LETTERA A LUCILIO
Lucio Anneo Seneca
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 6 dicembre 2012
UNA SETTIMANA DI BONTA'
6
pagina
Ottimo mio Lucilio,
mi è giunta la notizia che Pompei, la popolosa città della Campania, situata nel punto d'incontro delle coste di Sorrento e di Stabia da una parte e di quella di Ercolano dall'altra, che cingono con un ameno golfo quel tratto di mare che dal largo va a insinuarsi colà, è crollata in seguito a un terremoto che ha colpito anche tutta la zona adiaciente.
E ciò è avvenuto proprio d'inverno, in una stagione cioè che i nostri antenati assicuravano essere immune da tale flagello. Questo terremoto si è verificato il 5 di febbraio sotto il consolato di Regolo e di Virginio ed ha devastato con ingenti rovine la Campania, non mai al sicuro da tale flagello, ma da cui finora, tuttavia, era uscita tante volte indenne e solo con un po' di spavento.
E’ crollata infatti una parte della città di Ercolano e gli edifici rimasti in piedi sono pericolanti; a Nocera, sebbene non vi siano gravi distruzioni, tuttavia si lamentano dei danni; anche Napoli, lievemente colpita dal disastro, ha perduto molte case private, ma nessun edificio pubblico.
Alcune ville, sì, sono crollate; altre, qua e là, hanno avvertito la scossa, ma senza subirne danni. A ciò si aggiungano queste altre conseguenze: un gregge di numerosissime pecore morto asfissiato, statue rotte a metà, alcune persone, impazzite in seguito alla catastrofe e fuori di se, raminghe pei campi. Il piano dell'opera intrapresa e l'occasione che ora ci si offre c'impongono di discutere sulle cause di questi fatti.
Bisogna cercare parole di conforto per gli animi sconvolti e bisogna liberarli dal terrore.
Cosa infatti potrà ad  alcuno sembrare sufficientemente sicuro se il mondo stesso si muove e le sue parti, di cui nulla v'e di più solido, vacillano? Se l'unica cosa che in esso v'è d'immobile e fisso, sì da costituire il centro d'attrazione e il punto d'appoggio di tutte le cose, si mette a ondeggiare? Se la terra ha perduto la sua proprietà essenziale, la stabilità, in che cosa si acqueteranno i nostri timori? Quale riparo troveranno i nostri corpi, dove si rifugeranno nei momenti di terrore, se la paura nasce da ciò che sta sotto i nostri piedi e viene dalle viscere della terra? 
Quando le case scricchiolano e minacciano di crollare, si diffonde il panico. Allora ognuno fugge a precipizio, abbandona i suoi penati e si rifugia sulla pubblica via.
Ma quale scampo vediamo davanti a noi, quale aiuto, se il il mondo stesso minaccia di crollare, se questo stesso globo che ci protegge e ci sostiene, su cui poggiano le fondamenta delle città e che alcuni hanno definito "la base dell'universo'' si apre e sussulta?
Quando la paura ha perduto ogni possibilità di farti fuggire, cosa v'è che possa riuscirti, non dico di aiuto, ma di conforto? Quale rifugio v'è - dico io – abbastanza solido, quale rifugio stabile, per ripararvi gli altri e se stesso? 
Il nemico lo potrò tener lontano con le mura, e delle fortezze costruite su posizioni alte e scoscese tratterranno, per le difficoltà d'accesso, eserciti anche grandi.
Dalla tempesta ci ripara il porto. I tetti ci proteggono dalla violenza dei rovesci temporaleschi e dalla pioggia che viene giù senza fine. L'incendio, se tu fuggi, non può inseguirti; contro le minacce dei tuoni e del cielo ci possono preservare dimore sotterranee e grotte scavate in profondità, perché il fulmine del cielo non penetra nella terra e basta il più piccolo ostacolo a respingerlo.
In periodo di pestilenza puoi cambiare sede.
Nessun male è senza riparo. Giammai i fulmini hanno carbonizzato delle intere popolazioni, e l'atmosfera ammorbata ha vuotato, sì, delle città, ma non le ha mai distrutte.
Questa di cui ci occupiamo è invece una sciagura di vastissima portata, è un male inevitabile, implacabile, e causa di pubblica calamità.
Non distrugge, infatti, delle case soltanto, o delle famiglie o delle città isolate: travolge intere nazioni e regioni e ora le seppellisce tra le macerie, ora le ingoia in profonde voragini, e non lascia neppure delle tracce che attestino l'antica esistenza di ciò che non è più, ma al di sopra di città famosissime si distende la nuda terra, senza lasciar traccia del loro antico aspetto. Né mancano di quelli che temono maggiormente questo genere di morte per cui sprofondano insieme con le loro abitazioni e vengono rapiti ancor in vita al mondo dei vivi, quasi che il risultato ultimo di ogni genere di morte non sia sempre il medesimo.
Tra le altre prove che la natura ci dà della sua giustizia, questa ci offre come decisiva, che quando è venuto il momento di morire siamo tutti uguali.
Nulla importa perciò se mi uccida una sola pietra o se sia schiacciato da un’intera montagna; se sopra di me cada la mole di una sola casa e io spiri sotto il suo non considerevole ammasso polveroso o mi seppellisca l'intero globo terrestre; se io esali l'ultimo respiro alla luce del giorno o nell'immensa voragine della terra spalancata; se io venga trascinato da solo in quell'abisso o in compagnia d'interi popoli ingoiati con me.
Poco m'importa quanto grande sia il rumore fatto intorno alla mia morte: da per tutto essa è sempre la stessa.
Facciamoci perciò grande coraggio di fronte a una simile catastrofe che non può essere né evitata né prevista, e cessiamo di dare ascolto a costoro che han dato addio alla Campania e che dopo questo disastro sono da essa fuggiti dichiarando che mai più vi avrebbero rimesso piede. Chi infatti può garantir loro che questo o quel suolo poggi su fondamenta più sicure?
Tutte le parti del mondo sono soggette alla medesima sorte, e se ancora non hanno subito scosse sismiche, sono suscettibili di subirne.  Forse proprio quella zona in cui con più sicurezza vi siete fermati, questa notte o questo giorno, prima del calar della notte, metterà a soqquadro.
Come fai a sapere se non sia maggiore la sicurezza in quelle località in cui la fortuna ha gia consumato le sue forze e che nelle loro stesse rovine trovano un appoggio per l'avvenire? Noi infatti c'inganniamo, se crediamo che vi sia qualche parte del mondo esente e immune da questo pericolo. Tutte sono soggette alla medesima legge; niente la natura ha creato che possa rimanere immobile.
Tutte le cose cadono, alcune in un tempo, altre in un altro, e come nelle grandi città or questa or quella casa viene puntellata, così in questo mondo or questa or quella parte fa crepe.
Tiro fu un tempo tristemente celebre per le sue rovine; l'Asia Minore ha perduto d'un sol colpo dodici città; l'anno passato questo flagello, qualunque esso sia, che ora s'abbatte sulla Campania, devastò l'Acaia e la Macedonia: il destino fa il giro e ritorna da quelli che ha per lungo tempo risparmiato.
Alcune parti colpisce più raramente, altre più di frequente, ma non ne lascia nessuna immune ed indenne.
Non soltanto noi uomini, che siamo cosa di breve durata e caduca, ma le citta e le plaghe della terra e le spiagge e il mare stesso sono soggetti alla schiavitu del fato.
Noi invece facciamo assegnamento sulla durata dei beni della fortuna e crediamo che la felicità, che è la più incostante e la più passeggera delle cose umane, abbia solidità in qualche cosa e durata.  E a coloro che si ripromettono l’eternità di tutti i beni non viene in mente che non è stabile neppure il suolo su cui noi poggiamo.
Né infatti è un carattere difettoso della Campania o dell'Acaia, ma è proprio di ogni terreno, questo di mancare di coesione, di dissolversi per più di una causa, di rimanere in piedi nell'insieme, pur crollando nelle sue parti.
Ma che faccio io?
T'avevo promesso conforto contro alcuni pericoli, che sono rari, ed ecco invece che io ti annunzio motivi di timore da ogni parte. Io affermo che non esiste riposo eterno per nessuna di quelle cose che muoiono e danno la morte.  Ma proprio in questo io vedo un motivo di conforto, e invero efficacissimo, perché temere cose per cui non c'e rimedio è proprio degli stolti.
La ragione dissipa il terrore dalla mente dei saggi: per i non saggi una grande tranquillità deriva dall’impossibilità di sperare.
Pensa pertanto che possano applicarsi al genere umano quelle parole rivolte ad alcuni combattenti rimasti improvvisamente prigionieri con loro sorpresa fra l'incendio e il nemico: "L'unica salvezza pei vinti è nel disperare della salvezza''.
Se voi non volete aver paura di niente, pensate che di tutto bisogna avere paura.
Guardate intorno a voi per quali banali motivi si muore: mangiare, bere, vegliare, dormire, se si passano certi limiti, non ci fanno più bene.
Voi allora comprenderete che noi siamo dei balocchi in mano della fortuna, dei poveri piccoli esseri inconsistenti, passeggeri, soggetti ad andar distrutti senza grande sforzo.
Senza dubbio il più grande pericolo per noi è il terremoto, che la terra d'improvviso si apra e faccia crollare tutto ciò che è posto su di essa.
Ha un gran concetto di se chi ha paura dei fulmini, del terremoto, delle voragini della terra: non vorrà egli acquistar consapevolezza della sua fragilità ed aver paura di un semplice raffreddore?  Naturalmente noi siamo nati così, noi abbiamo avuto in sorte membra così vigorose, siamo cresciuti sino a raggiungere questa corporatura. E per questo, se non ci fosse il terremoto, se il cielo non lanciasse la folgore, se la terra non si profondasse, noi non potremmo perire?
Ma se basta un male a un'unghia, e neppure a un'unghia intera, ma una feritina su un lato di un unghia, per farci morire!
E io dovrei aver paura del terremoto, se un po' di catarro è sufficiente a soffocarmi? 
E io dovrei aver paura di vedere il mare uscire dal suo letto e dovrei temere che la marea con un flusso più forte del solito si rovesci sulla terra trascinando una maggiore massa d'acqua, quando alcuni sono rimasti soffocati da un po' di bevanda andata per traverso?
Quanto è stolto aver paura del mare, quando sai che tu puoi morire per una sola goccia d'acqua. Nessun maggior conforto per la morte v'è che la nostra stessa mortalità, nessun maggior conforto a questi timori provenienti dall'esterno che il pensiero della presenza di innumerevoli pericoli proprio in seno a noi.
Cosa v'è di piu stolto che al rumore dei tuoni gettarsi al suolo e andare a rimpiattarsi sotto terra per paura dei fulmini?
Che cosa v'è di più stolto che temere una scossa sismica e il crollo improvviso delle montagne e l'invasione del mare lanciato fuori dalla riva, quando la morte è da per tutto a portata di mano e da ogni parte ti viene incontro e nulla v'è di tanto piccolo che non abbia la forza di determinare la morte del genere umano?
Non dobbiamo rimanere costernati di fronte a codesti sconvolgimenti, come se implicassero un male maggiore di quello apportato dalla morte comune, al punto, anzi, che, essendo la morte una necessità e dovendosi una volta esalare l'ultimo respiro, può riuscire grato morire per una causa più grande. Dovunque noi siamo, un giorno o l'altro, noi dobbiamo morire.
Stia pur salda questa terra su cui noi poggiamo e si mantenga pure nei suoi limiti senza essere colpita da nessuna scossa, un giorno o l'altro io andrò sotto di lei. Che importa se sarò io a farla cadere sopra di me o se mi verrà addosso da se?
La terra si apre e per l'immane violenza di non so quale sconvolgimento si spalanca e mi ingoia in un'immensa voragine: e che con questo?
E’ forse più dolce la morte se si rimane sulla superficie della terra?  Che motivo ho di lamentarmi se la natura non permette che io perisca di una morte banale, se getta su di me una parte di se stessa?   Bene canta il mio Vagellio in quel suo famoso carme: "Se si deve cadere" – egli dice -, "io preferirei cadere dal cielo". Lo stesso potrei dire io: se si deve cadere, che io cada nel crollo del mondo, non perchè sia lecito desiderare una generale catastrofe, ma perchè un grandissimo motivo di rassegnazione alla morte è vedere che anche la terra è mortale.
Potrà anche giovare l'imprimersi bene in mente che con questi fatti gli dei non han nulla che vedere e che gli sconvolgimenti della terra e del cielo non sono effetto dell'ira dei numi.
Codesti fenomeni hanno delle loro cause determinate, ne si scatenano in obbedienza a ordini ricevuti, ma tali turbamenti sono prodotti, come avviene per il nostro organismo, da certi guasti, e mentre essi sembrano essere causa di male, ne sono vittima essi stessi.
A noi poi che ignoriamo la verità tutti questi fenomeni sembrano più terribili, appunto perché la loro rarità aumenta il nostro terrore. Quel che ci è abituale ci fa minore impressione, quel che ci è insolito ci fa più paura.
Ma perchè poi una cosa ci è insolita?  Perchè noi osserviamo la natura con gli occhi, non con la ragione e non pensiamo a quello che essa può fare, ma soltanto a quello che ha fatto.
Pertanto noi paghiamo il fio di questa negligenza, lasciandoci atterrire da tali fenomeni come fossero fatti nuovi, mentre essi non sono nuovi, ma insoliti.
Che dunque? La vista di un'eclissi di sole o anche l'ecclissi parziale o totale della luna, il cui oscuramento è più frequente, non incute negli spiriti, anche di una popolazione intera, un terrore superstizioso? ...

DE TERRAE MOTU (Naturales Quaestiones, libroVI)


pagina