NOTA ELEMENTARE SUGLI STUDENTI ED IL MARXISMO AUTENTICO DI SINISTRA
Questo è uno degli ultimi scritti di Amadeo Bordiga, già ritirato a Formia e malato, che venne letto nel corso della riunione generale tenuta a Torino all'inizio dell'aprile 1968 e quindi pubblicato nel giornale.


I movimenti degli studenti non possono presentare una storia o una tradizione storica.
Nell'epoca delle rivoluzioni borghesi liberali, repubblicane o soltanto costituzionali che fossero, i moti o gli organismi studenteschi non ebbero azioni o compiti autonomi. I gruppi di studenti del tempo si aggiogarono ai rivoluzionari borghesi, patrioti o carbonari, e talvolta, come per l'Italia a Curtatone e Montanara, combatterono nelle formazioni indipendentiste. In Francia, è certo che studenti dell'epoca figurarono tra gli assalitori della Bastiglia e tra i Sanculotti, nonché tra i soldati delle armate rivoluzionarie al comando dall'ex studente di scuola militare Napoleone Bonaparte. In questi casi e in altri simili, la sola classe autonoma, dirigente delle rivoluzioni ed aspirante al nuovo potere, era la grossa borghesia finanziaria e imprenditrice.
Propugnare in questo putrescente 1968 l'autonomia di un movimento studentesco non è che una prova ulteriore di quanto affondi nelle sabbie mobili del tradimento e della bestemmia il falso comunismo dei successori di Stalin, i quali, piombati ormai nei bassifondi del peggiore revisionismo socialdemocratico, adescati dalla prospettiva di una oscena manovra elettorale, si spingono ad enunciare la tesi sgangherata che gli studenti formino una classe sociale, e perfino considerano una sinistra estremista di questi moti incoerenti quella che si richiama alla Cina di Mao, ed assume, come formula teorica relativa allo stato, quella di « potere operaio».
Poiché i falsi comunisti di oggi, eredi di Stalin qui come a Budapest, Varsavia o Praga, millantano di rappresentare la classe operaia ed anche il centro di una balorda e repugnante unità organizzativa e parlamentare, noi, che siamo i soli rimasti fedeli alla dottrina originaria ed invariante del marxismo, abbiamo bene il diritto di considerare come degne del loro volto corneo e del corrispondente stomaco di struzzo l'impassibile deglutizione e digestione della tesi superbestiale che le bande di studenti, più o meno accese dagli ideali di saltare le lezioni, impiccare i professori e barare nei voti di esame, formino una classe sociale cui viene rivolta questa apostrofe ignominiosa: "Avanti ragazzi! Oggi tocca a voi, vi offriamo in vendita a prezzo vile, quotato in sterline o dollari ultrasvalutati, la primogenitura sempre da noi rivendicata del proletariato rosso, classe egemone della rivoluzione mondiale ".
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Il mercato o baratto è truffaldino proprio perché non sono una vera classe gli studenti universitari ed altri, né tutti gli strati che si affollano dietro di loro: intellettuali, come scrittori, artisti, istrioni di diversi tipi in cui si cristallizza la degenerazione di questa società borghese: imbrattacarte, imbrattatele, intona-rumori e urlatori arrochiti; mentre è una vera classe quella operaia che oggi una banda di lenoni denuda per prostituirla offrendola in mercato.
Secondo Marx, il proletariato è una classe non solo perché senza la sua opera lavorativa non è possibile la produzione di qualunque delle merci, la cui accolta forma l'enorme ricchezza della società capitalista, si tratti di beni di consumo o di beni strumentali, ma perché il proletariato oltre a produrre tutto, riproduce anche sé stesso, ossia realizza la produzione dei produttori. È in questo senso che Marx volle introdurre nella sua moderna dottrina, dopo quasi venti secoli, il termine classico con cui i romani antichi designavano i membri della plebe lavoratrice dei loro tempi: proletari.
A questo punto, volendo sviluppare il nostro confronto tra il fecondo proletariato che oggi si dovrebbe dimettere dalla storia e gli odierni studenti che tumultuano per prenderne il posto, si sarebbe spinti a fare una facile ironia, leggendo le notizie di stampa sulle collettività studentesche come i colleges americani o i campus francesi, ove il principale postulato rivoluzionario sembra essere la libertà sessuale.
Gli operai di ambo i sessi, possono, accoppiandosi, generare nuovi operai per le armate di lavoro dei secoli futuri, mentre finora non è automatico che gli studenti abbiano a generare studenti, anche presso quei popoli in cui ai nati degli operai e dei contadini è stata concessa la magnanima libertà di studiare.
Nulla le classi sterili possono chiedere alla storia; e la più solida Bastiglia contro cui sembrano essersi dovuti scagliare i giovani francesi sembra essere stato il muro di cinta che il ministero dell'istruzione aveva fatto erigere per tutelare il quartiere delle studentesse (vero moderno gineceo) dalle incursioni dei colleghi maschi, non certo sospinti dal dovere di dar vita a future generazioni studentesche, né convinti che il potere genetico fosse una parte della conquista del potere politico. Ma, se anche vogliamo prendere in considerazione le classi storiche che hanno preceduto la esosa borghesia capitalista, è facile vedere che, per la loro dinamica storica, il fattore genetico va sempre portato nel conto.
Nella società feudale, come è vero che le masse dei servi della gleba forniscono i progenitori dei servi della gleba dei tempi successivi, anche il privilegio dei loro sfruttatori, formanti l'aristocrazia feudale, si trasmette di padre in figlio.
Al vertice di quella società, anche per il monarca autocrate, vale nella sua massima espressione il principio ereditario. La storia ci ricorda che il signore feudale cerca, con il leggendario Jus primae noctis, diritto della prima notte, di disporre per i suoi piaceri personali anche delle figlie vergini dei suoi disgraziati servi.
Quando appare la moderna borghesia, Marx, oltre ad analizzarne la dinamica economica e sociale, ne stigmatizza il costume, già flagellato dalla sconfitta nobiltà feudale. I nuovi borghesi, pure ipocritamente seguitando a idealizzare la famiglia feudale e cattolica, non solo concupiscono le loro operaie e le figlie dei loro operai, ma, come testualmente dice il Manifesto, trovano il massimo gusto nel sedursi scambievolmente le loro stesse mogli.
Oggi, in questa società umana sempre più in dissolvenza, e soprattutto nella imbelle coscienza che ha di sé stessa, non vediamo solo teorie che erigono gli studenti a classe sociale, ma sentiamo perfino parlare di una lotta di generazioni, presentando la società come divisa in due schiere: gli adulti e i giovani. Applicando il nostro criterio genetico, possiamo ridere della folle immagine di una collettività in cui i vecchi si riproducono in vecchi, e i giovani in giovani, con sovvertimento totale di ogni criterio biologico, secondo cui, ovviamente, chi nasce prima genera prima e chi si avvia verso la finedella sua vita non è più capace di generare.
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Dalla fine della prima guerra, noi marxisti fautori della prima dottrina classista, ogni tanto dobbiamo insorgere perché ci vediamo fabbricare da qualcuno una classe artificiale che tende a collegarsi con le forme del potere. La modernissima America, gonfia dell'aver saputo fin dalla prima guerra mondiale sfruttare la ormai esangue Europa, in cui era storicamente venuto alla luce il potere dei capitalisti industriali, ci esibì il mito della tecnocrazia, in cui al vertice non erano più i ricchi o i padroni delle grandi officine, ma gli scienziati e i tecnici o capitecnici di ogni grado, che fino allora formavano solo uno strato di funzionari se non di bassi manutengoli dei primi.
Percorriamo di un balzo tutto l'intervallo storico tra la prima guerra e la prima rivoluzione operaia, e quello geografico tra l'estremo occidente e la grande Russia. In questa, era chiaro che una duplice rivoluzione di classe aveva lasciato ai piedi del proletariato trionfante così l'assolutismo zarista feudale come il capitalismo, che anche laggiù aveva tentato di prenderne il posto. Tuttavia, anche nel campo dei teorici marxisti – e alludiamo, come si capisce, al grandissimo Trotsky – sorsero dubbi sul manifestarsi del potere nella forma proletaria, e si descrisse un nuovo potere che potesse cadere nelle mani di una classe che non era né la borghesia né il proletariato, ma, ad una opposizione operaia e marxista russa, sembrava essere la burocrazia costituitasi all'ombra del nuovo stato.
La sinistra marxista, che non ci fermiamo a designare come italiana, pur fiancheggiando la generosa opposizione trotskista ad una effettiva malattia della dittatura comunista, che fu poco dopo lo stalinismo, negò recisamente che la burocrazia fosse una classe sociale e che potesse divenire soggetto di potere, e considerò artificiosa questa previsione che usciva dalla catena storica ortodossa e classica preconizzata da Marx. Nello scontro tra il potere di Stalin e la opposizione generosa di Trotsky e di tanti altri eroici nostri compagni, furono, purtroppo, questi a soccombere ad una forza preponderante, e da questo sinistro travaglio nacque il fallimento della grandiosa rivoluzione. Non è quindi un fatto nuovo che si debbano discutere, per negare loro i caratteri di classe, pretese nuove forme che vantano di aver allignato nel poderoso utero della storia, e che sono pseudo-classi; ieri la tecnocrazia o la burocrazia, oggi gli studenti o gli intellettuali, e quella che potremmo chiamare, forse ricordando Molotov, la deretanocrazia, tutte forme indistinte e annebbiate e che non costituiscono, come le vere classi, l'apparizione anticipata di un destino nuovo delle tormentate collettività umane.
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Ritornando per un momento al metodo cronologico, per sviluppare ancora, almeno per l'Italia, l'andamento dei rapporti tra gioventù studentesca e proletariato socialista, possiamo tornare ai ricordi del primo socialismo della fine Ottocento, in cui il partito italiano raccolse l'adesione del famoso scrittore Edmondo De Amicis, di cui il partito si dette a consegnare ai giovani il ben poco marxista e rivoluzionario scritto sulle " lotte civili ". De Amicis era un pacifista, aborriva dalla violenza non meno del morto ancora caldo Luther King e, alla sua mentalità piagnona e rugiadosa, corrispondevano in Inghilterra i Fabiani e in Francia i seguaci di Malon, cui Marx non risparmiò certo i suoi feroci strali. De Amicis, per giustificare il suo annacquatissimo socialismo, tentò anche in un capitolo di spiegare come poteva ai giovani l'economia marxista, ma non seppe che rinviare quelli di loro che ne avevano la fortuna a certi corsi delle università del tempo, affermando che vi avrebbero potuto trovare più ampi insegnamenti che nelle sue pagine di timido volgarizzatore.
In quel torno, la sola facoltà di legge comprendeva un corso di economia politica che, naturalmente, era svolto secondo direttive che Marx avrebbe chiamato di economia volgare e si fregiava dei nomi di Pantaleoni, Loria e poi Einaudi, con taluni dei quali lo stesso Engels ebbe a polemizzare. Evidentemente, per il buon De Amicis, socialista all'acqua di rose, rispetto al quale gli stessi Bissolati e Turati erano dei sovversivi pericolosi, già i pallidi corsi di economia universitaria contenevano troppa dottrina, ed egli non avrebbe saputo ricorrere a fonti più autorevoli.
Nel 1911, in Italia, fu celebrato il cinquantenario dell'unità nazionale attuata sotto la bandiera della monarchia sabauda. Il partito socialista, benché diretto in quel tempo da elementi di tutta destra, ebbe tuttavia il merito di invitare il proletariato a non considerare come proprie quelle manifestazioni che inneggiavano alla patria borghese, e in generale non vi inviò i propri rappresentanti.
Gli studenti italiani, invece, più o meno inquadrati dai loro stessi maestri e professori, furono in prima fila in quelle manifestazioni tricolori. Del resto, essi negli anni precedenti e fino al tragico 1898, avevano plaudito alle deformi imprese coloniali, contro cui invece il proletariato socialista seppe insorgere con moti coraggiosi anche di piazza. Nulla di comune ma solo termini di antitesi si pongono, a cavallo dei due secoli, fra studenti italiani e lavoratori italiani.
Il lettore che, beato lui, appartenga alla giovane generazione, non deve credere che, al principio di questo secolo già decrepito, non si facessero scioperi universitari. Le questioni sull'indirizzo della scuola vi erano anche allora, ed anzi erano più accese per la recente tradizione della lotta del nuovo stato laico contro l'antica dominatrice di tutta l'organizzazione scolastica, ossia la Chiesa. Mentre i lavoratori erano apertamente contro la Chiesa, pur non idealizzando la funzione di cultura del moderno Stato di classe, gli studenti andavano volgendo le spalle sempre più agli ambienti e agli istituti clericali e si orientavano verso gli atteggiamenti bloccardi e massonici di quella che allora si chiamava la sinistra popolare. In tutta Europa, per ogni buon borghese radicale di sinistra, era sacra una retorica frase del poeta Victor Hugo: "In ogni villaggio vi è una face accesa: il maestro, ed uno spegnitoio, il prete! ". Noi dobbiamo rimandare a pedate tra le braccia della borghesia maestri e preti.
In ogni agitazione studentesca, spesso si poteva vedere un giovane più o meno eloquente oratore sbracciarsi a gridare: "Abbasso i preti!" e così apostrofare i suoi ascoltatori: "Se siete monarchici, dovete odiare i preti che ancora sognano di togliervi Roma; se siete repubblicani, lo stesso; se siete radicali, anche dovete essere anticlericali. Ma siete forse socialisti? Ed anche voi dovete passare nella grande famiglia dei nemici dei preti ". Più tardi, verso il principio del secolo attuale, in Francia si svolse una grande lotta (ministero Combes) per espellere preti, frati e monache dalle ultime loro posizioni nelle scuole.
Al livello – come oggi si direbbe – della politica adulta, prevalse ben presto questo indirizzo laicizzante e massonico e di blocco delle sinistre popolari, che l'ala marxista e rivoluzionaria dei partiti proletari prese a combattere come gravissimo pericolo. Ci sembra chiara questa corrispondenza tra le irrequietezze delle studentesche e la ben nota metodologia massonica. La massoneria raggiungeva il suo fine di svirilizzare il movimento operaio col classico mezzo di promettere ai suoi affiliati, specie se molto giovani, una facile, luminosa e remunerativa carriera futura. I giovani sono stati sempre i primi a rispondere a un simile appello, e il fenomeno fu e resta di notevole portata.
Mezzo secolo fa, puzzava ancora la bocca di latte a quelli che si esaltavano nel sentire: "che carriera farai, quando sarai grande!" Oggi, anche i bebé conoscono il neologismo "sfondare".
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Contro le esitazioni colpevoli e deplorevoli della destra socialista che tendeva ad accettare gli inviti al blocco nel parlamento nazionale e nei corpi locali, si levò ben presto la sinistra marxista, che dichiarò incompatibile una politica di transazione fra partiti che si richiamavano a classi poste. Questo contrasto fu più netto in Italia che in altri paesi, e permise meglio che altrove la difesa del proletariato contro influenze ideologiche del radicalismo democratico borghese, che come tutti sanno, fu la causa prima del disastro internazionale dell'agosto 1914. In Italia, nella storica contesa tra neutralisti interventisti, gli studenti offrirono un ambiente favorevole al manovre dei fautori della guerra capitanati spesso dai loro stessi docenti che riecheggiavano le parole del famoso vate che aveva tuonato allo Scoglio di Quarto nel " maggio radioso ". In questi venti possiamo trovare le radici prime del tanto poi diffamato successivo ventennio fascista del nuovo bloccardismo che non prende più come testa di turco la nera sottana del prete ma la camicia nera dello squadrista. L'inganno non muta nel corso del storia e il pericolo è sempre stesso: rompere i confini tra le classi effettivamente antagoniste che sono sempre e dovunque la borghesia padronale ed il proletariato lavoratore.
In questo conflitto ormai quasi secolare, abbiamo sempre trovato portatrici della più sinistra insidia le classi fantasma, le false classi che si offrono, come oggi gli intellettuali, a fare da ruffiane e mezzane per eludere la linea inesorabile della storia che sarà risolta con la vittoria mondiale del proletariato giunto ovunque alla propria dittatura rivoluzionaria. 

Il Programma comunista

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ARCHIVIO BUNKER
Fonte: Il Programma comunista, n.8, 1-15 maggio 1968