...A PERDERE

Fornitura del 1999 per Tullio Catalano [1]
arteideologia raccolta supplementi
nomade n. 9 dicembre 2014
OÙ NOUS SOMMES EN HIVER
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Dalla pittura alla fotografia su lastra e poi su pellicola e ancora nel cinema, il tempo si è andato restringendo fino a darsi come tempo reale istantaneo.
Ecco perché le immagini della televisione al contrario, e ancor più quelle dei monitor degli elaboratori, non resistono al tempo: poiché non hanno "contenuto" [non contengono nulla] non possono resistergli [il "contenuto" (memoria) come vaccino]; le immagini allora sublimano, scompaiono alla stessa stregua dell'effetto atomico (come sui muri di Hiroshima rimangono le tracce, le ombre persistenti, ma i corpi reali scompaiono - di reale allora non rimane che il tempo, ma il tempo della sparizione).
La ben nota critica kafkiana alla distrazione retinica dell'immagine: io vivo con gli occhi, e il cinema impedisce di guardare, è un'afferma-zione ovviamente paradossale.
Ma oggi possiamo dire che esistano asserzioni che non sino manifestamente paradossali?  Nell'attuale era dei computer i paradigmi non sono semplicemente cambiati, non si sono spostati o resi più complessi: semplicemente, si sono proprio capovolti.
E se prima vi era un dizionario disponibile dei sinonimi e dei contrari, che ammettevano l'onda lunga della sfumatura e dell'eccezione, ora sono solo i contrari a dominare.
Così "nodo" viene preferito a linea, "eterogeneo" ad uniforme, "aperto" a chiuso, "inconcludibile" a concluso, "interattivo" a utente, "da più a più" a da uno a più, "ubiquo" a localizzato, "tempo reale" a tempo che scorre, ecc.
La "società dell'immagine" (anni 60-70) è stata la fase del vitello d'oro, degli idoli e dei simulacri. Ora, nella caligine sinaica e pura dei cristalli, Iddio parla, e possiamo vedere solo l'orma della scrittura - ma più Lui soltanto parla, più a noi tocca l'azione dei corpi pesanti, e siamo, risultiamo solo figure (o controfigure?).
Comunque, fuori dagli "apparati" la parola, l'atto della parole, rimane il più virtuale (e virtuoso) agire: quello che non lascia tracce del suo passaggio, contrariamente a quanto avviene nel computer. In questo la parola è potente evocazione; quanto viene richiesto appare (affiora) dal fondo grigio e vuoto dello schermo; viene tolto dal nulla e dall'inferno del tutto, come ombra, ma non del passato, piuttosto del futuro. Dunque, gli occhi e il guardare. Oggi non si guarda più, si sbircia, o semplicemente e pedissequamente, si legge, si demanda alla lettura approssimativa, al post-scriptum; e si leggono ordini, imperativi cui solo obbedendo si può procedere oltre, penetrando realtà virtuali e cybernetiche, ma sempre attraverso altre parole, segreganti e segrete, continuamente criptate e decriptate, convenzionali o casuali, la cui efficacia è immediata: aprono corridoi, reti e autostrade informatiche, ma anche sportelli bancari dai quali inevitabilmente si ritirano o si spostano denari e merci. Ecco che allora la società dell'immagine ha finito per tornare ad essere una società della parola, della parola-immagine, potente e numinosa; della parola-chiave, abracadabra e apritisesamo (chi sono i quaranta ladroni?). Non è un caso che tutto, ma proprio tutto, riesca a scorrere sull'intera rete globalizzante e mondializzata della comunicazione.
Nel mondo del computer il Verbo riesce realmente ad incarnarsi - verrà anche crocifisso per la salvezza degli uomini?  La parola crea mondi. Virtuali?  Ma lo sconcerto è come possa ritenersi virtuale un mondo nel quale si consumano realmente valori del tutto reali.
Se la verifica del budino avviene quando lo si mangia (al solito!), allora cosa ha di virtuale il mondo dei computer quando alla Borsa di Wall Street, magari, si bruciano del tutto realmente miliardi di valore in un tempo minimo - e i perdenti (verifica del budino) si sparano in bocca?  Allora ecco un altro paradosso: il virtuale si concretizza e il concreto si virtualizza - ma solo per un gioco di linguaggio: in verità la realtà è sempre uguale a sé stessa. E la verità è anche che, senza soffermarsi sul rebus labirintico dell'origine dei linguaggi, da sempre la parola è stata uno strumento del tutto concreto della produzione materiale.  Era dunque giocoforza che anche la "parola" dovesse soccombere e ricadere sotto le leggi del Mercato - e il Bit è la sua unità di misura, indispensabile per dargli un prezzo e trasformarla in merce.  Invitato di recente a recarsi nella sede di un gigante dell'informatica, Nicholas Negroponte, direttore del Media Lab. del M.I.T., ha dovuto sottoporre il suo portatile dell'ultima generazione (di allora) ad un controllo di sicurezza e dichiararne il valore: "Da uno a due milioni di dollari", ha risposto.  La scettica impiegata alla ricezione annotò invece che era entrato con un computer da duemila dollari. Chi aveva ragione? Entrambi sostiene qualcuno; perché Negroponte valutava il valore dei Byte del disco rigido, mentre la ragazza si riferiva soltanto al prezzo degli atomi della carcassa.  Per il noto ricercatore del MIT gli sconvolgimenti in corso provengono dal fatto che, appunto, "i byte stanno sostituendo l'atomo".  Ora la questione che potrebbe porsi è appunto se gli atomi possono avere un prezzo e svolgere le implicazioni di una tale asserzione non paradossale, ma soltanto stravagante. Certo è che solo nell'era dei computer poteva trovare forma una simile espressione. In un'era dove il capitale finanziario trionfa si insinua nell'intimo stesso della materia per assegnare un prezzo persino all'atomo. Ma in questa espressione c'è un'insinuazione di teoria economica veramente aberrante; che la somma del prezzo degli atomi fornisca il prezzo dell'elaboratore vuole forse insinuare che il prezzo di ogni merce sia dato dalla somma dei prezzi dei suoi atomi? Il prezzo sarebbe forse concretamente annidato nella struttura molecolare?
Così avremmo finalmente trovato il posto eterno per l'anima (immortale) della merce.
Vi è qualcosa che si intende dissolvere con l'adozione del prezzo-merce da parte di una tale Fisica postcapitalistica [trascendentalista e integralista], e se ne comprende la necessità: è il lavoro... Sia pure quello del Negroponte;  quello occorso per registrare i Byte sul disco rigido; lavoro svolto tramite uno strumento del tutto hard, a sua volta prodotto da altro lavoro passato. Ma anche le informazioni e le tecnologie non sono altro che lavoro materiale trascorso, passato, delle altre generazioni. Lavoro dato come lavoro socialmente necessario per produrre dei beni; immenso cumulo di lavoro difficilmente computabile e ipotecabile se non attraverso la violenza del diritto privato. Nell'era dei calcolatori si cerca di negare il lavoro [la fatica fisica], confortati da una reale negazione-riduzione della base operaia. Ma i dischetti non contengono altro che lavoro, sebbene in una sua particolarissima forma; costituiscono anzi la forma più sviluppata e squisita del lavoro trascorso, accumulato e concluso, quasi corpo mistico del lavoro.
(continua) Invece il Bit non sostituisce l'atomo, piuttosto sostituisce il denaro. Come il denaro esprime il valore-misura del lavoro, ossia delle merci (e come prezzo è la misura per eccellenza di tutte ed ogni merce) il Bit è il denaro per eccellenza: virtualizzato, sublimato, emancipato da ogni peso corporeo, capace di rappresentare anche, finalmente, l'incarnazione stessa della circolazione in quanto tale: è il denaro nell'attimo stesso della circolazione - sparisce la sua presenza corporea per manifestarsi come un flusso continuo di processi, chiaramente indistinti. Allora i momenti classici Merce-Denaro-Merce o Denaro-Merce-Denaro, che sono i passaggi tra i valori d'uso e i valori di scambio, dopo che la merce si virtualizza, rimangono scambi tra Denaro e Denaro, rimane il processo finanziario (il Capitale in quanto tale), ma che esprime anche il capitale "usuraio". 
Che il Bit (unità di misura informatica) non abbia sostituito l'atomo, poi, è confermato dalla vocazione iniziale dello "scenario tecnologico", che si apre nel 1972 con il progetto Jacudi, il quale implica una strategia globale, ad esempio per il Giappone, riconoscendo l'impossibilità di una economia capace di proseguire attraverso la crescita illimitata della produzione di beni materiali, mentre si ipotizza il sopperimento di un escamotage clamoroso  attraverso la crescita illimitata di beni a carattere informativo, culturale, ludico, ecc.  Per quanto viene ridotta la possibilità di aumentare la produzione di beni materiali [del mercato reale], si sviluppa ed estende la possibilità di investire su questa stessa possibilità, sulla sua previsione - sulla previsione del profitto; ecco i "derivati", i "futures" [un mercato divenuto virtuale, dominato dallo sfarfallio ottico].
Se le "macchine celibi" nascevano da un'era meccanica ed esprimevano il desiderio di bastare a sé stesse, di funzionare con sé stesse e frenare il vulcano della produzione (mito virtuoso del blocco produttivo che si autolimita non essendo capace di autoregolarsi), le "macchine incestuose" nascono invece nell'era della telematica, che ha preso atto dell'impossibilità di aumentare la produzione di beni materiali; si fondano sulla meccanica sublime e sublimata dell'informazione per accoppiarsi tra loro stesse - che quasi si annusano e si riconoscono di una medesima famiglia all'interno delle reti telematiche, per proliferare incessantemente nella crapula continuata d'obbligo, con il piacere più o meno confessato di violare la privacy, entrare nell'altro simile, saccheggiarlo, succhiarlo e lasciarlo vuoto, inerte, spossato ma soprattutto "superato", dopo essere stato omologato. [L'A.I.D.S. adotta, per similitudine, un sistema invasivo di decriptazione delle difese immunitarie: è un pirata informatico, uno degli hackers informatici?].
Nell'epoca della mondializzazione e globalizzazione la giornata borsistica non conosce albe e tramonti (solo oggi su questo regno veramente non tramonta mai il sole); ma la tensione e il tremore, e l'angoscia degli operatori di Borsa, sempre sotto pressione come in un sogno angoscioso, li lascia perennemente nel cuore dello spavento.  Nella bolla di sapone dell'economia virtuale non è concesso né il presente né il passato, piuttosto un tempo nel quale si contraggono presente e futuro per assomigliare ad un passato che renda possibile l'assurdità di un sentimento come la "nostalgia del futuro".  Anche il classico processo di "produzione-distribuzione-consumo"si è talmente velocizzato che tutto sembra avvenire nel medesimo momento; e si consuma prima di produrre (o questa è l'illusione - il sistema in questo modo diventerebbe virtuoso e le crisi di sovrapproduzione verrebbero per sempre evitate). Ma la sovrapproduzione di merci è una contingenza necessaria per la produzione di profitto; sparita la merce [l'illusione è che] la produzione di profitto potrebbe [vorrebbe] crescere indefinitamente senza la palla al piede del valore d’uso. Solo che a questo punto aumenta anche esponenzialmente la caduta tendenziale del saggio del profitto.  
La faccenda si fa pericolosa, la bolla finanziaria si gonfia sempre di più, come una vescica vuota; poiché in realtà ciò che si consuma prima di essere prodotto non sono i beni materiali bensì il profitto previsto, ossia il desiderio.  Allora certo che non vi è necessità del lavoro [del capitale variabile], anzi occorre cancellarlo per resistere alle crisi sempre meno riottose e sempre più veloci e onnivora quanto più grandi sono i capitali [fissi] investiti. 
Tornando alla questione sorta tra Negroponte e l'addetta alla reception, è certo, comunque, che avevano ragione entrambi, Negroponte e l'impiegata. Ma ci viene anche da aggiungere, in metafore, che se un qualsiasi pittore si fosse trovato nella medesima situazione di Negroponte, ma con un quadro sotto il braccio invece che il portatile, avrebbe potuto rispondere nello stesso preciso modo e del tutto legittimamente: "Questo quadruccio vale da uno a due milioni di dollari", e l'impiegata avrebbe segnato $ 2.200, o anche - senza cornice- 20 dollari. Anche qui l'anonimo pittore si rivolgerebbe alle informazioni contenute nell'opera, alle connessioni che potrebbe avere con la storia della pittura ecc., mentre l'impiegata intende dare valore esclusivamente alla tela e ai colori. Anche qui avrebbero ragione tutti e due; però l'uno si riferisce al corpo mistico, l'altra al corpo meccanico.  L'opera d'arte, per concludere, è un sistema attivante e comunicativo complesso, nel quale il disordine e la non linearità svolgono un ruolo costruttivo e coagulante fondamentale; ma attenzione: questo vale anche per le nuove tecnologie dell'informazione sulle quali si sviluppa appunto il portatile di Negroponte.
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[1] - Carmelo Romeo, da Forniture Critiche, in Quaderno n.3, pubblicazione del Dipartimento di storia, teoria delle arti e nuovi media dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, 1999. - NdR - Rispetto al testo pubblicato quello qui riprodotto è stato risistemato per completare e rendere più chiare le argomentazioni.