soltanto se prende a camminare con le proprie gambe l'opera raggiunge l'arte. Ma l'opera può camminare soltanto se è compitamente svolta; e per compiutamente svolgersi deve anche liberarsi dalle illusioni dell'autore, che vorrebbe tenerla presso di sé sistemata in casa. *
Magari l'opera invece gli si ribella, proprio come in Pinocchio, per andarsene per il mondo - anche se poi finisce nel ventre buio della balena: sempre meglio che nel ventre peloso del collezionista.

* - "La critica fondata sul culto della personalità è fragile…Personalmente, credo che nell’opera d'arte ci sia qualcosa di più obiettivo, che può essere oggetto di scienza. La storia è fatta di avvenimenti e non di intenzioni; la storia dell'arte è storia delle opere e nn degli uomini". Pierre Francastel, Lo spazio figurativo dal Rinascimento al Cubismo (1951), Giulio Einaudi Editore, Torino 1957, pag. 115.

42.1 - Nella serie delle reciproche emancipazioni dell'opera, e allora dell'artista (poiché l'opera liberandosi dell'artista libera l'artista dall'arte, il pittore dalla pittura, per riconsegnarlo all'uomo generico, ossia per porlo nuovamente in un momento germinale, sciogliendolo dalla dannazione dello stile)…Nella serie delle reciproche emancipazioni, dicevo, anche il Testo ("questo" testo) si emancipa dalla critica e dall'oggetto del quale inizialmente ha preso a trattare, per farsi una propria vita in quanto testo, in quanto scrittura. (cfr.41.b) 
Allora la critica d'arte (la critica della pittura) diventa l'arte della critica (la pittura della critica), diventa ermenautica.
E magari così la Pittura, come Pinocchio nel ventre buio della balena, trova pure il lumicino di una nuova categoria estetica generale, lo spiraglio per una diversa sensibilità che la faccia ritornare in superficie. 
Come lo schermo si è svincolato dall'apparecchiatura cinematografica, anche il parlare dello schermo in questo suo scivolare via, scivola esso stesso via dallo schermo: e come potrebbe altrimenti, trattando di una superficie ormai senza appigli?
Se col primo spostamento lo schermo si conosce in quanto schermo (come un Narciso cieco), la critica dello schermo (come ospite) trova la "mera superficie" in quanto tale (momento germinale del tutto materiale della pittura).
E poiché un Narciso cieco non è altri che un Tiresia veggente, la "mera superficie" - raggiunta dalla critica attraverso tale specifico percorso - è la condizione tragica dalla quale ripartire, o nella quale restare (dipende dal pittore), che però ormai necessita di una nuova definizione della pittura  (certamente per una determinata pittura - bisognerebbe infatti portare avanti e sviluppare l'analisi su altre linee della pittura contemporanea) con la quale si ritrova l'arte - la pittura - ma non è più quella di prima: neppure Raffaello si ritrova Raffaello dopo Malevic. 
 


Indice del testo
 Forniture Ufficio Tecnico
capitolo 7 

Home Page