t e s t i
Archivio (comunque indiziario) dell'Ufficio Tecnico (per l'Immaginazione preventiva)

Carmelo Romeo L. - La Superficie In Pittura [ Brani da 35.a a 37.d] - Brani sparsi, editi e inediti, appunti, diagrammi e iconografie di un lavoro iniziato nel 1972 attorno alla mera superficie, il supporto, lo schermo e...altro. - Quarta apparizione in Quaderno Tre, pubblicazione del Dipartimento di storia, teoria delle arti e nuovi media dell’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, 1999
LA SUPERFICIE IN PITTURA

3
Peripezie della zona tragica 
Ricostruzione della genealogia
Passaggi al limite (Tav. fuori testo)


35.a - Lo specchio offerto dai Titani a Dioniso per distrarlo dalla propria unità corporea, è stato la trappola per il Dio; la fascinazione della molteplicità variopinta delle raffigurazioni  del mondo ve lo inchiodano per consegnarlo alla sofferenza dello smembramento e alla pena della morte. 
Ora la Pittura riposa (smembrata - cfr.03) in un sepolcro (imbiancato) sulla cui superficie tombale  le ombre della vacuità paiono scrivere in epitaffio la sua ultima preghiera: 
“Per carità, non affliggetemi con l’iconografia!” [cfr.20] 

35.b - L’artista raggiunge la Pittura nel luogo segnato dalla soglia fluida che la separa dalla sua stessa negazione [cfr.34] e se la trova di fronte come “mera superficie”. 
Se la tragedia consiste nel dare forma all’informe, allora è in questa zona che si attua il tragico come incontro con l’indefinito [cfr.31 e 35.g] .
Ma Orfeo non può stare più di tre giorni negli Inferi (neppure Malevic vi è riuscito) e cerca la via (orfica?) per fare risalire la Pittura nuovamente verso la luce e (ritrovare) le sue proprie apparenze figurali. 

35.c - Tuttavia Orfeo non ha saputo morire lui stesso per seguire realmente l’oggetto del suo amore nella caverna senza luce. 
L’unica sua preoccupazione è stata quella di andarselo a riprendere, ma per uscirne poi ben vivo – e pasciuto magari anche da un estremo motivo pittorico (tableau vivent - happening? cfr.26 ). 
L’esortazione a non soffermarsi in questo luogo di morte  è accompagnata dalla interdizione di non voltarsi indietro per non guardare alle risoluzioni del (tempo) passato.
Erano quasi giunti fuori dall’ombra dell’Ade, quando la prima luce dell’aurora illuminò appena il suo pallido amore; e Orfeo si volta (movimento patetico)  e lo perde per sempre. Si voleva solo accertare con i propri occhi  che a seguirlo nella risalita era pur sempre la Pittura, ma questa non gli perdona la debolezza della consolatio [cfr.37.d] .

35.d - In altre versioni si salvano entrambi guardandosi sotto bagliori non solari, bensì sotto quelli aurei di una lampada tascabile come la moneta. [cfr.23, 35.e, 39.f.10]
Se Orfeo non ha saputo morire per il suo amore, allora non può neppure vivere per esso. 
Per questo verrà infine anche lui straziato e dilaniato dalle donne trace; fatto a pezzi e venduto al mercato [cfr. 39.f.7]
Soltanto la sua testa, inchiodata alla Lira - appunto -, galleggerà sulle acque dell’Ebro per approdare infine nell’isola di Lesbo, dove si darà da fare come oracolo (l’arte come idea dell’arte? – dal minimalismo al concettualismo?).
Morta l’arte rimane l’artista, sopravvissuto come Orfeo ad Euridice. 
Allora, dissolta la qualità visibile delle cose, rimangono i loro ultimi lamenti; rimangono le loro qualità sonore; rimangono soltanto i giochi di parole (di Narciso rimane Eco, di Duchamp rimane Rrose). 

35.e - L’ambito della Pittura diviene, breviter, l’abiezione del pittore che la configura come ambizione della Pittura a recuperare l’origine stessa dei suoi oramai sbiaditi ricordi per abitare confortevolmente le impronte fossili dei propri passi trascorsi. 
Allora il movimento patetico del voltarsi risolve la “mera superficie” come “Supporto”. [cfr.38.d] 
Il “supporto” è dunque la forma di un momento e di un memento nel quale la “mera superficie” si coglie e si offre per l’intero del tempo e dello spazio nella tensione della sua propria storia naturale: ossia della storia dell’arte. Ovvero: è la forma stessa della propria Enciclopedia attraverso la quale pretende di ripristinare anche le scene madri dei propri cominciamenti. [cfr.38.g] 

35.f - Sulla inaccessibile montagna, sottratto allo sguardo acuto del suo popolo eppure vicino al Dio, Abramo non porta a compimento il sacrificio espiatorio dell’empietà dei simulacri, ma arrischia il trompe-Dieu
Così, la sostituzione della vittima prediletta dal Padre con un provvidenziale caprone sfigato, comporta la dannazione alla metafora che spalanca l’accesso alla caverna interiore delle apparenze figurali e delle rappresentazioni cerimoniali. 
Spostata la simulazione dall’Idolo all’Azione, tanto si scarica il primo termine di possibilità raffigurale quanto se ne carica il secondo. In tal modo da una parte si perviene alla Unità irrappresentabile, mentre sull’altra, l’incetta delle figure sottratte al primo termine non trovano più spazio, e allora si danno i turni di riposo scandendo un gioco di sostituzioni che istituisce la spirale incessante della metafora, la fatica dell’iconologia. 

35.g - Poiché Giasone è in cerca di altre nozze [cfr.46?] , nello spazio segreto della casa –sottratta all’occhio dello sposo infedele- Medea uccide i suoi figli diletti e li semina ai quattro angoli della tragica dimora familiare; vuole eliminare la speranza stessa di ricostituire la coppia mendace. [cfr. 38.f] 
Già con l’offerta della tunica alla figlia di Creonte, Medea riconosce la nuova sposa di Giasone come simile e come ostile, ossia: come "ospite". Ma questa mariée si spinge ad indossare quel segno d’omaggio, senza avvedersi che nella medesima modalità dell'offerta era dispiegata l’intera iconografia di una Deposizione capovolta; dove si vedeva un Sudario sostenuto e celebrato da corpi già destinati al macello. 
La messa in uso di un simbolo lo scioglie dalle riserve metaforiche per scatenarlo, realiter, contro chi ha preteso prenderlo in parola: e il conflitto è sempre mortale. 
Allora la tunica inviata da Medea si svela, quando indossata, come un sudario assoluto che infine trionfa sulle figure segnate a morte: figli o spose che siano spariranno senza un gemito sotto la bianca veste dell’estrema Ospitalità.

35.h - Se Abramo è il padre delle metafore , è Medea che chiude in cerchio la spirale viziosa delle metafore eseguendo col crudo sangue la saldatura metonimica, e concedendo l’ozio. [cfr. 38.l, 39.c] 
Ma ancora verrà un altro Padre che sacrificherà il suo proprio unico Figlio prediletto per aprire un nuovo ciclo di devozioni e dannazioni metaforiche, se ancora non si potrà dire pane al pane e vino al vino. 

35.i - Lo svuotamento del quadro, come un buco bianco, ha fatto collassare la realtà all’esterno; qui tutto è più leggero della luce, e nessuna cosa vi precipita o entra.
La “mera superficie” è (anche) l’iconografia del Nulla, che mostrandosi afferma, conferma, conforta e rafforza l’essere della materia fuori dalla rappresentazione. 
Tenere la posizione tragica vuol dire mantenersi nel punto di riposo delle perplessità; indifferenti alle soluzioni: finalmente irresoluti. 
Qui la Pittura comprende che è il vuoto a creare l’uso [cfr.38.h] , la condizione per riprendere a muoversi, pur senza andare, pur senza restare. [cfr.28, 39.f-1]

35.l - Per altro, o similmente, la Pittura può apparire in quanto tale quando ha smarrito ogni utilità, così come l’utensile “appare” quando perde il suo uso. 
Allora l’immagine è una Spoglia e il Guasto è la sua condizione. Ecco perché soltanto dopo la morte dell’arte può finalmente mostrarsi l’immagine dell’arte stessa. [cfr. 39.f.4]
E ancora: perché dopo la perdita del valore d’uso (sociale) vi è una messa in valore di scambio. 
Nel mercato, come corpo del valore di scambio, l’opera d’arte trova il suo attuale valore d’uso, l’unico che ormai gli è rimasto, l’unico ancora concesso. Ecco diventare importante la quota d’asta: bisogna pur adottare un qualche criterio per distinguere un’opera dall’altra. [cfr. 37.b]

35.m - Nella “mera superficie” si specchia l’Ananke della Pittura. 
Solo dopo aver celebrato tutti i misteri della Superficie, dopo aver congiunto il Tempo della memoria con la Necessità dell’attuale, la Pittura può avviare le nuove cerimonie degli immutabili (poiché ogni smembramento  è premessa e promessa di una rinascita nell’unità) alle quali adesso può essere iniziato non più il singolo eccellente, ma ogni e tutti i singoli – con buona pace dei misteri del Privilegio. [cfr.33]

TENTATIVI DI RICOSTRUZIONE PER LA GENEALOGIA DELLA MERA SUPERFICIE
                  Introdursi nella tua storia 
                  è da eroe impaurito 
                  se ha col tallone nudo toccato 
                  qualche lembo del territorio. 
    Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”
36.a -  La pittura diventa possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore, “ non lasciando sussistere questa tale e quale” (Hegel); vale a dire a partire dalla limitazione delle tre dimensioni alla superficie piana – senza però negligere la profondità spaziale che, invece, proprio per tale riduzione si problematizza (il fondo oro delle immagini medioevali la trasforma in icona, la prospettiva rinascimentale la trasforma in simbolo, l’impressionismo la trasforma in un quesito sul colore, ecc.). 
In questa prima mossa di reductio che segna l’atto di nascita della pittura , è già contenuta tutta la partita che essa intende giocare con la totalità esteriore – forse vi è anche l’esito finale (determinismo), se non gli svolgimenti ed esiti puntuali (meccanicismo). 
Allora la pittura non può voler dire e consistere nell’estendere e perfezionare i modi della raffigurazione o il linguaggio stesso della pittura; e neppure nel renderla più rigorosa – quasi fosse l’espiazione di quella colpevole originaria reductio da riscattare integrandola con una operosità delle contraffazioni ottiche. 
Piuttosto dobbiamo dire che la pittura consiste proprio nel perfezionare un’assenza. 

36.b –  Resa possibile a partire da una limitazione, la pittura può sussistere soltanto rinnovando ogni volta tale fondante limitazione, e anche procedere, in questo limitare della totalità esteriore, attraverso la reductio delle qualità visive del mondo e delle cose. Verso dove procede? Ossia: qual è il limite di tali continue limitazioni, l’intero suo proprio limite? 
Se conveniamo con Hugo che "la forma è il fondo che torna alla superficie", quando forma e fondo –in un abbraccio mortale- si identificano per sparire alla vista, solo la superficie rimane a preservare la certezza della pittura; solo la superficie è il termine che non si confonde e rimane immutabile a sé stesso nella mischia che conduce la figura e lo sfondo verso l’invisibile. 
Se il limite della pittura è l’invisibile, allora pitturare vuol dire avvicinarsi ogni volta all’invisibile –e questo procedere sembra confermato dall’abbrivio che proprio in tal senso ha preso uno dei rami più conseguenti della pittura moderna (dal monocromo all’achrome). Ma anche: se il limite della pittura è l’invisibile, la superficie è la forma tangibile di tale limite –la figura testimoniale, ossia storica, del procedere della pittura verso questa (dis)soluzione ancora e purtuttavia sempre pittorica. [cfr. 20, 35,a] 

36.c - Passaggi al limite - Nel calcolo matematico il passaggio al limite, con cui data una funzione se ne ottiene un’altra, si dice “derivazione”. Per la tangente ad una curva piana qualsiasi, il valore della derivata in un punto dato è il limite cui tende il rapporto fra l’incremento della funzione di una retta secante e l’incremento della variabile indipendente – quando quest’ultimo incremento tende a zero, senza tuttavia raggiungere mai il valore nullo. È inteso che si parla sempre di casi in cui il limite in questione esiste effettivamente; se questo limite non esistesse dovremmo dire che nel punto dato la funzione non ha derivata.

Se ora noi – con un azzardo analogico e modellizzante – prendessimo la Pittura come fosse la funzione continua di una retta secante una curva piana (della totalità esteriore?), e assumiamo uno dei due punti di intersezione come punto limite dato per collocarvi la “mera superficie” quale limite proprio della Pittura, possiamo dire che questo sia un limite effettivo della Pittura?
Come “conditio sine qua non” della Pittura [cfr.13] la “mera superficie” si presenta realiter quale condizione minima e sussistente fin dal momento originario della pittura; è quindi un punto di partenza che permane. Inoltre, i monocromi di molti pittori contemporanei hanno offerto alla “mera superficie” una occasione pratica per assumere una esistenza effettiva  nella storia della pittura; è quindi anche un punto di arrivo. In definitiva abbiamo a che fare con un elemento irriducibile e irrinunciabile all’esistenza primaria della pittura stessa, ossia, giusto, col suo punto limite.
Superare questo limite, come per la tangente significherebbe tornare ad essere secante di un settore della curva opposto, per la Pittura significherebbe tornare ad insistere nella raffigurazione in un settore della totalità esteriore opposto al precedente; il cambiamento di stato che si provocherebbe nell’oltrepassare il punto dato di tangenza dimostra che il limite esiste anche storicamente  (e concettualmente e praticamente) e che dunque la funzione ipotizzata può avere una derivata. 
Prima di procedere oltre, resterebbe da dimostrare la validità di un tale modello, seppure d’azzardo? 
Rileggo 36.a: "la Pittura diventa possibile a partire dalla limitazione della totalità esteriore". Se ora esprimo tale totalità con una curva piana, una retta che la intersecasse in due punti qualsiasi opererebbe immediatamente una limitazione – ad esempio rispetto all’intero settore concavo racchiuso dalla curva, o ad es. rispetto a tutti i punti della curva medesima, ecc.
Ora abbiamo quanto ci occorre per poter dire che nel calcolo funzionale del pittore (nella sua
prâksis)  la “mera superficie” si pone come punto limite e perno attorno al quale la pittura prende a ruotare (mossa dagli incrementi tendenti al valore nullo della variabile indipendente, ossia verso l’invisibile), e col passo di differenziati infinitesimali pittorici, che gli fanno percorrere tutti i punti della curva, si dispone infine in guisa di tangente alla curva stessa, con la quale avrà in comune quell’unico punto, avendo abbandonato ogni altro punto della curva (o della funzione) totalità-esteriore.
Dinamizzato in tal modo quello “a partire dalle limitazioni”, siamo arrivati a rappresentarci anche la estrema reductio della Pittura, oramai del tutto affidata alla tangenza, e quasi raccolta interamente nella “mera superficie”, nella quale la Pittura vorrebbe trovar riposo, ma che, per definizione, mai potrà raggiungere. E questa è la sua condanna per aver avuto dei riguardi solo verso sé stessa. 
E` del tutto ovvio che, procedendo nel modo descritto, la Pittura ha dovuto rinunciare sempre di più alla rappresentazione della realtà; e anche il pittore si ritrae dal mondo, dalla comprensione dei rapporti materiali, fino a trovarsi solo con una pittura esangue quanto lui. Allora questo movimento è stato anche il movimento di tale ritirarsi (e “ritrarsi”) fino a ridursi ad un rapporto esclusivo con la Pittura. Nell’incapacità di comprenderla, la realtà esteriore si è ridotta ad una sensazione individuale. Entrambi, il pittore e la pittura, sono ancora aggrappati al mondo per questo punto limite, ma pencolano pericolosamente verso la non-pittura, e intanto ripetono a sé stessi – senza convinzione: dopotutto si può anche morire. [cfr. 14, 35.b, 39.f-9]
                  Un merletto si abolisce 
                  nel dubbio del Gioco supremo 
                  a non svelare atto blasfemo 
                  ma assenza eterna di letto.
    Stéphane Mallarmé, “Altre poesie e sonetti”
37.a – Non potendo essere raggiunta integralmente e in quanto tale, la “mera superficie” forse non può essere altro che una definizione; epperò una definizione del tutto concreta e necessaria. [cfr. 20]
Una Pittura priva di un suo proprio punto limite non sarebbe potuta andare; sarebbe rimasta attonita davanti alla molteplicità fluente delle qualità visibili del mondo (come Dioniso davanti lo specchio - cfr.35.a); sarebbe rimasta confusa dall’inizio, così come rimane confusa alla fine; ma intanto ha fatto il suo determinato corso (come un glorioso Achille che ce la mette tutta per prendere la tartaruga – e ci riuscirebbe infine se applicasse il calcolo integrale; cfr. 40.0: dunque la “critica”?). 
Gli incrementi infinitesimali  attraversati per il passaggio al limite, sono stati i passi discreti della sua propria storia; ne hanno scandito il ritmo impresso dal cammino dei rapporti materiali (rapporti che la Pittura tanto più nega quanto più se la sottomettono) , fino, anche, al capovolgimento del passaggio al limite – che allora è un guado . 
Superato questo limite la Pittura inizia a ritrovare la non limitatezza della totalità esteriore; ma adesso intende lasciarla sussistere tale e quale per darsi da fare con le cose del mondo e invischiarsi con le sue faccende. [cfr. 29, 33]
 
37.b – Per avvicinarsi sempre più a sé stessa e raccogliersi, infine, nel suo proprio limite, la Pittura ha dovuto ridurre progressivamente il mondo esterno per consegnarlo alla pura sensazione. Ancora poco e il mondo si dissolverà nell’immaginazione
E, sorto dalla curva e dal balzo, il Pittore viene convocato quale limite estremo consentito della funzione sociale. [cfr.33] Allora, giusto, quel ritirarsi dal mondo diviene un “ritrarsi”, poiché è sempre qui che la Pittura prende a coincidere con il Pittore; e da adesso in poi le sorti di entrambi saranno indissolubilmente legate in un intreccio inestricabile
(e il pittore sarà condannato all’autoritratto).

K. Malevic, 1915, Autoritratto in quattro dimensioni, Stedelijk Museum, Amsterdam
La volontà di rappresentazione della pittura ora trova solo oggetti che gli appartengono, e da adesso in poi le sue teorie non conosceranno e riconosceranno altro che sé stessa e i suoi propri oggetti.
Ma se la pittura si è dimenticata del mondo il mondo non ha fatto altrettanto, e la lascia in balia delle strutture che hanno preso a dominarlo. Ora Pittura e Pittore trovano il "mercato" che se li sottomette materialmente.
E adesso si possono stilare anche le norme di fabbricazione e le modalità d’uso per la Pittura; mentre la sua funzione è verificabile dall’esito dell’azzardo supremo che tenta la trasformazione dell’opera in moneta sonante – con la qual cosa la pittura riprende anche a parlare. [cfr. 26, 35.d]

K. Malevic, 1933, Autoritratto,
Museo di Stato, Pietroburgo

37.c – Come la derivata della secante è la tangente, così la derivata della Pittura è l’Estetica (della pittura). 
Quando la “funzione” pittura (di primo grado) passa per il suo limite, segnato dalla “mera superficie”, è con questo segno che ora la Pittura si concede al mondo, vi si espone ed abbandona. 
Ed è certo che se qualcuno vuole ancora trarre godimento da questo suo ultimo mostrarsi, deve provvedersi di un contegno estetico (e di un congegno ottico-cerebrale), e da questo attingere ogni allettamento. 
Per altro l’Estetica non è molto più vecchia della superficie in pittura; ne ha solo anticipato il destino prima di vederne la forma risolutiva. E l’Estetica stessa ha potuto trovare uno svolgimento adeguato  solo a partire dalla morte dell’arte; cioè, come ogni altra scienza, ha dovuto attendere che l’oggetto della sua analisi fosse sufficientemente sviluppato da risultare trafitto e immobile sul tavolo da dissezione. 

 37.d – La Pittura, dopo aver ricongiunto il momento in cui è stata possibile con il momento in cui è ancora appena possibile, non può che svolgersi e trovare il momento ulteriore in cui non è più possibile. È solo la convocazione del Pittore, tenuto in pugno dal Mercato, che la trae dall’impaccio offrendogli nuove possibilità? [cfr. 35.d].


Indice del testo
 Forniture Ufficio Tecnico
capitolo 4 

Home Page