L'ARTE RACCONTATA AI COMPAGNI

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Tracce di Lavoro Comune . 2017
arteideologia raccolta supplementi
made n.19 Giugno 2020
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
7
pagina
Elementi e complementi . (appunti II.1)

Realismo ed enfasi 

Abbiamo già detto come Marx o Engels non ci hanno lasciato una trattazione organica sull’Arte, ma solo alcuni brani di carattere generale, quasi tutti esclusivamente dedicati alla letteratura.
Ritenendolo uno dei più grandi artisti dell’epoca, Marx avrebbe voluto scrivere un libro su Balzac, la cui opera rappresentava all'epoca l'esempio più rispondente all’idea di Arte e letteratura – ad un paradigma, diremmo oggi; il realismo era la nuova lezione di scuola e Balzac ne era il campione riconosciuto.
Anche se si esprimeva idealisticamente, l’arte di Balzac consisteva nel fatto di saper trascendere nella sua opera la propria individualità per accedere alla realtà. Egli infatti era monarchico e reazionario, un rappresentante cioè dell'Ancien Regime; ma come partecipe di una società in fase di trasformazione la descriveva realisticamente, mettendone a nudo i caratteri essenziali che la costituivano, portandosi così senz’altro sul terreno della critica tanto all'Ancien Regime quanto all’affermarsi della borghesia. – Se ci è consentito il paragone, egli si trovava nella medesima situazione del proletariato che “non ha più nulla da perdere”; difatti, in quanto rappresentante dell’Ancien Regime aveva perso tutto e non era ancora risucchiato nel Nouveau Regime borghese e intossicato dalla sua ideologia: un’ottima posizione e condizione per osservarne l’ambiente con attitudine scientifica.
Allora, giusto per concludere l’analogia che abbiamo azzardato: il suo “mondo da guadagnare” consisterebbe nella sua stessa opera?...
Come amava Balzac, Marx apprezzava Goethe e spesso citava il teatro di Shakespeare. Lasalle aveva provato anche lui a scrivere un dramma, ma il giudizio di Marx è quasi feroce; senza mezzi termini gli dice che non vale niente, e gli suggerisce anche come avrebbe dovuto fare, consigliandogli infine di metterci più Shakespeare e meno Schiller – ossia, meno enfasi e più realismo.
Se prescindiamo da poche situazioni illuminanti, sembra che Marx ed Engels si accostino all'Arte intendendola come “riflesso” della società. In verità non è affatto così semplice, e la chiave per la comprensione di ciò che dicono a proposito dell'Arte va cercata nella corrispondenza con scrittori viventi.
In una lettera a Minna Kautsky e Margaret Harkness, due scrittrici in erba, Engel dice: "voi non dovete scrivere delle didascalie della realtà, cioè descrivere la realtà interpretandola, cioè dando una spiegazione al lettore; voi dovete fare in modo che i fatti si svolgano secondo un processo che il lettore assimila senza accorgersene e lì potete parlare di socialismo, non dire: ah come è bello il socialismo " etc.
Questo tocca una questione centrale: le vere opere d'arte funzionano quando non si è costretti ad accompagnare gli oggetti con didascalie delucidanti, ma, facendo agire come protagonista il gioco delle forze reali, saranno da queste che gli oggetti attingeranno il proprio senso – siano queste forze quelle della struttura sociale per Balzac o il sistema stesso della lingua per Mallarmé... Non è il caso di ricorrere qui all'esempio banale di Eisenstein che elegge a protagonista dei suoi film le determinazioni storiche e non questo o quell'altro personaggio...
La borghesia ci mette un po' di tempo ad arrivarci, ma in un suo famoso libro del 1962 [1] Umberto Eco ripropone l’argomento [2] per spiegare questa modalità "artistica", adombrata (e forse anticipata) dalle parole che Engels rivolge alle due scrittrici alle prime armi.
E non si tratta solo orientare diversamente la narrazione, ma di trovare la forma con cui esprimerla conseguentemente; e ciò comporta problemi inerenti il linguaggio, l'espressione...
Cosi, tornando all'esempio di Eisenstein, il compito stesso che si era proposto lo ha costretto a frantumare le unità del linguaggio narrativo letterario per arrivare al cuore del nuovo linguaggio visivo e specificatamente cinematografico: il montaggio...
La questione dell'opera d'arte riguarda problemi di comunicazione, ma anche problemi di conoscenza... e di verità. Tutte cose per niente facili da raccapezzare.
Quello che intanto si può fare, è isolare qualche elemento del comunicare umano e cercare di capirne la meccanica essenziale...

Nella teoria dell'informazione, ad esempio, ogni quanto di informazione colpisce il cervello predisposto a riceverlo; la quantità di informazione è dunque misurabile in molti modi, ma a noi qui interessa ben altro che la sua misura e il rendimento – misurato sempre in funzione di una contabilità della rendita economica degli apparati industriali di apparecchi di produzione e ricezione di messaggi e dei servizi di trasporto della comunicazione [3].
Piuttosto per noi qui è più utile riferire un brano di Eco che chiarisce come intendere diversamente la quantità d’informazione che, invertita nella scala dei valori, sembra segnalarci quantomeno un carattere della sua qualità :

La teoria dell’informazione tende a computare la quantità di informazione contenuta in un determinato messaggio. Se ad esempio il bollettino meteorologico mi comunica: “Domani non nevicherà”, l’informazione che ne ricevo è molto scarsa, perché si tratta di un dato talmente scontato che la quantità delle cose che io so e le mie capacità di predizione degli eventi di domani non ne rimane aumentata. Ma se il 4 agosto il bollettino meteorologico mi comunica: “Domani 5 agosto nevicherà”, allora io ricevo una notevole quantità di informazione, data l’improbabilità del fatto annunciatomi. […] L’informazione è dunque una quantità additiva, è qualcosa che si aggiunge a ciò che già so e mi si presenta come acquisizione originale.[4]

Con questo caratteristico esempio basato sulla generica sorpresa esclamativa per l’inaspettato, Norbert Wiener [5] avrebbe sicuramente specificato: “Qui nasce il problema dell’autentica originalità”, preferendolo esporre con un altro esempio: 

Durante il periodo dell’alto Rinascimento, per esempio, la scoperta da parte degli artisti della prospettiva geometrica era ancora una novità, cosicché un artista poteva creare effetti altamente suggestivi con una sapiente utilizzazione di questo elemento nella rappresentazione del mondo che lo circondava. Le opere di Dürer, di Leonardo, e dei loro grandi contemporanei rivelano l’interesse che le somme menti artistiche dell’epoca nutrivano per la nuova tecnica. Ma poiché l’arte della prospettiva, non appena ci si è impadroniti di essa, perde rapidamente il suo interesse, quella stessa tecnica che fu grande nelle mani dei suoi iniziatori è oggi a disposizione di qualunque disegnatore di calendari… è opportuno osservare che il valore informativo di un dipinto o di un’opera letteraria non può essere valutato senza conoscere ciò che in esso non era facilmente accessibile al pubblico in opere contemporanee o precedenti. Soltanto l’informazione indipendente è additiva…. La proprietà dell’informazione soffre necessariamente dell’inconveniente per cui un brano di informazione, al fine di contribuire all’informazione generale della comunità, deve dire qualcosa di sostanzialmente diverso (originale) dal patrimonio di informazione già a disposizione della comunità. Anche per quanto riguarda i classici della letteratura e dell’arte, una gran parte del loro evidente valore informativo (acquisizione originale – carattere dell’originalità) si è distaccata da essi, semplicemente per il fatto che il pubblico si è ormai familiarizzato con il loro contenuto. [6]

Ma per quanto il ricorso di Eco alla teoria dell’informazione possa procurarci qualche nozione in più per orientare la comprensione di un testo letterario e (ma è discutibile) del suo valore poetico, è la stessa teoria dell’informazione ad avvisare che non gli si può far dire di tutto. 

Una teoria di questo genere non può che constatare l’esistenza di una produzione di informazione nella poetica (dal greco poeio, produrre) e nell’estetica (dal greco aistanomai, percepire). Queste ultime sono l’output e l’input di una scatola nera di cui la teoria dell’informazione non ha potere di spiegare il funzionamento interno, anche se le riconosce il carattere di una macchina di tipo M6. E’ possibile che vengano prodotti dei segni e che vengano fatte delle letture senza che in questi atti ci sia una vera intenzione di comunicare. Non è però meno vero che, fra questi due atti, si definisce un oggetto, costituito dall’opera. Proprio attraverso l’opera, nello stesso tempo creazione e posta in gioco di una sfida, di una lotta d’influenza fra colui che la produce e colui che la percepisce, nasce per l’uno e l’altro il piacere, anzi il godimento.[7] 

Comunicazione, informazione e opera d'arte 

Se, ad esempio, nella pagina di un libro illustrato [8] noi vediamo un'immagine il nostro cervello la riconosce come tale e registra in base alle conoscenze che ha già immagazzinato e ordinato nel corso di esperienze passate. Come dire che il cervello si va procurando dei modi con i quali intanto poter riconoscere documenti di messaggio (supporti con informazione codificata) per poi intenderne il contenuto (significato) e chiudere il processo avviato automaticamente dalla fisiologia dei sensi, eccetera…[9].
L’argomento è troppo complesso e intricato per affrontarlo qui; a noi invece ora preme dire che un oggetto, qualunque sia, può sempre essere recepito anche come il supporto di un messaggio, qualunque sia.
Per comprendere ciò che vogliamo dire, basti prendere ad esempio una rosa e un carciofo e immaginarsi semplicemente di mostrare, in un gesto di offerta, uno dei due ad una medesima persona; le sue reazioni all’offerta dell’una o dell’altro corrispondono alla diversità dei messaggi dei due differenti oggetti. Provate ancora ad immaginare che queste offerte si svolgono in un mercato rionale da parte di un fioraio o di un fruttivendolo verso una donna o un uomo, e capite anche come il significato del messaggio possa variare enormemente pur rimanendo inalterato il mezzo della comunicazione. 
Se noi facciamo parte di una società che ha come massima diffusione al suo interno dei quadri come la Gioconda di Leonardo o la Cena di Canan del Veronese, o qualsiasi altro tipo di quadri, come quelli astratti di oggi, noi ne facciamo l’esperienza in determinate circostanze attraverso il cervello che classifica l’oggetto e la circostanza nella quale un oggetto si manifesta in quanto opera d’arte.
Così, quando faremo esperienza di un oggetto determinato nella circostanza di una visita in un Museo d’arte, potremo riconoscerlo fiduciosamente (dato il contesto informazionale, l’ambiente autorevole dove si svolge la comunicazione) come opera d’arte senz’altro; oppure denegargli questa qualità in quanto non troviamo corrispondenze nel “nostro” quadro di riferimenti (di livello sintattico) per i caratteri dell’Arte; o anche, trovandoci appunto in una situazione problematica, ricorrere all’ausilio di altri diversi quadri di riferimento di cui disponiamo per farci una ragione (al livello semantico, o dei significati) dell’incongruenza del messaggio[10], … e, magari, trovare infine delle connessioni accettabili per collocarlo e conservarlo così com’è nel nostro rinnovato quadro di riferimento – con un qualche ampliamento di conoscenza sul mondo dell’arte [11] ecc.
Di fatto è avvenuto che meno informazione riceviamo e più il nostro cervello è costretto a lavorare per integrare e sistemare l'informazione mancante, più riceviamo uno stimolo conoscitivo (sintattico e semantico); più processiamo gli oggetti della nostra attenzione, più cercheremo di venirne a capo.[12]
Riguardo alle immagini in generale, è intuitivo comprendere che una immagine presa isolatamente (religiosa, scientifica o artistica) non ci dice assolutamente nulla circa il fenomeno che rappresenta; è solo collocandola nella sua specifica serie, più o meno completa o sufficientemente estesa, che dalla visibilità di quell’immagine possono emergere quei dati di oggettività, di significato e di sentimento che contiene e comunica … Non è l’oggetto ad essere influente ma la rete delle sue connessioni con gli altri oggetti – tanto vale per il singolo gene in biologia, tanto vale per il singolo capolavoro in arte...[13]
Immaginiamo di analizzare, con uno scanner al posto degli occhi (ma con il nostro cervello normale), un dipinto di Vermeer,  bit dopo bit: sfondo, vestito, pelle, orecchino con perla, turbante, ecc..
Come nel caso di un puzzle, ogni tessera-bit contiene più o meno informazione. E’ chiaro che in tutto questo entrano nel gioco una molteplicità di parametri, quantitativi e qualitativi, diversi da quello della pura “informazione”, che nel connettersi tra loro possono entrare tra loro in una risonanza che può far scaturire alla fine tanto in un personale godimento estetico quanto nel suo contrario.
Per semplificare e andare avanti, diciamo che il nostro cervello lavora poco quando trova una perlina unica, un occhio, ecc. particolari che sa subito dove collocare; invece lavora tanto quando trova una superficie sfumata difficile da definire. Tutto ciò che non riceve come informazione diretta lo ricostruisce con il materiale che ha in memoria… Se una presenza ci informa anche un’assenza ci informa; se la posa e la vaghezza di un sorriso ci informa di un qualche sentimento che affiora, anche l’assenza di uno spazio esterno al soggetto ci informa di qualcosa …

La nostra descrizione generica di un semplificato procedere della percezione umana può essere utile ai nostri fini per comprendere che se noi riceviamo una descrizione completa e consueta di un determinato oggetto, il nostro cervello lavorerebbe meno, o non lavorerebbe affatto; mentre la cosiddetta "opera d'arte", offrendo quantità basse o improbabili di informazione, costringe il nostro cervello a riempirne i vuoti, aggiungendo o stimolando così quantità e qualità alle nostre risorse cognitive e sensitive.
Anche per la pittura, la musica, la poesia ecc. possiamo dire ciò che diciamo per il cibo: l’uomo non è ciò che mangia o vede, o ascolta, o tocca, ma è ciò che elabora – e l’analogia con il cibo è più fruttuosa di comprensioni positive immediate di quante può fornirne la mediazione con l’estetica pensata o con l’arte raccontata.
Ci concediamo ancora una semplificazione per adottare la teoria dell’informazione e dire che una immagine con contenuto didascalico ci fornisce molta informazione ma poca conoscenza, mentre un contenuto “artistico” ci fornisce poca informazione diretta ma molta informazione indotta/dedotta… molti stimoli …
Ed è forse sul filo di questa idea che si muovono Marx ed Engels quando l’uno consiglia meno enfasi esclamativa, l’altro sconsiglia la didascalizzazione affermativa . In altre parole possiamo dire che il loro orientamento è di voler trovare anche nell’arte quanto si trova applicato nella scienza: non affermare là dove si deve piuttosto dimostrare – dove in Arte la “dimostrazione” si svolge nei fatti (narrativi o visuali) dai quali dovrà scaturire conseguentemente la conoscenza positiva (catarsi estetica), affidata per definizione al fruitore (lettore, spettatore), al sistema della sua memoria dichiarativa e di quella procedurale... 

Il mostrarsi dell'opera

Ripetiamo spesso (e vale per tutti i discorsi scientifici) che non ci interessa la ricerca dei fini ultimi dell'umanità – seppure ce ne possano essere – ma il processo che porta al cambiamento, senza dimenticare  mai gli elementi che lo rendono tale, ossia differente dalle forme che lo precedono [14].
Non bisogna mai chiedere ad un pittore, ad esempio, perché ha fatto un determinato quadro [15]; bisogna chiedersi come mai lo ha fatto così come lo ha fatto; dunque non il perché (le motivazioni personali [16]), ma il per come, ossia come ha potuto farlo procedendo in un tal modo piuttosto che in uno dei tanti altri modi con cui gli uomini si sono espressi nell’intero arco della loro storia, ad esempio.
Un'opera di pittura o scultura cade immediatamente sotto i nostri occhi e pertanto – si dice comunemente – non ha bisogno di parole.
Questo “comunicare diretto” dell’opera [17] (non dell’artefice, per il quale l’opera è un mezzo di comunicazione con ‘propri’ codici, ecc.) se per un verso invita fortemente ad attenersi all’oggetto reale, per un altro verso è forse una supposizione e un abbaglio su cui proveremo a ragionare.
Iniziamo col dire che se l’opera d’arte è il prodotto di un linguaggio, il linguaggio è a sua volta un prodotto sociale;  quindi, esprimersi (comunicare)  con un linguaggio (comune) presuppone già una elevata probabilità di comprensione comune. Ma affinché la comunicazione venga tradotta in informazione occorre che il soggetto ricettore possegga i codici utilizzati nella realizzazione del messaggio, ovvero dell’opera.
Ora, in una società divisa in classi, in cui la divisione del lavoro è anche divisione e separazione delle conoscenze distribuite disegualmente, questa possibilità di comprensione (e di godimento) non può, in generale, che risultare più o meno parziale. Utile qui ricordare che ciò che vale per il produttore (ossia che “la concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro” [18]) vale estensivamente anche per il ricettore – di talento o soffocato nella sua capacità ricettiva-percettiva, e quindi anche nella pienezza del godimento da trarre dalla trasduzione dell’opera-segnale [19]
Certo, per godere di un’opera d’arte non c’è necessità di una comprensione totale (e di un godimento totale, che forse sono impossibili da raggiungere come per ogni oggetto della natura – avendo anche l’Arte una sua propria natura).
Come per il pieno godere sensuale non si è mai avuto bisogno di alcunché (si può cioè ignorare la ginecologia e la genetica tanto quanto i sentimenti) così le espressioni artistiche, e più in generale i sensi (e non solo quelli “soffocati”) si appoggiano sul gusto, che ognuno di noi, in un modo o nell’altro, si è andato formando nelle contingenze del suo personale vissuto. E crediamo proprio di non sbagliare troppo se diciamo che di questo gusto, personale e privato, ne ha trattato Kant nella sua critica del gusto (forse non ancora una estetica ma una sociologia – ma abbiamo letto troppo poco per essere sicuri di non tirar via semplificando eccessivamente).

...L’opera d’arte, in quanto “prodotto”, è come un container pieno di oggetti eterocliti (oggi di merci), materiali e immateriali, con un proprio “valore” unitario; e in quanto “mezzo” è soggetto di un proprio sistema di circolazione, distribuzione e consumo di tali “valori”… L’omologia con il sistema economico doveva essere tentata, o suggerita – l’abbiamo avanzata ma non intendiamo andare oltre...
Rapidamente, volendo abbandonare questo terreno, vogliamo farvi notare che, andando al museo (un hub?), spesso davanti ad un’opera il piacere nel vederla aumenta sensibilmente quando di essa veniamo a sapere qualcosa in più, che non sapevamo in precedenza (su questo contano i produttori e i noleggiatori di guide auricolari).
L’informazione a latere non modifica di certo l’apprezzamento personale o il piacere estetico, tuttavia non la si potrà ignorare una volta recepita.
Tralasciamo per il momento le considerazioni circa la formazione di quel gusto ritenuto “personale” da parte del mercato dell’arte e dell’ideologia dominante, per dire che in genere come la produzione crea il bisogno, così la produzione (dominante) di oggetti artistici crea il consumo modellandone il gusto (dominante)…[20]

Un quadrato, la scarpa e l'antiformismo

Ora accade che alcuni di noi hanno mostrato un proprio “gusto” prediligendo di farsi ritrarre o rappresentare dal quadrato rosso di Malevic.
Così, ad esempio, nelle loro immagini del profilo sui social, tra il prevalere di tutto il vasto repertorio di figure simboliche fornite dalla storia del movimento operaio, troviamo anche questa laconica forma priva di enfasi dichiarativa.
Non staremo a discutere la liceità della loro scelta, dato che de gustibus… e diamola pure come "istintiva" (dato che noi all’istinto riconosciamo una potente capacità cognitiva accumulata in millenni di vita biologica dalla specie).
Vogliamo invece soltanto chiederci se, oltre l’ovvia sistemazione geografica e storica di quest’opera nel periodo della rivoluzione comunista russa, vi sia anche qualcos’altro di un po’ più concreto dell’impulso che possa averla resa significativa per questi compagni. E non staremo neppure a farne un’indagine psicologica; proveremo invece a conoscerla e ragionarci con voi sul filo di alcuni temi ….

– ... Ad esempio, potremmo iniziare con il chiederci se quest’opera di Malevic sia il “granello di sabbia” di un’opera possibile o la “perla” reale di una sua vera e propria opera d’arte… Ma dato che al Museo Nazionale i granelli di sabbia non sono sopportati per oltre un secolo, essa deve considerarsi una perla della pittura.
– Ma un semplice quadrato rosso è proprio niente altro che un semplice quadrato rosso… E nell’ambito della pittura non ricorda null’altro che un insignificante riquadro cromatico che troviamo, ad esempio, nel primo stile pompeiano.
– Per affermare questo tu hai dovuto ricorrere ad un artificio e sopprimere ogni suo carattere differenziale.  Hai dovuto, cioè, trascurare il processo reale attraverso il quale l’opera di pittura è arrivata ad essere quel semplice quadrato rosso ... [21]
––>

Il lavoro di Francisco Zurbaran
Un processo reale che però non si vede affatto in quel quadro…
Vuoi dire che non vedi gli strati deposti uno sull'altro dal lavorio vivente dell’artista attorno a quel granello di sabbia rossa? E’ probabile, allora, che questo lavoro lui lo abbia svolto altrove, per nulla trascurando quel lavorio che tu lì non vedi concretamente.
– E dove starebbe questo suo “altrove” che lo rivestirebbe del sublime che gli manca? … Non indicarmi però un "altrove" che sia fuori dal quadro reale! Un pittore deve limitarsi a pitturare e non parlare di pittura...
– Non sei il solo a pensarla così. La cosa mi sorprende e non ti fa giustizia. Noi tutti sappiamo che tu non diresti mai che un comunista rivoluzionario deve limitarsi a fare la rivoluzione, come un calzolaio a fare scarpe... Prima hai parlato come un Lagrange [22] ed ora ti esprimi proprio come un Apelle nei confronti di un povero calzolaio [23]... Dovresti piuttosto provare ad applicare il tuo nec plus ultra a Leonardo da Vinci, a Leon Battista Alberti, a Paolo Uccello, a Giorgio Vasari, a Paul Klee e pure a quel calzolaio di van Gogh, e a chissà quanti altri pittori che sono andati fuori dalle proprie scarpe… e l’hanno fatta grossa. Ma non essendo tu un Apelle, né io un calzolaio, forse avremmo fatto meglio a tacere entrambi, e passare ad altro...
...Come, ad esempio, provare a sciogliere i dubbi di quei compagni che magari si stanno chiedendo se il loro istinto antiformista verso il quadrato di Malevic non si sia spinto anch’esso oltre la scarpa… Ma ci limiteremo a proporre qualche pagina scritta da Malevic con invidiabile chiarezza. Decideranno poi loro se lasciare che il suo semplice quadrato rosso continui a rappresentarli o se gli conviene sostituirlo con qualche faccetta rossa.
« …L’inclinazione all’antico e l’amore per il passato mettono il pittore in contrasto col presente e conducono la mescolanza di forme appartenenti a tempi differenti e quindi all’eclettismo. Attualmente l’eclettismo si diffonde ovunque: nella pittura, nella musica, nella poesia e nel tetro, in breve in ogni attività. Dappertutto si trova la mescolanza di tempi diversi, i cui resti si incrostano sul presente come conchiglie. Nel nostro tempo, caratterizzato dal perfezionamento socialista della sfera materiale della vita, l’arte è divenuta un vero antiquariato. Dovunque si volge lo sguardo ci si imbatte in obelischi, sarcofagi, stadi, partenoni, lanciatori di disco e di giavellotto, atleti. Eppure sono epoche completamente dissimili, mondi del tutto diversi! Il tempo di Pericle celebra nell’arte la sua resurrezione. I morti, che rinascono in certi artisti, innalzano antichi monumenti per la nostra generazione di autisti, piloti, macchinisti, nel bel mezzo dell’èra del telefono e della radio.
Il Cubismo ha liberato la pittura dalla mescolanza di differenti epoche stilistiche. Con la sua comparsa ha avuto inizio la lotta contro l’eclettismo. A prima vista potrebbe sorgere l’impressione che la superficie pittorica, nel primo e nel seconda stadio del Cubismo, contenga ancora elementi stilistici differenziabili, cioè ancora le tracce di eclettismo. Ma non è così. Gli elementi apparentemente eclettici sono eliminati dal fattore costruttivo del Cubismo, che introduce la quarta dimensione. Il Cubismo è stato una totale sorpresa per la società. La sua apparizione inattesa ha sbalordito tutti perché in queste nuove forme non erano riconoscibili le tracce degli oggetti a cui la società si era abituata e su cui si basava l’arte non cubista: carattere nazionale, religiosità, realismo sociale.
La società non era capace di superare al momento opportuno la realtà tridimensionale (su un altro piano si potrebbe dire: il nazionalismo e i princìpi della greppia). Così la società frena lo sviluppo delle nuove forme di vita a causa della lentezza del suo processo di assimilazione; essa vieta persino (e nel modo più rigido) di abbandonare i sentieri battuti nel passato. Né riconosce che nella nuova forma, divenuta visibile col Cubismo, siano contenute tutte le condizioni: quelle bidimensionali e quelle tridimensionali. La pienezza delle forme, la somma dei corpi complicata e moltiplicata con il tempo, l’ambiguità, sono tutte cose che spaventano la società, la quale non capisce che i carri a due ruote aprirono la strada al cocchio, e questo a sua volta la via all’automobile e all’aeroplano; che cioè si tratta della stessa idea di base sviluppata, variata, diversificata e ampliata ad una molteplicità di significati.
Il nocciolo della vita si libera delle cose superate e in via di estinzione. La società, invece, include il peso del passato nel presente.
Le nuove scoperte giungono a compimento molto più rapidamente che non il superamento del passato. L’inventore trova la nuova forma più rapidamente di quanto la società non sappia accantonare la vecchia. Questo è ciò che paralizza, ciò che abbrevia la vita. Vivere trent’anni nella stessa casa o nello stesso luogo significa non vivere affatto. La società è come un serpente gigantesco che digerisce il suo nutrimento in un tempo terribilmente lungo. Quante buone pietanze si perdono in questo modo! In mezzo ai motori vanno ancora sempre vagando coppie di asini e di cavalli, perché l’amore per le cose e le abitudini antiquate è indistruttibile e sbarra il cammino ad ogni novità.
Ora sento dire da alcuni: « Se avessimo i mezzi necessari ce ne andremo tutti di qua e di là in automobile ». In effetti un nuovo ordinamento del lavoro potrebbe darci i mezzi, ma l’assuefazione all’orientamento convenzionale del lavoro impedisce lo sviluppo di questo nuovo ordine.
Così è pure nell’arte: le nuove forme vengono scartate e si suppone che le masse non le comprendano. Ma è una supposizione falsa. Sono proprio i capi delle masse ad essere sordi, ciechi e privi di qualsiasi intelligenza e, di conseguenza, a credere che anche gli altri lo siano. Dicono che bisogna dare alle masse ciò che posso comprendere: « Noi conosciamo bene le masse », dicono. Certamente, ci suono uomini che non capiscono le nuove forme, ma ci sono anche mezzi per risvegliare la loro comprensione. Se una nuova legge può chiarirsi per mezzo di un commento, sarebbe opportuno pubblicare delle spiegazioni per l’arte. Così, anche quelli che finora non hanno capito nulla comprenderanno qualcosa.
Invece tutto ciò che è vecchio si ama senza bisogno di spiegazioni... » [24]

– Ma cosa vuoi che valgano le parole di un pittore!... Costui certo fa un largo giro, ma in fondo non parla che di sé, delle sue illusioni... Ci vorrebbe un osservatore esterno...!
– E non era appunto questo l'osservatore che abbiamo appena ascoltato? E quanto esterno deve essere questo osservatore?... Non vogliamo convincere nessuno, ma neppure passare per ingenui o peggio, per incompetenti chiacchieroni. Ecco: c'è appunto qui il professor Jakobson, un linguista e semiologo tra i più importanti del nostro tempo, che giusto discute con una sua collega del proprio lavoro scientifico. Andiamo a sentire cosa dicono...
– "...confrontando la sua Nuova poesia russa con i ricordi di Malevic, e in particolare con le lettere di Matiusin, il lettore è indotto a pensare che si tratti di una coincidenza esplicita o quantomeno di un dialogo su un argomento comune. Nell'impostare i problemi di colore e di spazio nella pittura, Malevic lo collega strettamente con la fenomenologia del suono nell'arte letteraria. Egli, per esempio, parla della "composizione della masse di parole", e del fatto che fin allora "oggetto della composizione era la rima, non le parole". Sarebbe molto interessante che lei facesse un'esposizione più dettagliata e sistematica di queste connessioni e concordanze..."
– (Avvicinati... Siamo fortunati... Sentiamo...).
– "... Una cosa da notare è che fu probabilmente con dei pittori che allacciai i legami più stretti nelle discussioni del periodo dei miei studi: con Pavel Filonov e con Kazimir Malevic. Con sempre maggiore coerenza Malevic respingeva l'impostazione figurativa; ma allo stesso tempo, mentre la faceva finita con la rappresentazione di oggetti concreti, nutriva la profonda ambizione di non cadere in un puro ornamentismo a sé stante, ma di scoprire gli elementi significativi nell'organizzazione dello spazio pittorico, Tutto questo era molto vicino ai miei interessi. Per parte sua, era attratto dallo sforzo tenace con cui io cercavo, nei miei testi e nelle mie riflessioni teoriche, di sottrarmi alle parole e al loro significato e di concentrarmi sulle componenti elementari della parola: sui suoni del linguaggio in quanto tali, liberati da ogni dubbia analogia con la musica come pure da ogni confusione degli stessi suoni con quello che è un elemento accessorio, la loro notazione scritta. Un simile modo di procedere, che interessava molto Malevic e ne attirò per molto tempo l'attenzione, ci avvicinò fin dal 1913. Fu allora che concepimmo l'idea di andare insieme a Parigi nell'estate del 1914, per preparare un'esposizione dei suoi quadri più recent; mio compito sarebbe stato di presentare i quadri oralmente in francese e di diffondere in Occidente le nostre comuni concezioni sulle prospettive della nuova arte. La guerra, soprattutto, impedì che questi progetti orgogliosi si realizzassero..."
– Sono i fatti, ci sembra, che parlano da sé. Con un preciso programma tutti e due lavoravano sugli elementi di base ed il funzionamento di quel presupposto della produzione materiale che è il linguaggio per dirigerlo verso il suo futuro...
"La finzione delusa delle epopee è divenuta il potere rappresentativo del linguaggio. La parole si sono chiuse sulla loro natura di segni" – dirà Michel Foucault... Ma intanto l'ostrica si era chiusa sul suo granello di sabbia rifiutando il lavoro delle perle... E cosi magari alcuni compagni perspicaci si saranno detti: Ecco qui una pittura che nega tutte le forme del suo passato...
Manca ancora qualcosa prima di concludere? ... Allora si potrebbe andare al 1915, per ascoltare quasi dal vivo le parole stampate in un opuscolo diffuso all’inaugurazione di una mostra a Pietrogrado.

Riprodurre oggetti amati e angolini di natura è la stessa cosa di un ladro che si entusiasma per i propri piedi incatenati.
Solo i pittori ottusi e impotenti mascherano la loro arte con la sincerità. In arte occorre la verità non la sincerità. [25]

– Sì!... Qui ogni parola è una pennellata in meno...

La Gioconda e l'altra  

Nel museo parigino del Louvre accanto al dipinto della Gioconda è esposto un altro dipinto di Leonardo, conosciuto come La Belle Ferronnière. E’ un quadro che normalmente attira pochi visitatori.
Si tratta del ritratto di una giovane donna con ogni particolare elencato e rappresentato dettagliatamente: la collanina, il vestito a legacci con le maniche intercambiabili, il gioiellino sulla fronte. C'è insomma tutto quello che deve esserci, e non ci sono assolutamente dubbi che sia un capolavoro di Leonardo; solo che di fronte ad esso non c'è mai nessuno mentre davanti a quello della Monna Lisa del Giocondo si forma sempre un ressa di visitatori che costringe spesso i custodi del museo ad intervenire per disciplinare l’assembramento davanti alla teca a prova di proiettile in cui il dipinto è sistemato per proteggerlo sia dagli atti di vandalismo che dalla respirazione dei tanti visitatori che gli alitano contro. Vediamo la scena del difforme trattamento che il pubblico riserva alle due opere di Leonardo e vorremmo cercare di capire come mai una raggiunge fama e notorietà incondizionate mentre l’altra resta circoscritta all’attenzione di un pubblico più limitato.
Nel nostro caso magari gioca in favore della Gioconda anche il fatto che la Francia ha saputo pubblicizzare ottimamente questo dipinto, specialmente dopo che la tela era stata rubata da un fiorentino che voleva restituirla all'Italia credendo che l'avesse rubata Napoleone etc.. Difatti, spesso certe opere hanno delle vicissitudini che ne favoriscono la popolarità procurandogli un contorno di leggende che colpiscono particolarmente l'immaginazione; ma nel caso della Gioconda diversi storici dell’arte e opinionisti di massa hanno svolto la loro parte contribuendo a trasformare quest’opera in un sacro e stuzzicante paradigma dell’arte sul quale accanirsi per interpretarne il sorriso con le più svariate e fantasiose argomentazioni.
Noi, piuttosto che mantenere quei baffi che gli hanno affibbiato, preferiamo tentare di comprendere l’interesse che quest’opera suscita provando ad avvicinarla proseguendo sul filo della nostra conversazione, adottando cioè anche i suggerimenti di Marx ed Engels, che ci portano subito a dire che mentre la Belle Ferronnière è ricca di informazioni definite, la Gioconda lo è di informazioni indefinite ma che si vanno rivelando solo man mano ad una attenzione priva di pregiudizi. Questo sembra essere il risultato di una percezione cercata e ottenuta grazie all’uso dello sfumato pittorico, una tecnica coltivata da Leonardo per raggiungere l’effetto pittorico capace di offrire una descrizione più aderente alla immediata visione dei sensi, per la quale le figure e i volumi, immersi in una atmosfera e non in un astratto spazio geometrico, perdono la rigidezza dei contorni per fondersi e mostrarsi solo per mezzo della luce e delle infinite gradualità della sua incidenza sui corpi e sulle cose, immersi tutti nella propria ombra da cui vengono tratte...– e questo dell'ombra è un principio leonardesco completamente originale nel panorama rinascimentale che meriterebbe di essere approfondito a parte.
Leonardo è interessato tanto all’immagine pittorica quanto al fenomeno e alla fenomenologia della visione reale e immediata, e lavora almeno 10 anni su questo dipinto forse per togliere proprio la pittura [26] dalle mani e dal volto perché possano così affiorare dall’incarnato stesso gli organi dei sensi, gli occhi, il naso, e la bocca che non ancora dice, piuttosto accenna alla possibilità di una parola trattenuta per sempre dal gesto mancato delle mani che chiudono in basso la figura della donna. Il suo sfumato è, cioè, anche un modo per togliere alla figura umana, oltre alla parola e al movimento, i segni particolari sua singolarità, della sua limitatezza personale, e avvicinarla il più possibile all’indicibilità del genere... e della specie, finanche.
E mentre la Belle Ferronnière è ritratta in uno spazio a parte, oltre un muro che la separa e la definisce, con le sue ben segnate fattezze che emergono alla luce da un fondo scuro per mostrarcene il busto come fosse un oggetto isolato e concluso dai suoi propri orpelli, dettagliati e categorici come la bocca e lo sguardo, lo scorcio di paesaggio che invece si apre dietro la figura della Gioconda la colloca nel primo piano del nostro stesso spazio, ma che l’ombra interna tuttavia confonde allo sguardo facendolo scivolare impercettibilmente verso la prospettiva aerea di una visione vasta e allontanata ancor più alla percezione immediata dall descrizione quasi solo geologica di una natura tanto soverchiante da rendere vaghe le tracce umane di una strada e di un ponte che – come proseguendo la piegatura verticale della veste – pare esser messo lì giusto per stabilire un rapporto di continuità e somiglianza tra la figura umana in primo piano e la natura magmatica nel suo farsi e disfarsi, da dove la donna proviene ma nella quale ora riposa, con un sorriso per nulla enigmatico. Quel suo sorriso è il culmine degli infiniti sorrisi del riconoscersi della Natura universale nell’essere particolare deciso a penetrarla anche oltre i limiti del quadro, per altro ben segnato nei suoi termini verticali con due colonne solo da immaginare tramite le estremità dei basamenti su cui poggiano...
In questo dipinto sembra venir meno e cancellarsi ogni opposizione tra natura e figura, tra visione e pittura... – e non sorprende che Wölfflin abbia visto nella Gioconda far capolino il carattere della fotografia.

Le cose scompaiono come fumo per la nuova cultura dell’arte e l’arte si muove verso il fine autonomo della creazione, verso il dominio delle forme della natura…[27]

… e così nulla diventa più chiaro di quel sorriso e dell’opera stessa di Leonardo, che non allegorizza o didascalizza il proprio convincimento riguardo il suo sentimento della natura e l’arte della pittura come scienza, ma rende reali uno tramite l’altro dimostrandoli nell’opera e con l’opera… 

Sbarazzata dal soggetto e dall’oggetto, la pittura si è esclusivamente dedicata ai suoi compiti specifici, il cui sviluppo ha ampiamente compensato il vuoto lasciato dal rifiuto dell’oggetto e della sua interpretazione.[28]

Anche dal confronto delle due opere di Leonardo, sembrerebbe proprio che sin d'allora ciò che cercava di presentarsi in tutta la sua trasparenza sia stata appunto quella parte del quadro che nell'elenco degli oggetti raffigurati nella Ferronière non ha nome, ossia: la pittura di uno sfondo che non ricorre ad altre risorse che le proprie... e se la Gioconda s'infila nella fotografia, la Ferronnière va ad infilarsi così nella pittura del novecento. Già dal secolo precedente, Delacroix annotava nel suo diario: "Prima di arrivare allo scopo, la cui necessità sempre mi muove... bisogna soddisfare un antico fermento, un fondo nerissimo" (7 maggio 1824) – che poi lo scopo sia diventato un fine non dovrebbe sorprenderci affatto.

La storia dell'arte e le collane di perle 

Possiamo confessare di esserci lasciati prendere da una nostra visione generale delle cose, probabilmente anche scarsa di elementi oggettivi e con poca qualità di penetrazione teoricamente rigorosa – non meno valida però delle tante altre descrizioni ideologicamente orientate, abbondantemente diffuse e radicate nell’immaginazione collettiva, che più volentieri si soffermano sulle fattezze delle persone e delle loro moine impedendo all’occhio di vedere ciò che c’è da guardare: il lavoro dell’uomo e della materia…
Purtroppo e per fortuna (tolto l’aut aut) una prerogativa dell’arte consiste proprio nella ricchezza di sensi e significati che è capace di suscitare; tutt’altra faccenda è penetrare la sua natura invariante, quella che gli consente di farci ancora godere davanti al frammento di un’anfora greca nonostante abbiamo perduto non solo i codici e le simbologie dell’epoca in cui è stata prodotta ma soprattutto il particolare sentimento estetico che accompagnava e regolava l’arte dei secoli lontani da cui ci perviene.
E a tale proposito non è fuor di luogo, tanto per confermare la complessità della materia che stiamo trattando, ricordare che proprio nei Grundrisse Marx considera meno difficoltosa la comprensione del rapporto tra l’arte e le forme dello sviluppo sociale di un’epoca, rispetto alla comprensione del fatto che le forme dell’arte di epoche superate continuano a suscitare un godimento estetico anche in epoche più sviluppate [29].
E' anche per spiegarsi questi tipi di incomprensioni se la moderna ricerca linguistica deve andare alle basi della propria origine. Così, ad esempio, Jakobson racconta l'inizio della sua ricerca scientifica, per la quale le arti della pittura, della poesia e della narrativa, hanno avuto un ruolo quasi fondativo:
Alla vigilia della prima guerra mondiale, ebbi con i giovani pittori moscoviti animate discussioni sul problema del legame e della differenza fra le diverse forme d'arte e in particolare fra il segno pittorico in quanto elemento della pittura e il segno verbale in quanto elemento della lingua, ed anche sulla questione della realizzazione di queste due varietà del segno nel quadro della pittura astratta e della poesia transmentale. I temi e la terminologia delle questioni del segno avevano attirato già da molto tempo l'attenzione di questi giovani ricercatori. Quando venimmo a conoscenza delle riflessioni di Saussure, la questione della scienza dei segni (o "semiologia", secondo l'espressione di Saussure che voleva fondare una nuova disciplina) entrò subito nelle nostre conversazioni e nei nostri progetti, e fu sviluppata nell'appena creato Circolo linguistico di Praga... Quanto a me, mi diedi ad analizzare il problema del posto della lingua nella cultura e del suo significato nell'insieme degli altri sistemi di segni... (Magia della parola, cit. pag. 148)
Noi abbiamo inseguito fin qui il proposito che ci eravamo prefissi per mostrare unicamente come una qualche dotazione di parametri, comunque non idealistici e metafisici dedotti, sia pur anche grossolanamente, da alcuni pronunciamenti che appartengono tuttavia alla nostra storia (di classe), possono fornire un qualche orientamento verso la comprensione positiva di una materia complessa e sfuggente come l’arte, e l’arte visiva in particolare.
Leonardo stesso confidava nell’arte come in una scienza, e particolarmente nell’arte della pittura. Egli è soprattutto pittore e costruttore di macchine e infaticabile studioso di ogni fenomeno e manifestazione della natura e della realtà circostante, da indagare nelle sue forme fenomeniche immediatamente percettibili ai sensi senza alcun preconcetto e timore, tramite gli strumenti della pittura [30].
Leonardo sembra esser stato l’incarnazione completa e il compendio personificato di quanto fino alla metà del settecento confluiva, con la scienza e i mestieri, in una comprensiva definizione di Arte.

Possiamo fare adesso una rapida notazione conclusiva per dire che particolarmente la pittura o il disegno, intesi come trascrizioni bidimensionali ma congrue di una realtà tridimensionale, eseguono per necessità quella riduzione di parametri tipica del procedere scientifico per ottenere infine ciò che oggi potremmo definire come studi topologici, condotti pur anche in assenza di una metodologia coerente, codificata solo nel corso del secolo appena passato. Ma già l’anonimo uomo del paleolitico dipingendo le pareti della sua caverna per raggiungere concretamente il proprio scopo aveva compiuto le medesime operazioni di astrazione e capovolta la prassi; dopo di che all’uomo non restava che chiarire a sé stesso tale capovolgimento, passando magari per la geometria piana, la pittura di Leonardo o l’arte del Rinascimento – che tra le tante pur apprezzabile cose ci ha lasciato in eredità due perle borghesi che tutt’ora ci opprimono e intralciano: il Genio e l’idea della proprietà intellettuale. [31]
I vari passi di questo “chiarirsi” segnano altrettanti passi pratici e teorici di un processo evolutivo organico di quella specifica prassi produttiva (succedersi morfologico delle forme ecc.) che coevolve organicamente con l’uomo e che si manifesta con una fenomenologia coerente ad un sistema autonomo, che oggi chiamiamo (con analogia alla storia dell’uomo) “storia dell’arte”.
Possiamo cioè anche dire che non esiste una storia dell’arte ma una storia dell’uomo-industria dalla quale può darsi  pure la storia di un particolare ramo del produrre umano...
Ma come nessuno di noi direbbe mai che non esiste l’Agricoltura bensì i contadini, non la Meccanica bensì i meccanici, non la Fisica bensì i fisici, non la Matematica bensì i matematici, non la Musica bensì i musicisti, non il Capitale bensì i capitalisti, non la Rivoluzione bensì i rivoluzionari e così via… nessuno di noi può pensare seriamente che non esiste l'Arte bensì gli artisti...[32].


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[1] . Umberto Eco, Opera aperta, ed. Bompiani, Milano 1962, pag. 271 passim. “Nessun parametro psicologico vale a spiegare la situazione: essa è così proprio perché non è possibile far funzionare parametri unitari, ciascun personaggio è frantumato in una serie di forze esteriori che lo agiscono. Tutto questo l’artista non lo può esprimere sotto forma di giudizio, perché il giudizio richiederebbe oltre che un parametro etico, una sintassi, una grammatica in cui esprimersi secondo moduli razionali… rapporti causali i quali riflettono la persuasione di rapporti razionalizzabili tra gli eventi. […] Ora l’unico ordine che l’uomo può porre alla situazione in cui è, è appunto l’ordine di una organizzazione strutturale che nel suo disordine permetta un presa di coscienza della situazione. A questo punto l’artista non indica soluzioni, è chiaro… il pensiero deve capire non proporre rimedi; almeno in questa fase… E’ l’arte (quella della nuova “avanguardia”) che per far presa sul mondo, vi si cala assumendone dall’interno le condizioni di crisi, usando per descriverlo lo stesso linguaggio alienato in cui questo mondo si esprime: ma, portandolo a condizione di chiarezza, ostentandolo come forma del discorso, lo spoglia della sua qualità di condizione alienateci, e ci rende capaci di demistificarlo.”
[2] . Ibidem, pag. 282. “Balzac aveva condotto la sua analisi attraverso la disposizione di un soggetto (narrando cioè una vicenda di eventi e personaggi in cui chiariva il contenuto della sua indagine); la letteratura contemporanea pare poter analizzare il mondo non più in questo modo (realismo?), ma attraverso la disposizione di una certa articolazione strutturale del soggetto – eleggendo l’articolazione a soggetto e in essa risolvendo il vero contenuto dell’opera. Su questa via la letteratura – come la nuova musica, la pittura, il cinema –  può  esprimere il disagio di una certa situazione umana; ma non sempre possiamo chiederle questo, non sempre dovrà essere letteratura sulla società…”.
[3]  . Vedi qui la nota 11.
[4]  . Eco, Opera aperta, cit. pag. 88.
[5] . Eco illustra quanto in altro modo è stato esposto dodici anni prima da Norbert Wiener, il matematico che aveva fuso un complesso di nozioni appartenenti a diverse discipline, in un unico campo di studi da lui stesso chiamato cibernetica, una scienza del controllo e della comunicazione.
[6] . Norbert Wiener, Introduzione alla cibernetica (1950), Einaudi, Torino 1953, pgg. 148,149 (tra parentesi e corsivi nostri).
[7]  . Escarpit, Teoria dell’Informazione, cit. pag. 226.
[8] . Tale che “l’immagine propriamente detta non è che un elemento dell’immagine costituita dalla pagina”, nota Denise Escapit, il bimbo constata subito che, mentre l’immagine rappresentata dall’illustrazione gli si svela molto facilmente, “l’immagine costituita dal testo resta per lui assolutamente misteriosa, mentre l’adulto, o per lo meno un ‘grande’, è in grado di ricevere il messaggio dell’immagine testuale”. (Ma chi sa anche leggere non può discriminare dall'immagine la scrittura, percependole simultaneamente in un colpo d'occhio... come accadrebbe davanti all'immagine di Picabia posta qui in alto).
Dopo aver riportato quest’esempio, Robert Escarpit osserva: “Notiamo che, se è vero che la lettura del testo è un processo iniziatico, difficile per definizione, questo non significa che la lettura dell’immagine sia così semplice. Il processo relativo alla lettura dell’immagine è in realtà molto più complesso di quello della lettura di un testo, dove almeno si dispone, come scalino intermedio, della tappa ipolografica. Non esiste invece una lettura ipoiconica… Per leggere veramente l’immagine, invece, bisogna identificane ciascun elemento come un segno e vedere come questo può essere correlato agli altri. Ogni identificazione si manifesta attraverso un enunciato” (e qui l’autore propone un esperimento con otto elementi grafici che sottopone ad un’analisi facciale, cioè bidimensionale…) - Escarpit, Teoria, cit. pag. 154 passim. Per le letture ipologografica e iperlogografica vedi in Escarpit il capitolo Lettura e analisi del testo, cit. pag. 148 passim.
[9] . “I linguaggi sono mappe. Trasmettendo informazioni attraverso lo spazio e il tempo, oppure da una forma di espressione all’altra, i linguaggi ricavano – uno dall’altro – il nutrimento con cui si alimentano e crescono. Il codice Morse fornisce una correlazione tra alfabeto e brevi stringhe di punti e linee; il codice genetico traduce tra nucleotidi e proteine; il linguaggio naturale tra parole e idee; l’HyperText Markup Language (HTML) traccia la topologia di Internet in stringhe di codice comunicabile. I linguaggi sopravvivono ospitando la riproduzione di strutture (lettere, parole, enzimi, idee, libri o culture) che, a loro volta, costituiscono un sistema – più esteso – che nutre il linguaggio dal quale essi discendono… L’evoluzione dei linguaggi è un meccanismo fondamentale attraverso il quale si dispiegano la vita e l’intelligenza” (corsivi nostri) – George B. Dyson, L’evoluzione delle macchine (1997), ed. Raffaello Cortina, Milano 2000, pag. 383.
[10] . “E’ stato provato che il concetto di informazione soggetto a una legge analoga (al concetto scientifico di entropia), e cioè che un messaggio, nel corso della trasmissione, può perdere spontaneamente il suo ordine,  ma non può mai acquistarlo. Per esempio, se in una conversazione telefonica si parla mentre interferiscono forti disturbi alla linea, così da causare una considerevole perdita di energia nel messaggio principale, la persona che riceve all’altro apparecchio può non intendere alcuna delle parole che sono state dette e dovrà quindi ricostruirle sulla base del significato del contesto.” – Wiener, Introduzione, cit.  pag. 21 pass. (tra parentesi e corsivi nostri).
[11] . “Un’applicazione interessante del concetto di quantità di informazione si può trovare nei complessi dispacci telegrafici trasmessi in occasione del Natale o dei compleanni o in altre circostanze particolari. In questo casi il testo del messaggio può essere anche di un’intera pagina, ma ciò che è (praticamente) trasmesso è semplicemente la cifra di un codice, come ad esempio C7, che significa il settimo dispaccio convenzionale da inviarsi per l’occasione. Questi messaggi speciali sono possibili appunto perché i sentimenti espressi sono meramente generici e convenzionali. Se il mittente volesse manifestare una certa originalità di sentimenti, non potrebbe più usufruire delle tariffe ridotte (per i messaggi preconfezionati). Il significato dei dispacci a tariffa ridotta è sproporzionatamente piccolo rispetto alla lunghezza del testo. Ancora una volta, quindi, osserviamo che il messaggio è un modello trasmesso che acquista il suo significato per il fatto di essere stato prescelto tra un gran numero di possibili modelli. La quantità di significato può essere misurata. Può darsi infatti che quanto meno un messaggio è probabile, tanto più esso comunichi…” – Wiener, Introduzione, cit. pag. 22 pass. (tra parentesi e corsivi nostri).
[12]  . D’altronde, come riassume Longo: “…l’informazione sta nelle differenze; anzi, un’informazione può essere definita una differenza che genera altre differenze lungo il canale di comunicazione che va dalla sorgente al destinatario. Le differenze che non producono, prima o poi, altre differenze non costituiscono informazione … L’informazione non sta nella bocca del parlante ma nell’orecchio dell’ascoltatore… L’assenza d’informazione può essere informazione: una risposta non data può scatenare una reazione anche violenta perché zero è diverso da uno e quindi zero può essere una causa. Si noti che anche l’identità è una differenza, poiché l’identità è diversa dalla diversità.” (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem, Laterza 1998, pag. 29 passim). – Al proposito della differenza (che informa) segnaliamo quanto riportato dai nostri appunti (nømade.17, pag. 95) riguardo alla disposizione degli ocelli sulle penne del pavone Argo in funzione dell’attenzionalità della femmina per la scelta sessuale: “La variabilità (degli ocelli sulla ruota del maschio) è la base necessaria dell’azione della scelta…”. – Segnaliamo altresì una interessante pagina dei Grundrisse in cui Marx tratta la circolazione come un falso processo all’infinito:  “La merce viene scambiata con denaro; il denaro viene scambiato con la merce. Si ha così uno scambio tra merce e merce, solo che questo scambio è mediato. Il compratore diventa a sua volta venditore e il venditore a sua volta compratore. In tal modo ciascuno è posto nella duplice e opposta determinazione, e si ha l’unità vivente di ambedue le determinazioni. Ma è del tutto falso – come fanno gli economisti non appena si palesano le contraddizioni del denaro –, fissare di colpo soltanto i risultati finali senza tener conto del processo che li media, l’unità senza la differenza, l’affermazione senza la negazione…”. E’ dunque nella differenza specifica (in questo caso, tra merce e denaro) che si raccoglie l’informazione additiva… che Marx nel seguito svolge fino in fondo: “Ma in quanto esse (compera e vendita) sono entrambe momenti essenziali di un unico tutto, deve esserci un momento in cui la (loro apparente) figura autonoma viene violentemente infranta e l’unità interna viene ristabilita dall’esterno mediante una violenta esplosione. Così già nella determinazione del denaro come mediatore, e dello scindersi dello scambio in due atti, c’è il germe delle crisi, per lo meno la loro possibilità…”. Ecco dunque di cosa può arrivare ad informarci una particolare differenza verso cui è indifferente il common sense economico dell’apologetica borghese. [Marx, Grundrisse der Kritik politischen Okonomie (1857-1858), Lineamenti Fondamentali della Critica dell’Economia Politica, La Nuova Italia, Firenze 1971, pag. 152 passim (parentesi e corsivi nostri). Vedi anche in ibidem pag. 6 pass.].
[13] . “Di regola noi non parliamo per segni isolati, ma per gruppi di segni. Nella lingua, tutto si risolve in differenze, ma tutto si risolve altresì in raggruppamenti. Questo meccanismo, che consiste in un gioco di termini successivi, rassomiglia al funzionamento di una macchina i cui pezzi hanno una azione reciproca benché siano disposti in una sola dimensione” – F. de Saussure, Corso, cit. pag. 155.
[14] . “In questa dimenticanza consiste appunto tutta la saggezza degli economisti moderni che dimostrano l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti.” -  Marx, Lineamenti , cit. p.7.
[15] - Un espressionista astratto americano degli anni ’50, a chi lo interrogava sul suo lavoro, rispondeva che un uccello non conosce l’ornitologia; Picasso invitava a non parlare al conducente.
[16] - Con tutto che se il pittore interrogato ci rispondesse di aver fatto il quadro per mangiare, o per andare a letto con la modella, ci darebbe delle utili informazioni di carattere economico, sociale, psicologico e altro, sulla cultura e i costumi del suo tempo….
[17]  .
Cfr. qui nota 8. Aggiungiamo: “Per ora ci limitiamo a osservare, semplificando molto, che nella comunicazione umana concreta il destinatario si colloca di fronte ai messaggi che riceve a tre livelli diversi: 1) il livello sintattico (il messaggio ricevuto viene riconosciuto diverso dagli altri messaggi possibili); 2) livello semantico (il messaggio ricevuto viene confrontato con altri, precedenti, e con il contesto extracomunicativo per ricavarne il significato); 3) livello pragmatico (il messaggio ricevuto viene impiegato dal destinatario per conseguire i propri fini). Ciascuno dei tre livelli presuppone i precedenti, in una circolarità in cui il livello sintattico presuppone a sua volta quello pragmatico: ogni osservatore-destinatario rileva certe differenze (e non altre) in base a un interesse che deriva dai suoi obiettivi pragmatici….” – Longo, cit. pag. 30.
[18] - Il brano prosegue: “Anche se in certe condizioni sociali ognuno fosse un pittore eccellente, ciò non escluderebbe che ognuno fosse un pittore originale, cosicché anche qui la distinzione tra lavoro “umano” e lavoro “unico” si risolve in una pura assurdità. In una organizzazione comunistica della società in ogni caso cessa la sussunzione dell’artista sotto la ristrettezza locale e nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e la sussunzione dell’individuo sotto questa arte determinata, per cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro. In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più uomini che, tra l’altro, dipingono anche.” (Marx-Engels, L’Ideologia tedesca - San Max III, 2. Organizzazione del lavoro, Editori Riuniti, Roma 1971, pag. 383)...>
… Per tante cose qui dette sull’arte contemporanea, possiamo dire che anche l’arte ha “lavorato” per la rivoluzione – anche qui si tratta di vedere le forme che anticipano la società futura… (rottura dei limiti dell’opera, rottura dell’autorialità, negazione della separazione tra arte e vita, ecc., Il comunismo è una necessità per l’arte stessa, ed ha mostrato più e più volte come  l’involucro capitalistico ormai è troppo limitato per il suo sviluppo).
[19] . Anche il pensiero scientifico borghese arriva a volte ad esprimere questi medesimi concetti. E’ ad esempio cosi che, rivolgendosi alle giovani generazioni del secondo dopoguerra, il matematico Norbert Wiener sente la necessità di farli trasparire: “Sto scrivendo questo libro (Introduzione alla Cibernetica) dal punto di vista di un professore di una scuola tecnica americana e in particolare di un professore del Massachusetts Institute of Tecnology… (ai giovani) deve essere insegnato che la dottrina e la cultura non sono tesori privati da custodire gelosamente o da riservarsi soltanto a una élite, e che tutte le dottrine e le culture partecipano di una natura unica e indivisibile. Essi devono imparare ad essere consapevoli di quello che già presentiscono, e cioè che soltanto l’individuo sviluppato armonicamente in tutte le sue facoltà può essere uno scienziato, un artista o un uomo d’azione.” (Wiener, cit. pag. 175, parentesi nostre – cfr. qui anche nota 5).
[20] - Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della tecnica…) nota che l’architettura e il cinema vengono fruite nella distrazione… (davanti all’opera d’arte ci si raccoglie e vi si sprofonda, mentre la distrazione (di massa) fa sprofondare nel proprio grembo l’opera d’arte… Di determinate forme (espressive, stimate..) ci si nutrirebbe dunque, e ci si prende gusto senza neppure accorgersene…)
[21] . “Ma è del tutto falso, … fissare di colpo soltanto i risultati finali senza tener conto del processo che li media, soltanto l’unità senza la differenza, l’affermazione senza la negazione”. (K Marx, Lineamenti…, cit. vol.1, pag. 152).
– “Durante milioni di secoli si formano in questo modo strati sempre nuovi, sempre di nuovo vengono in gran parte distrutti e sempre di nuovo impiegati come materiali per la formazione di nuovi strati. Ma si ha un risultato molto positivo: la costituzione di un suolo dove si trovano mescolati i più diversi elementi chimici in uno stato di sgretolamento meccanico che permette la vegetazione più copiosa e svariata. Altrettanto accade nella matematica. Prendiamo un qualsiasi grandezza algebrica, per es. a.. Neghiamola e avremo così –a (meno a). Neghiamo questa negazione moltiplicando –a per –a , avremo così +a 2, cioè la primitiva grandezza positiva ma ad un grado più elevato, ossia alla seconda potenza. Anche qui non ha importanza il fatto che possiamo ottenere lo stesso a 2 moltiplicando per sé stessa la grandezza positiva a. Infatti la negazione negata è cosi fissa in a 2, che in tutti i casi a 2 ha due radici quadrate, cioè a e –a. E questa impossibilità di eliminare la negazione negata, la radice negativa contenuta nel quadrato, acquista un significato ancora più tangibile nelle equazioni quadratiche. In modo ancora più convincente si presenta la negazione della negazione nell’analisi superiore, in quelle ‘somme di grandezze indefinitivamente piccole’… che in linguaggio ordinario si chiamano calcolo differenziale e integrale. [segue l’esposizione, che si conclude così] … Ora io continuo a calcolare con queste formule, tratto dx e dy come grandezze reali… e ad un certo punto nego la negazione, cioè integro la formula differenziale, al posto di dx e dy, ottengo di nuovo le grandezze reali x e y, ma non mi trovo di nuovo al punto in cui ero l principio: invece ho così risolto un problema sul quale la geometria e l’algebra comuni si sarebbero forse invano affaticate. Non altrimenti accade nella storia…” – Friedrich Engels,  Antiduhring,  Editori Riuniti, Roma 1968, pag. 145 pass.
[22] . “Fin dove si tratta di pura analisi, Lagrange si libera di tutto ciò che gli sembra trascendenza metafisica nelle flussioni di Newton, nell’infinitesimale di diverso ordine di Liebniz, nella teoria del valore limite delle diverse grandezze che scompaiono e nell’assunzione di 0/0 (= dy / dx ) quale simbolo per i coefficienti  differenziali, ecc. Ciò però non evita che egli abbia bisogno della sua teoria e delle curve ecc., costantemente di una e dell’altra di queste idee metafisiche.” – K. Marx, Manoscritti matematici, ed. Dedalo, Bari 1975, pag. 159.
[23] . “…non v’ha dubbio che la forma di produzione capitalistica, e la situazione economica dell’operaio che ad essa corrisponde  stanno agli antipodi con quei fermenti rivoluzionari e con la direzione nella quale essi vanno: la soppressione della vecchia divisione del lavoro. Ma lo sviluppo degli antagonismi di una forma storica di produzione è l’unica via storica possibile al suo dissolvimento e alla sua metamorfosi. Ne sutor ultra crepidam!*, questo nec plus ultra della saggezza artigianale è divenuto follia e maledizione dal giorno in cui l’orologiaio Watt ha inventato la macchina a vapore, il barbiere Arkwrith il telaio continuo, il garzone-orefice Fulton il battello a vapore.” (*. “Il calzolaio non vada oltre la scarpa”. Nella trad. fran. Roy, la frase latina è preceduta dall’inciso: “E’ qui il segreto del movimento storico, che i dottrinari, ottimisti o socialisti, non vogliono capire”.) – K. Marx, Il Capitale, ed UTET, Torino 2013, vol. 1, pag. 637.
[24] . Kazimir Malevic, Suprematismo I/46 (1923), in Suprematismo, ed. De Donato, Bari 1969, pag. 247 pass.
[25] . K. Malevic. Opuscolo di 31 pagine intitolato Ot kubizma. I futurizma k suprematizmu. Novi jlvopisnij realizmDal cubismo e dal futurismo al suprematismo. Il nuovo realismo della pittura , diffuso in occasione dell’Ultima mostra futurista: O.10, dic. 1915 – gen. 1916. In Scritti, a cura di A.B. Nakov, ed. Feltrinelli, Milano 1977, pag. 176 pass. – Le precedenti dichiarazioni di R. Jakobson su Malevic sono in Jakobson.Magia della parola, a cura di Krjatjna Pomorska, ed. Laterza, Bari 1980, pag. 8. - La citazione di M. Foucault è in Le parole e le cose
1966, ed. Rizzoli, Milano 1970, pag. 63.
[26] . Sarebbe un diradare la densità dei punti di singolarità del campo visivo…? Ridurre di “attrattori” le traiettorie indeterminabili dello sguardo...? Cancellare le pennellate per ricusare la pittura...?
[27] . Malevic, Dal cubismo e dal futurismo al suprematismo. Il nuovo realismo della pittura 1916, in Scritti, cit., pag. 177.
Nella La linea analitica dell'arte moderna, così Filiberto Menna parla di Malevic: – "Il versante aniconico della linea analitica, che dalla de-costruzione cubista perviene all'astrazione neoplastica, si è volto alla individuazione delle figure, ossia delle unità linguistiche elementari prive di significati denotativi e delle regole della loro organizzazione. Malevich si spinge al di là di questo grado zero del linguaggio artistico, riducendo l'ingombro fisico fino al limite della smaterializzazione, per cogliere il momento germinale dell'arte tramite la "percezione della non oggettività". Il suo Quadrato nero è una struttura visiva minimal che non vuole nemmeno rappresentare se stessa, bensì agire da stimolo concettuale atto a far scattare nella mente dell'osservatore l'interrogativo fondamentale sulla natura stessa dell'arte. Il Quadrato nero provoca cioè un effetto di spiazzamento nelle attese dello spettatore e nei suoi criteri di valutazione non molto diverso dall'effetto che nello stesso tempo provoca il ready-made di Duchamp lo Scolabottiglie e il Quadrato nero sollecitano un doppio procedimento di astrazione: il primo riguardo l'atto di nominare la cosa che sta davanti ai nostri occhi; il secondo tende a conoscere le ragioni su cui la fonda il proprio statuto di opera d'arte. Da questo traguardo attinto dalle investigazioni suprematista di Malevich muove Ad Reinhardt con l'esperienza conclusiva della sue tele nere: in queste egli attenua ulteriomente il contrasto figura-sfondo (che lo stesso Malevich aveva alleggerito passando dal quadrato nero su fondo bianco alla Grande croce bianca su grigio e poi al Quadrato bianco su fondo bianco), ma scarta anche la soluzione pittorica all-over, considerata troppo fisicistica, troppo legata alla bellezza sensibile del colore, puntando sulla percezione liminale della figura e dello sfondo, entrambi immersi nel nero e quindi al limite della percettibilità. Ad Reinhardt sposta la pittura da ciò che è sensibile a ciò che è astratto e appartiene al dominio del concetto, trovando anche lui un preciso termine di riferimento in Duchamp, che aveva posto il problema del superamento del limite sensoriale, "retinico" della pittura". – Filiberto Menna, La linea analitica, cit. ed. Einaudi, Torino 1975, pag. di commento alle tavole 41,42,43.

[28] . Aleksàndr Rodcenco, da La linea, manoscritto 1921, nella rivista Artpresse, Parigi novembre-dicembre 1973, pgg. 26-27.
[29] . Karl Marx, dal Quaderno M dei Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, (Grundrisse der Kritik politischen Okonomie,1857-1858), in Lineamenti…, cit., p. 39-40. Una difficoltà che può spiegare perché è più facile trovare delle storie “sociali” dell’arte piuttosto che delle storie - ad esempio – materialiste dell’arte.
[30] . I recenti sviluppi della “diagnostica per immagini” ne sono la conferma.
[31] .
I compagni già conoscono questo brano di Marx del 1844, scritto a proposto del libro di F. List, Il sistema nazionale dell'economia politica: "Chi ritiene che ogni popolo esperimenti totalmente in se stesso ogni evoluzione storica, sarebbe altrettanto stolto di chi ritenesse che ogni popolo debba sperimentare totalmente lo sviluppo politico della Francia o quello filosofico della Germania. Ciò che le nazioni hanno fatto in quanto nazioni, lo hanno fatto per la società umana, tutto il loro valore sta unicamente nel fatto che ciascuna nazione ha sperimentato fino in fondo per le altre una tale fase determinata di sviluppo che l'umanità nel proprio divenire deve percorrere”.
Ora noi qui vogliamo proporne una parafrasi:
"Chi ritiene che ogni artista esperimenti totalmente da se stesso ogni esperienza artistica del passato, sarebbe altrettanto stolto di chi ritenesse che ognuno debba sperimentare personalmente lo sviluppo artistico del Rinascimento o del Romanticismo. Ciò che gli uomini hanno fatto in quanto uomini, lo hanno fatto per la società e la specie umana, tutto il loro valore sta unicamente nel fatto che ciascuno di loro ha sperimentato fino in fondo e per tutti una tale fase determinata di sviluppo che l'umanità nel proprio divenire deve percorrere…”. 
Sembra esprimersi così ciò che il senso comune ha sempre detto con la sentenza “cosa fatta, capo ha”. Ma, fatta da uno per tutti è fatta da tutti per ognuno. Tutte le grandi, come le piccole e piccolissime opere d’arte del passato “sono state elaborate per il mondo intero”. Non sono dei modelli da imitare, vanamente e vanitosamente per una produzione artistica inutilmente dissipativa come l’attuale, né dei feticci sovrumani di cui godere al contatto ravvicinato dei sensi… Le opere d’arte del passato sono i presupposti,  già fatti una volta per sempre, per la produzione artistica futura di una società sgomberata dalla merce e dal feticismo… E questa non è una prescrizione ma una previsione tratta dall’attuale stato delle cose… (robotizzazione ed eliminazione del lavoro umano superfluo, digitalizzazione e smaterializzazione della merce, ecc.).
[32] . Circa l'esistenza "reale" di queste astrazioni delle attività dell'uomo reale potremmo metter qui l'ironico commento di Marx sugli dèi greci: "Ci si è fatti beffe di questi dèi di Epicuro, che, simili agli uomini, se ne stanno negli intermondi del mondo reale... Eppure questi dèi non sono una finzione di Epicuro. Sono le plastiche divinità dell'arte greca." (Marx, Democrito ed Epicuro 1841, ed. N. Italia, Firenze 1979, p.42). Riguardo poi i risultati che simili attività disincarnate e non fatte uomini (Agricoltura, Musica, Arte ecc.) forniscono tuttavia agli uomini, ce li dice Engels parlando della Matematica: "All'intelletto umano usuale appare insensato risolvere una grandezza determinata, un binomio per es., in una serie infinita, quindi in qualcosa di indeterminato. Ma a che punto saremmo senza le serie infinite e il teorema binominale? ... Le follie e le assurdità con i quali i matematici hanno piuttosto scusato che spiegato questi loro procedimenti, che conducono, curioso a dirsi, sempre a risultati giusti..." (Engels, Dialettica della natura, cit. pgg. 272 e 280, sottolineatura nostra).

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